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Dai Black Boys ai Visconti passando per i Guitar Man. La musica a Castelvetrano nell’era Beatles

del 2014-09-29

Dopo aver raccontato la storia dei complessi a Castelvetrano nell’era pre-Beatles, cominciamo adesso a vedere quali  sono stati i gruppi musicali che si sono formati, sempre a Castelvetrano, nell’era in cui i Beatles hanno rivoluzionato totalmente  il modo di fare musica in tutto il mondo. 

  • Fratelli Clemente Febbraio 2023 a7
  • ANNI 1964-1968

    Prima d’iniziare questo lunghissimo cammino, mi sembra utile precisare che gli anni sessanta sono stati gli anni del progresso tecnologico e del boom economico. Tutto è cambiato d’allora. C’è stata una vera e propria rivoluzione generazionale, ideologica e culturale. La nascita degli scarafaggi Beatles di Liverpool, il maggior fenomeno musicale di quel periodo,  ha dato inizio a quella che possiamo definire la musica contemporanea.

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  • Essi, partendo dal Rock n’Roll, hanno saputo creare, con delle sonorità nuove, quello che da quel momento in poi è stato definito “genere beat” e che ha dato inizio a quel fenomeno che è stato la “beat-generation”, sviluppatosi in ogni parte del mondo. Il beat era un rock melodico leggero, quasi dolce e sicuramente pop (popolare).

    Anche a Castelvetrano, noi giovani d’allora siamo stati influenzati da questo modo d’intendere la musica e abbiamo cercato d’emulare i nostri beniamini cercando di copiare il loro stile e le loro idee musicali. Il primo gruppo che si formò a Castelvetrano, era il 1964, ispirandosi al nuovo genere pop fu quello dei “The Black Boys”.

    Già dal nome del gruppo “I ragazzi neri” si capisce che qualcosa era cambiato e che si respirava tutta un’aria nuova. Il gruppo era formato da: Giuseppe Pino Adorno al basso, Nunzio Zino Calamia all’organo, Nicola di Maio alla chitarra accompagnamento, Giuseppe Stefano Vincenzo Salvo alla chitarra solista e Vito Messina, meglio noto come barazza, alla batteria.

    Pino Adorno in quel periodo, non avendo ancora appreso tutte le tecniche del basso, in alcuni brani più impegnativi era costretto ad abbassare il volume dell’amplificatore e fare finta di suonare. Era Zino, in quei particolari brani che, utilizzando i tasti all’estrema sinistra della tastiera dell’organo, riproduceva le note che avrebbe dovuto suonare il bassista. Pino si rivelò un ottimo elemento in quanto possedeva sia una voce molto intonata, gradevole e abbastanza estesa nelle ottave sia una grande musicalità che gli permise d’imparare presto a essere padrone del suo strumento.

    Zino iniziò lo studio della fisarmonica, regalatagli dal padre, ad appena otto anni. Era una Paolo Soprani 80 bassi. I suoi insegnanti furono: Carlo Parisi per lo strumento e il maestro Pietro Polizzi, direttore  della Banda Comunale di Castelvetrano, per il solfeggio. La prematura scomparsa del padre, quando lui aveva soltanto nove anni, non gli consentì più di continuare a studiare. Riprese un paio d’anni dopo col maestro Francesco Mangiaracina, ma solo per qualche mese.

    Zino mi racconta che, puntualmente e inesorabilmente, Mangiaracina si presentava a giorni alterni a casa sua puntuale alle ore quattordici e trenta per la lezione. Un orario antipatico per Zino che a quell’ora avrebbe preferito riposare un po’ dopo le estenuanti ore di lezioni scolastiche. Il metodo che egli ha seguito è stato quello del famoso maestro Luigi Oreste Anzaghi.

    I “Black Boys” ebbero, fra le altre, la faccia tosta d’andare a fare il loro primo impegno di matrimonio con soltanto venti pezzi di repertorio, assolutamente insufficienti per gestire una festa di nozze. Per quella volta, però, furono assistiti dalla fortuna. Ebbero, infatti, appena il tempo d’intonare la marcia nuziale per l’ingresso degli sposi in sala, che andò via la corrente elettrica. Ritornò dopo quasi tre ore. Così, alla fine, il repertorio risultò sufficiente. La loro attività durò per un paio d’anni.

