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Castelvetrano 186 anni fa in un racconto del dottor Vincenzo Navarro

di: Arch. Giuseppe Salluzzo - del 2022-03-02

Immagine articolo: Castelvetrano 186 anni fa in un racconto del dottor Vincenzo Navarro

Fare una ricerca storica porta a incontrare una fonte significativa e sicuramente utile, magari da mettere da parte e pubblicare o citare alla prima occasione. Per hobby spesso mi capita di fare delle ricerche e la prima attività da compiere è sempre quella di consultare le fonti storiografiche.

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  • Le fonti storiche sono i documenti o i materiali da cui è possibile trarre dati e altre indicazioni utili, elementi essenziali per ricostruire un determinato evento o periodo storico. Oggi le ricerche portano lo storico negli archivi, nelle biblioteche e sulla rete, quest’ultima permette di attingere anche a volumi o documenti difficilmente accessibili in passato, se non si era fisicamente presenti nel luogo che custodisce il documento.

    Ritornando al tema di questo articolo interagire con le fonti apre ad incontri anche inaspettati, una fonte incuriosisce e potrebbe essere utile ad altri studiosi. Nel caso particolare non si tratta di un fatto di cronaca preciso, ma di una descrizione della nostra città generica e sintetica che ci porta indietro di ben 186 anni.

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  • Il dott. Vincenzo Varvaro di Ribera, residente in quel periodo in Sambuca di Sicilia, ogni tanto per motivi di lavoro da Sambuca raggiungeva le città vicine e tra queste Castelvetrano. Il medico, che era un appassionato di storia, amava raccontare i suoi viaggi e così pubblicò una breve descrizione della città Castelvetrano nell’anno MDCCCXXXVI sul giornale letterario di Palermo.

    Navarro Vincenzo, Castelvetrano nel MDCCCXXXVI, in Alcune prose del dottor Vincenzo Navarro da Ribera, Estratto dal giornale letterario Palermo 1841

    Castelvetrano nel MDCCCXXXVI.

    Chi per la via di terra, valicato il Bilici passa per le svariate e belle campagne; e pel comune di Partanna, di civiltà pieno, e di cortesia, al di là di quell’abitato, alcune vaghe convalli, ed ameni burroni percorsi, vede una esterminata e bellissima pianura innanzi a se comparire, la di cui amenità e gaiezza non si può con parole  descrivere.

    È dessa la pianura di Castelvetrano e di Mazara che fino a Trapani si estende: è l’amica pianura selinuntina e lilibetana, ove Greci e Romani, Punici e Siculi, Normanni e Saraceni pugnarono; ed altre armi straniere, che son venute a far conquista di questo bel paese che fra i mari si giace, al modo inteso obbietto d’invidia, di meraviglia e di amore. Io non aveva mai goduto di un somigliante spettacolo; partito da Sambuca coll’ottimo padre della mia cara consorte, e col sig. dottor Giovanni Adria, ricco erudito e saggio gentiluomo di Castelvetrano, giungemmo a pieno giorno io quelle amenissime pianure.

    Era un bel dì di primavera: il cielo sereno e ridente, come suol essere quasi sempre appo noi: il sole brillava in tutto il suo splendore, ed una luce vivissima su tutti gli obbietti si spande. Mi fu per tanto agevole percorrere collo sguardo quella immensa pianura, tutt’adorna di ulivi e di mandorle, di palme e di pini, di verdi biade e di pampinose viti.

    Come più m'inoltrava, scorgea sempre più bella, e rigogliosa una vegetazione di piante e di alberi incantatrice; e mi fu dato con piacer osservare che in quelle campagne l’agricoltura spiega tutta la sua attività e la solerzia. Non vidi un palmo di terreno non coltivato; nè un albero brutto di seccume. Delle blande esalazioni de' fiori l'aria era tutta imbalsamata: l'ombre degli alberi spandeono intorno una soave frescura; e un sentimento di cara voluttà si diffondea sulla ni ma mia che davasi a benedire il Sommo Datore dal quale ogni bene deriva.

