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La storia del fotografo Calogero Varvaro e dei suoi magnifici scatti su Selinunte

del 2015-07-22

Immagine articolo: La storia del fotografo Calogero Varvaro e dei suoi magnifici scatti su Selinunte

Continuo il racconto della storia dei fotografi castelvetranesi con un altro personaggio che ha fatto la storia della fotografia nella nostra città, Calogero Varvaro.   

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  • Varvaro è nato a Castelvetrano il 25 febbraio del 1915. La sua infanzia, almeno fino all’età adolescenziale, l’ha trascorsa a Palermo, dove i suoi genitori hanno gestito per un breve periodo una piccola impresa alberghiera.

    Calogero aveva quattordici anni quando andò a lavorare come garzone presso il famoso studio fotografico Cappellani di Palermo. Qui crebbe irrefrenabile in lui la passione per la fotografia che lo portò a una formazione tecnico-culturale nel campo fotografico non indifferente per quei tempi. Raggiunta la maggiore età decise di ritornare nella sua Castelvetrano, dove aprì un proprio studio fotografico nella via Garibaldi al numero trentatré, in un immobile di proprietà della famiglia Lucentini. Lo studio rimase aperto fino al 1990, anno della sua definitiva chiusura.

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  • Durante tutto questo periodo Calogero non si avvalse mai della collaborazione d’apprendisti né di altri fotografi più o meno principianti, ma frequentava molto volentieri i vari fotoamatori che lo andavano a trovare, uno per tutti il compianto Franco Stella.

    Calogero era un personaggio eclettico e, nel suo campo, ha rappresentato un punto di riferimento per quei pochi giovani castelvetranesi che cercavano d’avvicinarsi alla fotografia. Sempre attento alle innovazioni nel campo fotografico è stato il primo fotografo a stampare a colori dotandosi d’attrezzature adeguate, anche se molto costose.

    Calogero preferì sfruttare la sua professionalità indirizzando il suo interesse verso l'arte documentaria, rifacendosi al grande fotografo russo-americano Roman Vishniac. La sua minuziosa raccolta di foto con le quali ha testimoniato tutte le drammatiche fasi del terremoto del 1968 nella Valle del Belìce, ne è un chiaro esempio.

    A Calogero non sfuggiva neanche un minimo particolare e con la sua macchina fotografica riusciva a cogliere anche l’attimo fuggente d’un fatto interessante, d’una determinata situazione di vita quotidiana, d’una bizzarria, d’un evento straordinario sempre all’insegna dell’originalità. Il suo occhio attento scrutava luoghi e personaggi nell’intento d’impressionare la pellicola con dei fotogrammi singolari che contenessero al loro interno tutta la fatica d’una realtà dura nella sua drammaticità.

    Calogero con i suoi scatti mirati ha anche raccontato tutti i cambiamenti d’una Castelvetrano che voleva alzare il capo dopo un evento così tragico e distruttivo, qual era stato quello del terremoto, regalandoci immagini di storia che hanno fatto epoca.

    Sue gigantografie sono, ancora oggi, esposte presso la storica sede della “Società Operaia” di Castelvetrano e presso la sede del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali di Castelvetrano, ex albergo “Selinus”, in via Bonsignore.

    Ci ha, poi, regalato, con estrema dovizia di particolari, tutta una serie di foto scattate ai ruderi del parco archeologico di Selinunte, dei quali era un attento conoscitore, non trascurandone l’aspetto ritrattistico. Ciò che, invece, curò poco o nulla, fu la fotografia cerimoniale. Egli disdegnò tutto ciò ch’erano matrimoni, battesimi e feste in genere che considerava come non arte fotografica.

    Calogero è stato il primo fotografo, alla fine degli anni settanta, a sperimentare le tecniche di stampa su lastre d’acciaio, terracotta e juta. Con alcune sue gigantografie dei “Templi” di Selinunte ha raggiunto dei risultati sorprendenti. Esse contengono elementi fotografici che solo l’occhio preparato d’un esperto e attento conoscitore può ammirare nella sua magnificenza. Il tessuto culturale cittadino di quei tempi, d’altronde, era a totale beneficio di pochi eletti appassionati.

    Una nota peculiare caratteristica di Calogero era quella di tenere sempre accesa una sigaretta tra le labbra. In pratica egli utilizzava un solo fiammifero, al mattino, poiché le altre sigarette le accendeva l’una con l’altra e aveva gli indumenti perennemente ricoperti di cenere.

    Questo fatto mi fa ricordare il mio preside del liceo scientifico, Francesco Bottalico. Egli, col suo abituale inamovismo quando doveva gustarsi una sigaretta, riusciva a farla consumare tutta con la cenere che, dopo avere acquisito una forma arcuata, rimaneva integra attaccata al filtro. Alla fine, solo per inerzia, essa cadeva sporcandogli, come succedeva a Calogero, la camicia. Varvaro si è spento il 20 maggio del 1996 a Marinella di Selinunte all’età di ottantuno anni.

    L’unico parente diretto che ha coltivato l’interesse per la fotografia è stato il nipote Giorgio, figlio del mio carissimo compagno di liceo Fausto Varvaro, oggi medico.

    Giorgio ha conseguito la laurea in “Fotografia e Nuovi Media” presso l’Accademia di Fotografia di Firenze. Egli, che non ha nulla da invidiare al nonno, ha imparato la cultura e la tecnologia dell’arte fotografica sia analogica sia digitale. 

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