    Dalla rottura dei “Black Boys” nacque il complesso dei “Visconti” formato da: Pino Adorno al basso, Zino Calamia all’organo, Vito Messina alla batteria, Vincenzo Salvo alla chitarra solista (suonava la chitarra come un mandolino, col classico tremolio della mano) e Nando Calvanese, poi sostituito da Paolo Passanante, alla chitarra accompagnamento. Il garage dove provavano l’aveva messo a disposizione Nicola Di Maio che suonava anch’egli la chitarra accompagnamento.

    Zino, dopo poco tempo, andò a suonare con gli “Asteroidi”, mentre in sostituzione di Vito Messina che passò con i “Dioscuri”, entrò a far parte dei “Visconti” Renato Adorno. Con Renato si accompagnava un grande suo amico, Giuseppe Ancona, meglio noto come “Peppi funcia” per via delle pronunciate, oggi si direbbe “siliconate”, labbra e con il quale imparentò per avere sposato la di lui sorella Franca.

    Da ricordare la splendida divisa che “I Visconti” indossavano ogni volta che si dovevano esibire in un impegno di matrimonio o in altro genere d’intrattenimento. Essa era formata da pantaloni e giacche lunghe tre/quarti doppio petto in tessuto colorato: verde (Vincenzo), nero (Zino), rosso (Pino), celeste (Nando) e rosa (Vito). La camicia era a disegni geometrici, senza cravatta, abbottonata fino al collo e scarpe rigorosamente nere. Essa somigliava, in qualche modo, a quella indossata dai Beatles nella copertina del loro disco “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” del 1967.

    Uno degli impegni di matrimonio in cui suonarono allora, fu quello di Biagio Gino Sciortino. La festa si tenne in una casa privata di viale Roma. A quei tempi solitamente la festa si svolgeva in casa o dello sposo o della sposa. Visto che c’era poco da mangiare (non come i pranzi luculliani d’adesso), quasi tutto il tempo si trascorreva ballando. Erano serviti, nel frattempo, “tetù”, “muscardini” e “dolcetti” vari. Da bere si offriva il rosolio, una soluzione liquorosa derivata dai petali di rosa, che era utilizzata come base per la preparazione di altri liquori di vario sapore realizzati con agrumi, caffè, anice e menta. Era prodotto in casa e offerto agli ospiti in segno di buon augurio. Si brindava, infine, con lo spumante.

    Ricordo benissimo quel matrimonio perché quel giorno, passando davanti casa Sciortino che conoscevo, ma soltanto di vista, m’incuriosì sia la musica che proponevano “I Visconti” sia il loro audace ed elegante, per quel periodo, vestimento. Io avevo qualche anno in meno di quegli amici musicisti e non avevo ancora imparato a suonare uno strumento. L’innata passione, però, m’indusse a fermarmi per un po’ di tempo e deliziarmi ad ascoltare quella musica che ritenevo magica. Una sana invidia mi pervase e mi sono proposto d’imparare al più presto anch’io a suonare lo strumento che preferivo, il pianoforte, perché quel mondo m’affascinava non poco. Al termine della festa ai musicisti fu offerta una cena a base di pollo a forno con patate, che per quei tempi era già più di quanto si potesse pretendere.

    Gino Sciortino, dopo essere tornato dalla Svizzera dove si era trasferito da ragazzo, sposò la sorella di Francesco Cicciu Palazzo, un autotrasportatore molto noto a Castelvetrano di cui parleremo in seguito perché, grazie al suo impegno manageriale, ha dato la possibilità a diversi musicisti castelvetranesi di potere formare un complesso. Mi verrebbe voglia di raccontare l’incredibile viaggio che ho compiuto insieme a lui da Milano a Castelvetrano a ridosso del Natale 1979. Quell’anno, non trovando alcun tipo di mezzo per scendere giù in Sicilia e trascorrere il Natale con i miei, ho accettato un passaggio col suo camion. Fu un’avventura al limite dell’inverosimile che non posso raccontare perché sarebbe troppo lunga.

