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Le catacombe dei Cappuccini tra storia, misteri e incisioni sotterranee

del 2017-01-11

La valorizzazione dei beni culturali, siano essi beni mobili o immobili, ha, a Castelvetrano, una notevole importanza, legata a doppio filo con le potenzialità inespresse di un territorio ricco di grandi testimonianze storiche e monumentali come la chiesa di Sant’Anna dei frati Cappuccini della stessa città.

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  • Ne parliamo con l’architetto Angelo Curti Giardina, storico e studioso dell’architettura di ambito siciliano, autore del libro monografico La chiesa conventuale di Sant’Anna dei pp. Cappuccini in Castelvetrano. Documenti inediti (Frati Minori Cappuccini, Castelvetrano 2015, pp. X, 245).

    Quanta importanza assumono i beni culturali nell’ambito delle economie siciliane? 

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  • Un manufatto del passato, o un contenitore monumentale che appunto lo custodisce, assume per la società una risorsa legata al valore mnemonico di una particolare etnia in un particolare momento storico, ribadendo, con la sua presenza nella contemporaneità, una chiave di lettura, simultaneamente individuale e universale, dell’importanza di alcune qualità culturali che delineano il genoma identificativo di ognuno di noi.

    A Castelvetrano è presente un rilevante monumento dell’Ordine dei Cappuccini; è da considerarsi uno dei beni culturali da rivalutare e valorizzare?

    Considero il convento con l’annessa chiesa dei Cappuccini un bene culturale da valorizzare ancora di più con eventi mirati a far conoscere non solo la loro bellezza, ma anche il concetto di carisma francescano che fece sì che un così importante monumento potesse sorgere proprio nella nostra città.

    Parliamo brevemente della sua storia?

    Dedicati alla pietas dell’Ordine dei Frati Minori (O.F.M.), il convento e la chiesa dei Cappuccini di Castelvetrano furono i più importanti dell’intera Provincia Panormitana (così veniva chiamata la Provincia cappuccina siciliana posta ad Occidente, eretta nel 1573 insieme alle altre due, ovvero quella Messinese e quella Siracusana). Quest’Ordine, accolto con clamore dal popolo devoto, fu influente non solo nella vita religiosa, ma anche nella vita civico-amministrativa di Castelvetrano.

    Tale complesso monumentale è da considerarsi, a tutti gli effetti, un concentrato di valori non solo artistici e architettonici.

    Oggi, con l’ausilio e l’apporto della fraternità cappuccina, questa chiesa è giunta fino a noi, ricca di vitalità cristiana e forte di una partecipazione umana mai scemata nel tempo, forse i valori più alti che si possano considerare.

    Secondo lei perché troviamo affascinanti luoghi come le catacombe della chiesa dei Cappuccini?

    Le catacombe, in generale, hanno una lunga storia che ormai tutti conosciamo direttamente dai libri scolastici o dalle numerose riprese televisive che riferiscono seriamente sull’ingente patrimonio di conoscenze dell’umanità (tra tutti, personalmente, prediligo i contenitori culturali della famiglia Angela).

    Le catacombe sono attraenti forse perché si trovano nel sottosuolo, al riparo da occhi indiscreti, o forse perché ci affascina il rapporto con la morte, una esperienza che naturalmente faremo quando il nostro ciclo vitale si esaurirà; rimane il fatto che, anche se ci reprimono l’odore di umido e la visione delle umili ossa di chi ci ha preceduto al mondo, un pizzico di curiosità ci porta ad osservare ciò che rimane delle città dei morti.

    Ci potrebbe riassumere sul perché vennero fabbricate le catacombe in questa chiesa?

    Ho notato che molti concittadini sono venuti a visitare tali luoghi, in pochi però hanno chiesto quali eventi hanno portato alla loro costruzione.

