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La morte di Saridda tra degrado, molestie e distacco sociale

di: Salvatore Di Chiara - del 2022-03-06

Piazza Stazione anni Trenta

In foto: Piazza Stazione anni Trenta (ph. Il Castelvetranese DOC, pagina Facebook)

Tra corsi e ricorsi storici, gli anni Cinquanta e Sessanta della città di Castelvetrano sono stati quelli che hanno evidenziato una serie di omicidi compiuti o sventati grazie alla prontezza delle forze dell'ordine.

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  • La città stava provando ad uscire dalle macerie imposte dal secondo conflitto mondiale. I castelvetranesi erano alle prese con le difficoltà economiche e si era creato un netto distacco sociale tra ricchi e poveri.

    Alle due categorie si era aggiunta quella del “popolo invisibile”. Invisa, derisa e abbandonata dal resto della cittadinanza, gli appartenenti a tale classe vivevano di stenti e nella miseria totale. Uomini e donne senza fissa dimora, malati e alcolizzati vivevano rintanati nelle periferie della nostra cittadina.

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  • Tra essi, una donna particolare con una vita divisa tra un passato intenso e un presente marcio. Il suo nome era Rosaria detta “Saridda”.

    Una donna raggrinzita, magra, malata che a stento riusciva a camminare. Coloro che conoscevano Saridda ne parlavano con tristezza per l'enorme cambiamento subito dalle sue esperienze. Una giovinezza segnata dalla bellezza del viso, con un'aurea bionda che calcava a pennello lungo le spalle. Un corpo longilineo, armonioso nella sua presenza e degli occhioni che tormentavano qualsiasi tipo di uomo.

    Nonostante quell'immensa bellezza, il suo corso era stato “la vita”, perché riusciva a guadagnare e soddisfare le sue attese e pretese personali. Aveva una fiamma accesa nel suo sguardo a tal punto da togliere il fiato a chiunque si avvicinasse.

    I pareri volgevano all'unanimità verso un unico pensiero. Quale? Saridda poteva aspirare a una vita migliore fatta di normalità, divertimenti e non lasciarsi ingolosire dalla facilità di guadagno.

    E poi? I segni della stanchezza, l'incombere della vecchiaia e la malattia la ridussero ad essere un ammasso di ossa coperto da poca pelle. Uno stravolgimento dettato dall'incuria dei suoi anni, persi nella debolezza interiore.

    Aveva trovato riparo in una grotta (presso la via Risorgimento) a pochi passi dalla stazione ferroviaria. Un rifugio in mezzo ad un ammasso di rifiuti e pieno d' insetti. Un classico luogo malsano, sporco e lontano da occhi indiscreti.

    Ogni tanto, un gruppo di ragazzi inveiva contro la povera donna, arrecandole solo danni morali e perseguitandola nell'animo distrutto dalle vicissitudini. Uno straccio cercava di coprirla per non lasciarla interamente nuda, tra il degrado e la mancanza di affetto.

    Quella grotta rappresentava il suo unico momento di pazienza, serenità e abbandono da una società che maltrattava i più deboli. Nonostante i continui ricoveri ospedalieri, non smise mai di fumare e soprattutto di bere.

    Morì una sera dopo una colluttazione avvenuta con un uomo.

    Tutto avvenne per colpa di trecentodieci lire. Una cifra irrisoria ma che le costò la vita. Denari rubati  dalla mendicante e conservati dentro una bottiglia. La stessa era considerata l’unica fonte d'amicizia e dalla quale non si separava mai.

    Purtroppo, una volta scoperto il furto, venne presa a bastonate ripetutamente e cedette sotto il peso incessante delle botte ricevute, morendo nel silenzio più assordante.

    Il dott. Melluso, in presenza del sostituto Procuratore della Repubblica, delle autorità giudiziarie e del Segretario, confermarono il decesso avvenuto tra la notte del 17 e l'alba del 18 luglio del 1958.

    Era avvolta nel sangue e la sua morte diede fine ad una vita distrutta da tempo.

    Saridda era stata uccisa da un sistema marcio, fraudolento e privo di cognizione umana. La sua incapacità l'aveva cancellata dall'appartenenza castelvetranese. Tra errori e orrori, era venuta a mancare la forza di volontà nel raggiungere un vero obiettivo e lasciò che il destino facesse il suo corso.

    Il suo aguzzino venne trovato, arrestato, processato e condannato. Durante il processo raccontò alla perfezione ogni singolo passaggio di quella sera, colmata con l'uccisione della povera castelvetranese. Una storia ripugnante e figlia di un disagio radicato nella società civile.

    Foto: pagina facebook "Il Castelvetranese DOC"

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