    Gino, che coltivava la passione per la musica sin da bambino, avrebbe voluto imparare a suonare l’organo, ma non possedendone alcuno dovette accontentarsi di una diamonica. Un giorno lo zio Giuseppe Rizzo, maestro di violino, vedendo che il nipote faceva notevoli sforzi a soffiarvi dentro tutto il giorno, ebbe l’idea d’attaccare all’imboccatura dello strumento un tubo, alimentato da un fono elettrico che mandava aria fredda all’interno della diamonica.

    Visto, però, che anche così la cosa non poteva continuare in quanto il rumore del fono superava il suono dello strumento, pensò bene di comprargli un bell’organo nuovo e affidò Gino alle cure del suo amico organista Alfredo Cialona. Iniziò così la carriera artistica di Sciortino che lo ha visto, in seguito, protagonista di tante esperienze gratificanti.

    In un’altra occasione, durante un matrimonio effettuato presso il salone della sede della Democrazia Cristiana di Salaparuta, Nando Calvanese pensò bene, mentre suonavano, di chiedere il permesso di potersi assentare dal gruppo almeno per un brano. Questo poiché aveva ammiccato, e da lei ricambiato, una simpatica e avvenente ragazza, e voleva fare un ballo con lei. I ragazzi del gruppo furono ben contenti di spalleggiare il loro collega in quell’avventura e gli dissero che non c’erano problemi tifando per il successo dell’operazione “aggancio ragazza”.

    Nando, tutto gasato, le si appropinquò per invitarla a ballare. Non sapeva, però, che in quei paesi non c’era ancora l’uso di ballare fra uomini e donne, se non in rari casi di stretto vincolo parentale. Così, quando Nando fece il classico inchino per l’invito, la ragazza stava per alzarsi perché voleva in cuor suo accettare. Il padre, però, seduto al suo fianco e ligio alle tradizioni locali, fu più veloce di lei e la bloccò alla sedia, alzandosi lui per accettare l’invito di Nando. Questi, chiaramente, non accettò il cambio di partner e si rivolse all’invadente genitore con il classico gesto della mano semichiusa a cuppiteddu, battuta più volte sulla fronte come a voler dire: “Ma chi sì foddi?”, “Che sei pazzo?”.

    Nando e Vincenzo avevano preso l’abitudine di suonare in mezzo alle persone, precorrendo gli attuali violinisti che usano farlo nei matrimoni per coinvolgere gl’invitati e garantirsi un gratificante applauso. Per far ciò, non essendo ancora stati inventanti i radiomicrofoni, si sono procurati dei fili abbastanza lunghi che permettevano loro di potersi allontanare dal palco e suonare, facendo scena, fra gli invitati. In quell’anno, avendo impegnato le serate carnascialesche a Gibellina, decisero d’acquistare un nuovo impianto d’amplificazione.

    Si recarono a Palermo dove Ignazio Morreale, un loro amico, si assunse l’impegno col negoziante per l’acquisto dell’impianto, avallato anche dall’esibizione del contratto di lavoro. Il negoziante si fidò dei ragazzi e del loro manager e, facendo loro credito, gli consegnò tutto il materiale necessario per effettuare il Carnevale in “pompa magna”. Nella notte fra il 14 e il 15 gennaio del 1968, però, la terra tremò in Sicilia, e con precisione nella Sicilia occidentale, con epicentro Poggioreale e Salaparuta, seminando morte e distruzione. Anche Gibellina fu distrutta e, seppur i ragazzi sperarono fino all’ultimo che il Carnevale si svolgesse ugualmente, la loro speranza, chiaramente, fu resa vana dai fatti oggettivi.

    A Gibellina non c’era più niente, non c’erano più case, non c’erano più edifici, non c’erano più locali dove poter organizzare qualcosa e non c’era nemmeno più la voglia della gente di fare qualcosa. I vecchi ruderi di Gibellina andarono a finire, per volontà politica, sotto una coltre di cemento bianco, un immenso spettrale lenzuolo per non dimenticare una tragedia che ci ha colpito direttamente.

