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"E se le case tornassero a essere tutte bianche come negli anni ’50?"

di: Vito Marino - del 2016-11-10

Immagine articolo: "E se le case tornassero a essere tutte bianche come negli anni ’50?"

(ph. raian.it)

Non intendo parlare della Casa Bianca made in USA, ma delle nostre case, quelle che esistevano nelle periferie e nei cortili di Castelvetrano, che si presentavano tutte imbiancate, fino agli anni ’50. Si trattava di  case povere, basse, a piano terra, costruite di “petra e taiu” (pietra calcarea non squadrata e murata con impasto di calce e terra argillosa di campagna) e coperte di tegole (canali ‘ncasciati).

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  • Tuttavia il proprietario che vi abitava era felice di possedere quelle quattro mura, che costituivano tutta la sua ricchezza; qui erano nati e cresciuti i propri avi, i cui “ritratti” erano appesi al muro, quasi dei santi protettori; casa che, dopo morto avrebbe lasciato in eredità a qualche figlio.

    La famiglia e la casa, per le persone più povere, rappresentavano il fulcro attorno al quale giostravano tutti gli altri interessi della vita.  

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  • In queste abitazioni spesso costituite da una sola stanza vi coabitavano anche dieci o più persone più gli animali domestici, come l’asino, la capra e le galline. Non si tratta di un demerito per la città di Castelvetrano, di cui sto parlando o per tutta la Sicilia!

    In un periodo storico durato millenni, questo stato endemico di povertà esisteva in tutta Italia; il contadino, se ci riusciva poteva solo lavorare per vivere, mentre  borghesia, Chiesa e nobiltà possedevano tutte le ricchezze, la cultura e tenevano in mano le sorti del Paese.

    Per fortuna, intorno agli anni ’50, con il subentrare della civiltà industrializzata e del benessere, tutto incominciò a cambiare.  

    Antonio Pennacchi nel suo libro storico “Canale Mussolini” descrive sotto forma di racconto la situazione economica del popolo veneto, che era ancora più povera di quella siciliana.

    Ne voglio citare poche righe: <<Lei non ha idea della miseria che c’era. Gente che non aveva neanche una casa dove andare a dormire, e non in proprietà, ma neanche in affitto, perché non aveva neanche una lira. Facevano una giornata di lavoro quando capitava e poi niente. […] e non solo per la Bassa Padana ma per tutto il Veneto, mi creda.

    Abitavano tutti insieme – famiglie su famiglie – in certe capanne grosse fatte solo di sterpi e di canne che chiamavano “Casoni” , un capannone senza pareti divisorie, e ci stavano maschi e femmine tutti mischiati e gli animali insieme a loro, cani, gatti, maiali, galline. E certi erano ancora più poveri e non trovavano posto nemmeno nei casoni, e allora notte per notte, con tutta la famiglia, andavano a dormire nelle stalle di qualcuno che li ospitava>>.  

    Queste costruzioni  già citate, abitate dai contadini e dalle famiglie più umili, fino agli anni ’50 erano tutte imbiancate col latte di calce, con uno scenario urbano di fiaba. I nostri nonni non si vergognavano della loro miseria ormai cronica, vi erano abituati, per loro era normale la loro miseria, ma tenevano molto al loro decoro e, periodicamente, in occasione  “di li festi ranni” (le feste comandate) facevano ritoccare gli intonachi e imbiancare con latte di calce la loro umile dimora.

    Imbiancare i prospetti delle case era una antichissima tradizione lasciataci dagli Arabi durante la loro dominazione in Sicilia e continuata dagli altri successivi dominatori.

    Il colore bianco oltre ad evitare il diffondersi delle infezioni virali riflettono i raggi inclementi del nostro sole estivo, lasciando più fresche le abitazioni e dando un senso piacevole alla quotidianità. Il popolo, specialmente i contadini hanno saputo mantenere viva questa tradizione fino agli anni ’50.  

    Purtroppo, gli anni ’50 segnano anche il declino e quindi la scomparsa di tutte le vecchie tradizioni della civiltà contadina, mentre nuove tradizioni di altri popoli, di una civiltà non nostra hanno invaso le nostre contrade. Così la cultura delle case imbiancate si è perduta, con grave perdita per il patrimonio dell’umanità. I nostri nonni molto più saggi di noi, dicevano: “lu putiaru socch’avi abbannia” (il bottegaio quello che ha bandisce).

    Noi avevamo delle tradizioni che da sole avrebbero potuto attirare migliaia di turisti, dando lavoro ai nostri figli che invece sono costretti ad emigrare verso gente più matura e preparata culturalmente di noi, che sanno sfruttare turisticamente oltre che culturalmente le loro tradizioni.  

    E’ da anni che mi batto inutilmente per ripristinare questa antica usanza, da praticare magari nei vicoli e nei cortili.

    Già,… i cortili, un altro tesoro che non abbiamo mai valutato: il cortile con le belle arcate di Castelvetrano di origine araba; avevo anche proposto di fare un concorso sui cortili fioriti, ma questo è un altro triste argomento.

    La città di Mazara ha già rivalutato l’antico quartiere della casba, fra l’altro imbiancando i muri fino ad una certa altezza. In Italia ancora esistono località dove continuano a mantenere il culto del bianco nelle loro abitazioni: ad Alberobello: i suoi trulli sono messi in risalto per lo splendore del bianco delle  mura. Ci sono inoltre 12 città italiane imbiancate dalla pietra locale bianca o dalla calce: Ostuni, Locorotondo, Cisternino, Martina Franca, Ceglie Messapica, Molfetta, Trani, Matera, Atrani, Ascoli Piceno, Siracusa e Levanzo.

    Guardando lo splendore del bianco in questi centri urbani si percepiscono tante emozioni, si legge la storia di quel luogo. Ma lo splendore del bianco si ammira anche all’estero, nel 2012, seguendo un itinerario turistico che comprende i paesi detti “los pueblos blancos”, che si trovano in Spagna, in Andalusia, in provincia di Cadice ho potuto constatare che tutti i prospetti delle case erano dipinti di bianco.  

    Anche qui la tradizione è stata portata dagli Arabi nel corso della loro dominazione durata alcuni secoli, ed è continuata fino ad oggi inalterata, allo scopo di proteggere le abitazioni dal calore estivo. Siccome questo bianco intenso, con il contrasto delle inferriate tinte in nero e il verde e rosso dei numerosi vasi di gerani appesi al muro, davano degli effetti straordinari, i turisti eravamo numerosi per ammirare e fotografare.

    E’ risaputo che dove c’è cultura c’è anche progresso economico, lo aveva affermato anche l’on. Ludovico Corrao. Evidentemente la cultura non fa parte del nostro bagaglio.

    Sono amareggiato perché i nostri amministratori e Pro Loco, che potrebbero fare qualcosa, non leggono o se ne ridono di queste mie misere considerazioni, perché occupati da problemi politici di ben più grande importanza da risolvere.           

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