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A Pasqua l'Aurora in diretta su Cnews.it. Da quest'anno "Tammurinari", una mostra e la 'ntricciata di la palma di la zita"

di: Giovanni Modica, ex orologiaio - del 2017-04-03

Immagine articolo: A Pasqua l'Aurora in diretta su Cnews.it. Da quest'anno "Tammurinari", una mostra e la 'ntricciata di la palma di la zita"

La prima volta che venne celebrata l’Aurora a Castelvetrano fu nel 1660 ad opera dei Padri Carmelitani Scalzi che abitavano nel convento attiguo alla Chiesa di San Giuseppe, diroccato nel 1968. Questa funzione, che tutti i castelvetranesi conoscono, era caratterizzata dal fatto che arrivavano molte famiglie con i carretti addobbati a festa  e calessi  da Partanna, Campobello e Santa Ninfa. Le persone sedute erano molto colorate nel vestiario, probabilmente per attirare l’attenzione dei castelvetranesi.

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  • L’Aurora si svolgeva nell’antichità di buon mattino e partecipavano, data l’ora, solo persone adulte, ecco perché sui chiamava l’Aurora. Successivamente gli organizzatori (perlopiù proprietari dei giardini (“siniari”), bottai e falegnami, per dare la possibilità ai  bambini di assistere alla festa religiosa, posticiparono l’inizio della manifestazione alle ore 9.

    Per far comprendere l’importanza di questa Festa, quando si prendeva moglie, soprattutto nei centri vicini, si scriveva nell’atto nuziale l’obbligo del marito di condurre la sposa il primo anno a vedere l’Aurora a Castelvetrano. Ogni sette anni l’Aurora, invece, si svolgeva nella via Ruggero Settimo per dare la possibilità alle monache di clausura che abitavano all’interno del Convento dell’Annunziata (“Badia”) di potervi assistere.

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  • Il 18 aprile del 1813 questa funzione ebbe un’attrazione speciale per la presenza a Castelvetrano di sua Maestà la Regina Maria Carolina d’ Austria e del figlio 23enne il principe Leopoldo che assistettero all’evento dal balcone sopra l’arco di Palazzo Pignatelli.

    In quell’occasione la statua della Madonna venne restaurata dal pittore palermitano Vito Miceli, con un impegno economico ratificato con atto del 17 marzo del 1813 del Notaio Castelli. Il 28 marzo 1717 l’arciprete Giglio non autorizzò lo svolgimento dell’Aurora per un banale errore del sacrista di San Giuseppe, il quale suonò le campane il sabato prima di quelle della Chiesa Madre. Ci furono animate discussioni tra il comitato e l’Arciprete ma non ci fu nulla da fare.

    Gli organizzatori della Confraternita allora si recarono in fretta e furia a Mazara per incontrare il Vescovo per farsi concedere l’autorizzazione. Pare che la famosa frase “ si l’Aurora un si fa’, si la pigghia Trapani” fu pronunciata proprio in quella circostanza. E da allora, qualunque potessero essere stati i motivi ostativi, l’Aurora si doveva svolgere. Infatti nel 1968, anno del terremoto, per paura di perdere la tradizione successe che la funzione religiosa si svolse in piazza Garibaldi a mezzogiorno circa alla presenza di circa venti persone.

    Il rito dell’Aurora, organizzato ogni anno con cuore e passione dalla Confraternita di San Giuseppe, è per i castelvetranesi un rito molto sentito e migliaia sono le persone che vi assistono. Sicuramente il momento più emozionante è l’incontro tra la Madonna e Cristo Risorto, soprattutto nel momento in cui alla Madonna cade il fazzoletto  e il manto nero, lasciando così uscire dalla corona gli uccellini che ha in testa. Altri momenti toccanti sono la processione e lo scampanio dei sacri bronzi.

    Fino a quando organizzava “l’apparaturiVaiana era bello vedere anche le colombe di cartone scorrere su dei fili di acciaio collocati tra la Società Operaia e la Chiesa del Purgatorio, proprio nell’occasione dell’incontro tra la Madonna e Cristo Risorto. Incuriositi e stupiti i bambini alzavano tutti gli occhi al cielo.

    Ricordo quando, molti anni fa, le famiglie portavano in processione le figlie “in età da marito”, vestite di bianco ed era un’occasione per organizzare magari poi “lu zitaggiu” dopo la fase del corteggiamento alla quale seguiva “l’appalurata” e “lu zitaggiu” ufficiale.

    L’indomani di Pasqua era il momento di fare baldoria. Non mancava nell’occasione della Pasquetta il gioco della “bozzica”, ossia quella corda tra i due alberi che permetteva a grandi e piccini di dondolare. Per Pasquetta, oltre che a Marinella, si andava alla Trinità di Delia in quanto vi abitavano, all’interno di un Convento, dal 1392 dei monaci benedettini che accoglievano le persone e davano loro da mangiare.

    Verso il 1523 i monaci non riuscirono più a soddisfare le esigenze dei gitanti, nel frattempo aumentati, sicchè, da allora, ogni nucleo si organizzò autonomamente per arrostire qualche cosa, spesso carciofi, e preparando altresì “li campanara”, dolce tipico con le uova sode colorate o “li vaccareddi”.

    Le famiglie benestanti si potevano permettere di regalarsi gli agnellini fatti di mandorle o uova di cioccolata in cui a volte, a sorpresa, si facevano trovare anche anelli di fidanzamento ufficiale e qualche oggetto d’oro.

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