    Lo hanno chiamato “Il cretto di Burri” dal nome dell’architetto che lo ha concepito. Il nuovo paese fu ricostruito, in seguito, nella zona intorno alla vecchia stazione di Salemi. I ragazzi, a malincuore, furono costretti a recarsi nuovamente nel negozio di Palermo e, fortunatamente per loro, il negoziante si riprese tutta la merce senza creare ulteriori difficoltà né a loro né al Morreale.

    Un fatto, invece, che Zino ricorda con evidente ilarità, fu quando Vincenzo Salvo, mentre cantava “La prima cosa bella”, brano di Nicola di Bari portato al successo anche dai Ricchi e Poveri, invertì i versi d’una strofa. Invece di cantare “I prati sono in fiore”, cantò “I fiori sono in prato”. A questo punto, resosi conto dell’errore, invece di far finta di niente, cominciò a raggomitolarsi su sé stesso, tenendosi la pancia per il troppo ridere, fino a cadere per terra e continuare a contorcersi preso da un raptus di “sganasciamento” da risa.

    Tornando al terremoto, esso fu anche la causa dello scioglimento del gruppo. Per rispettare qualche matrimonio già contrattato, si rivolsero ad altri colleghi musicisti. A un matrimonio a Marsala, alla batteria andò a finirci addirittura Nicola Mangiaracina, noto pianista castelvetranese, non certamente a suo agio su uno strumento che non era assolutamente il suo. A ogni buon conto noi musicisti ci adattiamo a qualsiasi situazione. L’imprevisto fu che proprio nel momento in cui gli sposi arrivarono in sala, ci fu una grossa scossa d’assestamento. Gli sposi e tutti gl’invitati scapparono fuori. Comunque, passata la paura, il matrimonio si effettuò ugualmente e tutto finì per il meglio.

    Tutte le volte che un cugino di Pino, il bravissimo cantante messinese Lelly Bono, veniva a Castelvetrano a trovare i suoi parenti, chiedeva a Pino di farlo assistere alle prove del suo complesso. Pino lo accontentava volentieri e lo stesso faceva quando Lelly esprimeva il desiderio di cantare qualcosa anche lui. I ragazzi dei “Visconti” in quelle occasioni erano ben lieti d’accompagnare un così bravo cantante.

    Lo conobbi personalmente quando, qualche anno dopo, nel 1974, feci un’indimenticabile gita a Messina con Pino Adorno e relative consorti. Pino l’anno dopo, era il 1975, battezzò mio figlio Daniele nato in quell’anno. Dopo quasi quarant’anni la “cumparata” è più viva che mai e la nostra granitica amicizia non è stata minimamente scalfita.

    Parlo adesso dell’esperienza che il mio amico Saverio Safina fece nel lontano 1964. Egli si trovava a Milano, dove frequentava dei locali in cui si esibivano dei musicisti di grande spessore. Uno dei locali che aveva aperto i battenti da poco tempo era l’“Intra’s al Corso” dove il Corso era quello dell’omonima Galleria e Intra’s dal maestro Enrico Intra al quale l’“Associazione Tricheco” aveva affidato la gestione artistica del club. Il nuovo locale fu realizzato nei sotterranei del bar “Gazella” che ogni sera ospitava personaggi del calibro di Lino Patrono, Gianni Magni e i Gobbi, Gorny Kramer che teneva lezioni per ignoranti (della musica s’intende).

    Una sera si esibì anche Giorgio Gaber del quale sono un fan sfegatato e sul quale, come cantattore, ho fatto dei concerti anche a New York e a Montrèal col mio repertorio ispirato al suo “Teatro Canzone”. Quando Gaber ebbe finito il suo spettacolo, un signore gli chiese se poteva fargli ascoltare il brano dal titolo: “Pieni di sonno, ma troppo addormentati per dirsi buonanotte e andare via”. Gaber rispose che non poteva eseguirlo in quanto nel brano c’era una parte riservata a una voce femminile. Alle insistenze di quel signore, profittando del fatto che fra loro c’era una ragazza che conosceva bene il brano e malgrado la sua riottosità, Gaber accettò l’improvvisato duetto.