    Inoltrandoci più, vedemmo comparire Castelvetrano, che con le sue belle fabbriche, in mezzo a quella verdura, terminata alla parte di Occaso dall'azzurro e vasto mare africano, ne presentava una veduta sì bella e pittoresca che il cuor di tutta dolcezza n’empiva. Verso la spiaggia noi miravamo da lungi vari mucchi di minati massi, che di un bigio-rosso splendeano ai vivi raggi del sole: eran quelli le rovine degli antichi templi di Selinunte.

    O Selinunte, due volte abbattuta, e due risorta, o di Cartagine intemerata nemica, e sventurata amica, di Roma! io venni a prostrarmi sulle tue ruine, ad ammirare e ad abbracciare i tuoi enormi e venerandi avanzi; a piangere sulla tua perduta grandezza.

    E sono sceso sotto gli ammontati ruderi del tempio dell’olimpico Giove, in quella specie di bel sotterraneo, donde le meravigliose metopi per cura del provvido Governo, ed opera del sommo Villareale furon tratte; e su quelle pietre ho lasciato scritto come in segno di omaggio il mio nome, tra i  molti illustri, che ho scorto ivi segnati.

    No, non è questa una vanità, un letterario orgogliuzzo, come altri per avventura vorrebbe dare ad intendere. E questo un rispettoso tributo, che con mimo tremante ogni uomo, compreso dall’idea della circostante grandezza, ivi lascia; nè altro io vi scrissi che Vincenzo Navarro vide ed ammirò. — Di queste antichità selinuntine non rimane altro a dire dopo quanto il chiarissimo ed insigne nostro Duca di Serradifalco ha scritto nella sua stupenda opera delle Antichità della Sicilia.

    Giunti in Castelvetrano vi trovammo generosa e cordiale ospitalità, cui tutta è ben dovuta la nostra riconoscenza. È Castelvetrano un abitato di circa a ventimila anime, di quasi un miglio quadrato: ha piazze per lo più di figura triangolare e poligone, dove mettono sei ed otto vie utili all’attività pubblica ed al commercio: le strade son rettilinee, piane spaziose.

    Ed ha dolci acque perenni; pressoché trenta chiese; una madre parrocchia, dedicata a S. Giovanni, ov’è un’insigne collegiata; un monastero sacro alla Vergine Annunziata; un Ritirò per le orfani, un Collegio di educazione per le fanciulle; un Conservatorio per donne; sei Conventi, di Cappuccini cioè, Riformati, Domenicani, Paolotti, Carmelitani, e Teresiani; un Ospedale per uomini e per donne; due locande belle comode e pulite con caffè; ed un luogo di compagnia pe’ gentiluomini grande comodo e bello, composto di tre stanze ben addobbate, due delle quali sono per, un portico unite, ed un retret ed ha molti e buoni caffè pubblici, e ben ornati.

    Per obbietti di arte ’ noi ammirammo nella chiesa madre la bellissima statua di S. Giovanni, opera del celebre Antonio Gagini, un po’ manierata ne’ panni, uo quadro della Decollazione del Battista a fuliggine, perciò da alcuni creduto di Gherardo Hundhorst o delle Notti, ed un altro di Maria Santissima delle Grazie, lavoro del nostro immortale monrealese, il Novelli.

    In s. Domenico con piacere osservammo la cappella maggiore, gotica in sua origine, e restaurata verso il 1577: essa è ornata di opere di stucco, di pittura, di creta cotta, d’incognito autore. L’albero di Gefte di creta cotta, ch’è all’apice dell’arco maggiore, è lavoro di Antonino Ferraro di Tommaso da Giuliana, pittore, scultore ed architetto siciliano, come da una iscrizione si scorge. Vi è ammirabile un quadro dello Spasimo, copia fedelissima eseguita dal cremonese Pietro Fondelli sopra il quadro originale di Raffaello, che trovasi in lspagna, rapitoci forse  nella dominazione degli Spagnoli.

    Ivi son pure belli a vedersi due quadri del cinquecento sopra tavole, uno della Circoncisione, veramente bello per composizione, e l’altro di s. Vincenzo Ferreri, com’anco altri quadri di buona scuola, ed una statua di marmo di Nostra Donna di Loreto col bambino in braccio, attribuita a Gagini; ma o non è sua, ovvero è della sua prima maniera.