    Dagli studi che ho effettuato, la storia delle catacombe cappuccine di Castelvetrano si può riassumere, in breve, attingendo ad un documento che segnò l’inizio di fabbricazione delle stesse: un Mandato del 20 giugno 1630, conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Castelvetrano, riporta che in tale anno furono traslate le ossa dei defunti frati Cappuccini dal vecchio convento di contrada Sant’Anna al “loco novo” in contrada Rianello, in particolare i resti miracolosi del padre Pietro da Mazara († 1550), e quelli del benefattore Giovanni III Aragona Tagliavia e Pignatelli († 1624), con una processione solenne e con la partecipazione del Padre Provinciale dei Cappuccini.

    Se quindi nel 1630 i Cappuccini inumarono le ossa dei confratelli, significa che una cripta, magari non molto grande, nel nuovo convento doveva pur esistere; dai rilievi da me effettuati, e dalla planimetria dell’odierna cripta, comparata a quella della chiesa soprastante, ho potuto dedurre che la primitiva cripta dei Cappuccini era quella proprio al di sotto della cappella del SS. Crocifisso, ovvero l’unico vano con la forma simile ad una cappella con loculi e nicchie.

    Una incisione sull’intonaco poi, all’ingresso delle catacombe, riporta la data del 1663, epoca in cui, probabilmente, furono ampliate le cripte con il lungo corridoio oggi visibile.

    Fino in che periodo si poterono inumare i defunti nelle catacombe di Castelvetrano?

    Nei primi decenni del Settecento furono emanati decreti regi affinché fosse proibito seppellire i cadaveri dei defunti all’interno del perimetro urbano; la distanza minima cui si doveva fare riferimento era quella di almeno un miglio fuori dall’abitato e specialmente non più dentro le chiese, come per secoli era stato.

    Tuttavia continuò a Castelvetrano la pratica di seppellire gli estinti presso le cripte delle chiese, almeno fino al 1840, anno in cui fu istituito il cimitero comunale, proprio alle spalle della chiesa e del convento dei Cappuccini.

    Architetto, ci racconta da quali vani è composta la catacomba dei Cappuccini di Castelvetrano?

    Si accede alla cripta dalla stanza che un tempo ospitava la Confraternita dei Trentatré, ossia quella a man destra entrando in chiesa; ancora oggi è viva la memoria di una botola d’accesso alla cripta incassata nel pavimento, subito entrando nella suddetta stanza.

    Oggi accediamo alla galleria sottostante mediante una scala a chiocciola che si ferma sul pianerottolo di una più antica scala scavata nella roccia.

    Il primo vano che incontriamo è quello che da accesso a una stanza molto particolare, in cui le mummie dei defunti potevano essere sedute lungo un sedile scavato nella roccia per essiccarsi; da questa stanza si diparte una scala che porta all’umile sepoltura del principe di Castelvetrano, Giovanni III Tagliavia Aragona e Pignatelli, benefattore dei Cappuccini, deposto con il saio dell’Ordine nel 1629 ai piedi dell’acquasantiera della chiesa a man destra entrando.

    La cripta è costituita principalmente da una serie di vani contigui che terminano in fondo in una piccola cappella col proprio altare; quest’ultima, rifinita in stucco e pitture policrome, si presenta nelle forme e nello stile neoclassico con decorazioni a rosette applicate sulla piccola e bassa volta a botte. Parte del corridoio presenta lungo i muri perimetrali numerose nicchie e le aperture di quelle cappelle che si trovano sotto la navata della chiesa e della sacrestia.

    Alcuni di questi reconditi accessi immettono nelle stanze di preparazione alla mummificazione dei cadaveri, i cosiddetti colatoi, ossia apposite stanzette in cui erano allocate delle vasche scavate nella roccia e nelle quali erano incastrate trasversalmente delle tegole, per formare quei letti sui quali venivano adagiati i cadaveri a “spurgare” per circa un anno di tempo.

    Credo che ancora molto vi sia da scoprire nelle antiche cripte delle chiese di Castelvetrano, soprattutto in questa dei Cappuccini dove ancora altri vani potrebbero essere sondati e studiati, così come si evince dalle pareti non intonacate che lasciano intravedere possibili tracce di interventi postumi di occlusione di alcuni colatoi o ossari.

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