    Chiamò allora la ragazza: “Vieni Caterina (era Caterina Caselli), cantiamo insieme questa canzone”. Il duetto andò benissimo e la Caselli si dimostrò convincente nell’esecuzione del brano tanto che Gaber le disse, battendole la mano sulla spalla: “Tu farai carriera”.

    Andiamo adesso al 1965. Mimmo Accardo decise di formare un nuovo gruppo musicale al quale diede il nome di “Guitar Man”. Nel complesso, oltre a lui alla chitarra solista e al banjo, c’erano Gaspare Di Stefano alla chitarra accompagnamento, Simone Titone alla chitarra basso, Paolo Ingrasciotta al trombone e Giacomo Scurti alla batteria. Essi, oltre ai numerosi matrimoni che si effettuavano allora, sono stati scelti anche da Radio RAI, che allora girava per tutti i paesi d’Italia alla ricerca di nuovi talenti, per suonare un brano in diretta.

    Il brano che scelsero fu “Coccodrillo” con un arrangiamento particolare curato dallo stesso Accardo. Mimmo, fra l’altro, ha sempre saputo di possedere delle doti per le quali riesce a sognare eventi che regolarmente accadono successivamente. Sono i famosi sogni premonitori (fenomeno ampiamente trattato nella fortunata serie televisiva de “Il restauratore” con Lando Buzzanca messa in onda da RAI 1).

    Uno di questi, poi avveratosi nella realtà, fu quando sognò che c’era un filo dell’amplificatore Geloso, che alimentava il microfono, che faceva falso contatto. In effetti, quando l’indomani andò a controllare, ha potuto finalmente risolvere un problema che con il gruppo si portavano appresso ormai da un bel po’ di tempo. In pratica ogni volta che arrivavano alla sala “Azzurra” di via Garibaldi per un matrimonio, non riuscivano a capire il perché non funzionasse più, mentre se suonavano in un’altra sala funzionava regolarmente.

    Mimmo, spesso, era costretto a leggere i telegrammi pervenuti in augurio agli sposi senza potere utilizzare il microfono. Era, quindi, costretto a gridare. Fra l’altro, invitato con insistenza dal padre della sposa, doveva leggere più volte quei telegrammi che giungevano da lontano, a esempio da Milano o, comunque dal nord Italia. Questo perché ciò ne aumentava il prestigio e tutti dovevano ascoltare.

    Mimmo aveva anche portato il Geloso dal suo tecnico di fiducia, un tal Peppe Aloisio che aveva lo studio in via Crispi. Né questi né tantomeno il suo aiutante “Tranquillino”, erano riusciti a capire da dove provenisse il problema. Nel sogno si capì che nel trasporto da una sala all’altra quel filo di massa si spostava quel tanto da non creare più il contatto che si riattivava, casualmente, in un successivo trasloco. Infatti, l’indomani, quando Mimmo andò a controllare quel filo si accorse che era svitato e non faceva contatto. Bastò avvitarlo per bene e il problema fu risolto.

    Un altro sogno premonitore fu quando, dovendo andare a suonare a Mazara, (allora Mimmo suonava con un gruppo di Mazara che si chiamava “Splendor”), si recò alla fermata dell’autobus in via Garibaldi. Dopo avere aspettato per un bel po’ di tempo, quando finalmente ne passò uno non ero quello per Mazara poiché si fermava a Campobello. Ne aspettò un altro, ma quando si rese conto che si fermavano tutti a Campobello, pensò bene di salirci lo stesso. A Campobello incontrava (sempre nel sogno) un suo parente che non vedeva da molto tempo, il quale stava andando a Mazara e che gli diede un passaggio. Infine, sognò un treno e molto fumo che gli andava sul viso.