    In s. Teresa sono altri due quadri del Novelli; l’uno di s. Teresa con la Vergine e S. Giuseppe, di cui ammirabile è la testa, siccome gli angioli, e il rosario sul collo della Santa; e l’altro di s. Gregorio Taumaturgo, di cui pure bellissima è la testa, e gli angioli in gloria, e la composizione: questo quadro è forse della figlia del Novelli.

    A’ Cappuccini è un bel quadro di S. Sebastiano; e nel cappellone un altro del cinquecento sopra tavola, rappresentante la Sacra Famiglia, s. Francesco ed altri santi. Nella chiesa di Maria degli Agonizzanti è alla vòlta un affresco di figura parallelepipeda del rinomato Vito di Anna di buon' effetto.

    Per manifattori e sono a rammentar con lode le due fabbriche di Antonino Pappalardo e Salvadore Giardina, e di altri singoli che s'impegnano ad imitarli, sì come sono le signore Triolo e la signora Benvenuta Viviani, dove si fanno, rasi di cotone, docchi, materassi, fazzoletti di ogni sorte, ed altro. Nè vorrem tacere della signora Teresa Consiglio, appo cui si lavorano bellissimi fiori che non temono il confronto di quelli che dalla Francia, e dall’estero ci vengono.

    Degna d’incoraggiamento è la fabbrica di magnesia nitrica della signora Leonora Infranca. Vi son pure vari frantoi di olio di lino; e due paratoi di albragio. Vi son nove molini ad acqua fuori l’abitato perennemente mossi dal solo Madione.

    Fra gli artieri di ogni sorta, cioè calzolai, sarti, falegnami che lavorano sedie ed impelliccialo all’uso della Capitale, e marammieri, e fabbri, ed altri, si distinguono gli armieri tre fratelli Gallo e figlio, che lavorano di un gusto perfetto. Anco un Procidano vi lavora bene di marmi. Vi trovi pure tre orefici, e cinque fondachi, ove si vendono panni, mussolini, e tutt’altro. Havvi la sola scuola lancastriana.

    Gli abitanti vi sono culti, solerti, civili: in ogni professione vi si distinguono de’ valorosi; e nella farmacia specialmente sono esimii i sig. Antonino Gambino e  Giovanni Signorelli. Le donne sono oneste, belle spiritose, perite nelle arte donnesche; e non poche conoscono benissimo il riccamo a cotone a seta ad oro.

    La plebe vi è costumata dabbene ed industriosa. Bellissimo, ben coltivato, ameno quanto mai è l’agro di Castelvetrano sì che ti sembra di Natura e di Arte un fioritissimo giardino, terminato da un vasto e bell’orizzonte di mare. Grande pure egli è, ed ubertoso. Annualmente produce circa quattordici mila salme di frumento, quattro mila d’orzo, tre mila di fave, due mila di linusa, duecento di altri legumi, centomila quintali d'olio, trentamila botti di vino.

    Produce pure squisiti moscati ed altri-vini generosi, frutta d’ogni sorte e fogliame. Vi son buoni pascoli: molto bestiame bovino, moltissimo pecorino; é quindi ragguardevole prodotto di caciocavalli e di formagi. Vi è, salubrità di aria; e abbondanza d’ogni sorta di viveri, Il pesce nell’està lo ricevono dalla propria spiaggia; e sempre dalla marina di Sciacca e di Marsala.

    Non abbiamo voluto partire da Castelvetrano senza aver prima veduta l’umile casetta di una serva di Dio tuttora vivente; e non vogliamo dar fine a questo nostro breve ragguaglio senza rendere grazie sincere alla cortesia de’ nostri ospiti signori dottori Giovanni, Antonino, e Benedetto Adria, e dell’ornatissimo sig. Ab. Viviani, dotto e cortese Archeologo, che quasi in tutti i giorni della nostra dimora ci fu onorevole scorta, la di cui rimembranza sarà sempre cara, e gradita sempre al nostro, cuore.

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