    Bene quel giorno, finito il matrimonio e dopo ch’era successo perfettamente quello che Mimmo aveva sognato la notte precedente, giunti alla stazione lo informarono che il prossimo treno sarebbe passato da lì quattro ore più tardi e che, se lui voleva, ce n’era uno che sarebbe transitato da lì a poco, ma si trattava d’un treno merci. Mimmo accettò di salirci e per tutto il viaggio dovette respirare l’aria malsana del fumo che si sprigionava dalla locomotiva a carbone, proprio come nel sogno premonitore.

    L’anno successivo, il 1966, i nostri Vito Messina e il sassofonista Vittorio De Simone andarono a suonare con un gruppo che si formava in quell’anno a Mazara del Vallo: i “Dioscuri”. Nel nuovo gruppo c’erano anche  i mazaresi: Vito Calia al basso e voce, Nicola D’Aleo all’organo Hammond, Vito Valenti alla chitarra, Stefano Crimaudo alla tromba, Giacomo De Simone al trombone. Degli amici “Dioscuri” ritornerò a parlare più dettagliatamente più avanti.

    Un altro complesso che si formò in quell’anno a Castelvetrano fu quello de “Le Frecce”, composto da: Tommaso Sino Rizzo all’organo, Giovanni Curiale alla batteria, Paolo Passanante alla chitarra solista, Michele Nastasi alla chitarra ritmica, Luigi Gigi Bongiorno al basso. Nel gruppo c’era anche un cantante che si chiamava Johnny (da non confondere con il nostro Johnny Rallo, famoso chitarrista folk). Era stato lo zio Ignazio Garifo, fisarmonicista, a inculcare a Giovanni Curiale l’amore per la musica. Anche Tina Di Maio, nota cantante dell’orchestra “2000” che abitava proprio di fronte Giovanni, gli dava alcune informazioni sulla ritmica.

    Giovanni un giorno pensò bene di costruirsi una batteria che fosse tutta sua. Nella falegnameria del padre costruì i piedistallo di legno e le bacchette, o “mazzuole” che dir si voglia. Per i piatti prese delle grosse latte vuote alle quali con un apriscatole tagliò i fondi e praticando un foro al centro li sistemò sui piedistallo. Per quanto riguarda i tamburi utilizzò delle grasse scatole di cartone pressato spedite da alcuni pareti di Milano con dei doni. Le prime tecniche le apprese proprio su quella rudimentale batteria. Poi, però, visto che la voglia di suonare era tanta e che altri suoi amici, quelli con i quali formò in seguito il gruppo de “Le Frecce”, avevano tutti acquistato i loro strumenti personali, cercò di mettere qualche soldo da parte. Con quei benedetti risparmi è riuscito, finalmente, a comprarsi una vera batteria anche se di seconda mano.

    I ragazzi del gruppo pensarono, pure, di farsi una bella divisa che avrebbe data una veste di professionalità al loro complesso. Preso un appuntamento con una brava sarta, per raggiungerla profittarono dell’unico mezzo che avevano a disposizione, una Lambretta 125 di proprietà di Giovanni Curiale. Il problema era ch’erano in cinque, ma siccome a quei tempi non ci si perdeva mai d’animo, in qualche modo vi salirono tutti e cinque e via. Giunti all’indirizzo della sarta, non si accorsero che proprio lì davanti c’era la caserma dei Carabinieri.

    In quel momento un appuntato che ne stava uscendo, vide i cinque ragazzi e li fermò. Dopo averli redarguiti, li accompagnò all’interno della caserma dove ci mancò poco che non li arrestassero con ritiro immediato della Lambretta. Per loro fortuna, grazie anche alla magnanimità del capitano dei Carabinieri, l’intervento del padre di Michele Nastasi che abitava lì vicino e conosceva il capitano, si rivelò risolutore. Così i ragazzi, dopo avere promesso che non sarebbe più successo, ringraziarono il capitano e finalmente poterono recarsi dalla sarta che prese loro le misure. In pochi giorni la divisa che essi volevano realizzata fu pronta.

    Nel 1967 altri nostri amici, più grandicelli di noi, davano vita a uno dei primi complessi dei mitici “Anni ‘60”: i “Profughi”. Vi fecero parte: Vincenzo Incerto alla chitarra solista, Angelo Sciroppo chitarra accompagnamento, Vincenzo La Vecchia alla batteria e Giovanni Caravà voce solista. I primi accordi sulla chitarra, a Vincenzo Incerto, li aveva insegnati Mimmo Accardo e a sua volta, quando Vincenzo diventò un bravissimo chitarrista, fu lui a insegnarla a Maurizio Filardo, altro pilastro della musica esportata anche alla R.A.I., dei musicisti castelvetranesi. Questo per spiegare, come in una “catena di S. Antonio”, quali livelli si possono raggiungere e, consequenziali, risultati fenomenali partendo dalla semplice conoscenza di qualche giro armonico. Tutto all’insegna dell’orecchio più puro.

    Allora nessuno di noi aveva alle spalle un maestro, qualcuno che c’insegnasse la musica, quella scritta sul pentagramma. Il tutto avveniva all’insegna del ”Passaparola” sorretto, naturalmente, dall’immensa passione di volere imparare a costruire a tutti i costi qualcosa che ci potesse far vivere intensamente, nel senso più assoluto del termine, la nostra vita di “ragazzi del ’68”.

    Un altro musicista castelvetranese di cui abbiamo parlato nei precedenti articoli è il fisarmonicista Vincenzo Russo. Egli, anche se a fasi alterne, è rimasto quasi sempre a suonare nella grande famiglia del circo. Dopo il “Circo Bisbini”, insieme alla figlia Giovanna alla batteria, sono andati a suonare presso l’“African Circo”. Questo inizialmente non era un grande circo, ma ben presto, nel giro di pochi anni, cominciò a crescere, grazie anche ai cospicui contributi che i vari governi elargivano in favore di questo tipo d’attività, fino a diventare quel grande circo che è oggi: “Città di Roma”.

    A quel punto Vincenzo e sua figlia, da soli, non erano più sufficientemente idonei a gestire un grande spettacolo. Fu in occasione dell’inaugurazione del nuovo circo proprio a Roma che la Direzione pensò bene d’impegnare altri bravi musicisti locali che, in collaborazione con Vincenzo e Giovanna, formarono una vera orchestra degna di suonare in un circo come quello di “Città di Roma”. Fra questi nuovi colleghi Vincenzo fece particolare amicizia con il maestro Alessandro Delle Grotte, l’autore del famoso brano degli anni cinquanta: “Sulla Carrozzella”.

    La direzione del circo spesso faceva intervenire ai suoi spettacoli anche cantanti famosi. Uno assiduo per tanti anni fu il reuccio della canzone italiana: Claudio Villa. Egli veniva al circo sulla sua inseparabile moto indossando il caratteristico giubbotto di pelle alla Marlon Brando, almeno d’inverno. Oltre a Villa, in quel periodo si sono esibiti anche altri famosi e bravi artisti quali Mino Reitano e Rita Pavone.

    Un fatto curioso dell’esperienza di Vincenzo al circo, fu quando alla fine di uno spettacolo a Catania i leoni riuscirono a scappare seminando il panico tra la gente. Uno dei leoni andò a finire dentro una chiesa e un altro riuscì a intrufolarsi in un condominio, salire le scale, introdursi in un appartamento, che per caso aveva la porta aperta, e sistemarsi all’interno di una vasca da bagno dove, poco prima, una signora aveva fatto il bagno. Comunque le squadre dei tecnici dello stesso circo furono in grado, supportati dai domatori, di recuperare le bestie prima che queste potessero fare del danno alle cose e alle persone. In pratica un bello spavento, ma anche uno spettacolo inedito e assolutamente gratuito.

    In un’altra occasione, mentre il circo si trovava nella periferia di Roma ed essendo scappati nuovamente un paio di leoni, prima che gli addetti al recupero del circo riuscissero a domarli e riportarli nelle loro gabbie, le bestie avevano già fatto un bel po’ di danni essendosi intrufolati in un magazzino di stoffe.

    Chiudiamo questa prima parte parlando del famoso anno 1968.  In Sicilia e nella nostra provincia, non di rado, venivano i maggiori cantanti e complessi di quell’epoca, ma mancando i mezzi finanziari per andare ad assistere ai loro concerti ci si arrangiava alla meglio. Alla villa comunale di Menfi, a esempio, venivano spesso questi gruppi famosi e alcuni musicisti di Castelvetrano si organizzavano per andare ad ascoltarli. Il problema era il biglietto d’ingresso: non c’erano mai soldi nelle loro tasche.

    Pino e Renato Adorno, insieme ai futuri rispettivi cognati Salvatore Giaramita ed Enzo Chiofalo e Peppi funcia, si dovettero improvvisare scalatori. Con loro c’erano anche: Peppe Fortunato, detto Peppe Gilera per via dell’officina meccanica del padre che riparava soltanto moto Gilera, e Nino Garofalo uno dei figli del cavaliere del lavoro Gioacchino Garofalo, proprietario sia dell’omonima Premiata Pasticceria di via Marconi sia della sala trattenimenti “Eden” di via Bresciana, sempre a Castelvetrano.

    In pratica, scavalcando il muro di cinta della villa, riuscirono a entrare contenti di aver fatto chissà quale impresa e potersi godere lo spettacolo gratis. Siccome, però, i conti si fanno sempre senza l’oste, furono sorpresi da due carabinieri che facevano un giro di perlustrazione che li ricacciarono all’esterno della villa. Voi pensate che i ragazzi del ’68 si potevano arrendere di fronte a un piccolo incidente di percorso come quello.

    Si spostarono in un altro punto meno sorvegliato e ritentarono la sortita, stavolta con esito positivo. Più soddisfatti di prima s’incamminarono furtivamente verso il palco dove si sarebbe esibito dopo un po’ nientepopodimeno che Gianni Morandi. I carabinieri, però, che evidentemente non erano quelli delle barzellette, sono stati più furbi di loro e, prevedendo la successiva mossa dei “ragazzi del muretto” a volere scimmiottare una seguita serie di “finction” televisiva, li fermarono nuovamente e questa volta li minacciarono d’arresto.

    I ragazzi del ’68, per nulla intimoriti, non desistettero e, impavidi, ritentarono per la terza volta una nuova sortita a costo di andarsi a fare qualche giorno di “gattabuia”, sarebbe stata pur sempre un’esperienza. Questa volta, finalmente, andò decisamente meglio. I carabinieri, impegnati altrove o coscienti che non si potevano arrestare dei ragazzi che, sì, stavano compiendo un atto illecito, ma erano mossi dalla grande passione per la musica e niente li avrebbe fermarti, pensarono di premiare la loro caparbietà e lo sprezzo del pericolo e vollero far finta di non vederli.

    In un’altra occasione, ma con meno peripezie, stessa compagnia, stessa villa di Menfi, in occasione di un concerto della “Formula Tre”, tutto era andato liscio e i ragazzi avevano trascorso una bellissima serata in compagnia godendo dell’ottima musica offerta loro da un gruppo storico degli anni ’60, quindi molto vicino alle loro esigenze musicali d’allora. Al ritorno Renato Adorno, che guidava una delle due macchine con le quali avevano raggiunto Menfi, avendo un po’ di fretta di rientrare a casa, partì prima dell’altra macchina e cominciò a “mangiarsi” la strada.

    Dopo un po’ di tempo, però, arrivò l’altra macchina guidata dal fratello Pino. Malgrado il buio, egli si accorse che la 500 bianchina guidata da Renato era “accappottata”, era andata a finire a ruote per aria con tutti gli occupanti ancora dentro. Per fortuna sia il fratello Renato sia gli altri amici non si erano fatto niente di grave se non qualche piccola escoriazione e una grande paura. Aiutati gli “accapputtati” a uscire dall’abitacolo e, dopo avere rimesso a forza di braccia in carreggiata l’autovettura, poterono finalmente fare ritorno a Castelvetrano.

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