Nel ricordo di Berto Giambalvo, scrittore castelvetranese dalle umili origini e dai racconti straordinari sulla Sicilia
di: Salvatore Di Chiara - del 2021-11-20
La vita è un percorso ad ostacoli contraddistinto da gioie e dolori, obiettivi raggiunti e qualche rimpianto. Spesso, ci preoccupiamo delle grandi questioni che riguardano il mondo contemporaneo, trascurando il nostro vissuto quotidiano che meriterebbe invece un'attenzione maggiore.
E' proprio questa la filosofia di Umberto Giambalvo, un nostro umile concittadino le cui sagge parole non hanno nulla da invidiare alle grandi teorie filosofiche sull'esistenza umana. La sua vita semplice segnata dal sudore, dalla fatica e dall'impegno dei campi castelvetranesi é descritta in modo semplice ed efficace nei suoi racconti caratterizzati dall'uso del vernacolo siciliano.
Quelle di Berto (così si faceva chiamare dagli amici) sono opere d'importante interesse collettivo, recuperate e custodite dal presidente dell'Università Libera di Trapani, il prof. Garraffa. Quest'ultimo, insieme al prof. Franco Di Marco hanno scoperto l'immenso valore di queste operette, alcune delle quali tramandate e trascritte dagli stessi perché raccontate oralmente.
I testi non furono solo raccolti, ma anche tradotti in lingua italiana così da renderli accessibili ad un vasto pubblico di elettori. Risale al 1990 la pubblicazione del libro “Lu Codici di la Santissima Nicissità” . Un libro di racconti, caratterizzato da curiosi dialoghi e descrizioni vivide che coinvolgono intensamente il lettore regalandogli anche un insegnamento morale.
Soprattutto nei testi si evidenzia la mancanza di coesione tra passato e presente, considerando la modernità un elemento negativo caratterizzata dalla nuova generazione che a detta di Giambalvo, non è in grado di comprendere l'importanza dei modi spicci, facili e decisi.
Una generazione debole e poco proficua, che cade volontariamente in un vortice di mancanze, assenze e manifesta poco tatto intellettivo. I suoi racconti parlano di miseria quotidiana, in un periodo dove la Sicilia - ed in particolare la nostra città-, usciva martoriata dalla seconda Guerra Mondiale e provava lentamente a risollevarsi per ritornare alla normalità.
Era una vita piena di stenti, fame e ricerca di un pezzo di pane da portare a casa. Le difficoltà erano molteplici e lo stesso Giambalvo lo raccontava a un gruppetto di amici. Bisognava essere tra i fortunati per riuscire a partecipare nella sua tenuta alle porte di Castelvetrano. Iniziava un lungo racconto, soffermandosi su alcuni punti cruciali ed ascoltarlo diventava un momento indescrivibile.
Nonostante fosse restio alla pubblicazione delle sue opere, il nostro concittadino accettò la proposta del Di Marco ed iniziò un processo di trascrizione abbastanza accurato e complicato che diede vita a un lavoro di notevole fattura.
L'autore castelvetranese usava uno stile puramente siciliano, con usi, costumi, esclamazioni, nessi e pause rientranti tra i pregi letterari di pochi. Il dialetto castelvetranese fu esaltato nelle sue profonde radici: forte, determinato e ricalcando l'onta tradizionale che contraddistingueva il personaggio nelle sue nobili virtù.
L'obiettivo era quello di ampliare la lettura ad un pubblico numeroso, evidenziando la presenza di un narratore siciliano. Molte caratteristiche del linguaggio erano fonti espressive particolari e non andavano disperse nel dimenticatoio. Un vocalismo presente nel siciliano occidentale, detto primevo laddove in quello della Sicilia orientale è presente il dialogo metafonetico. Il VS lo colloca fra i dialetti trapanesi orientali al punto 11.
La lettura riesce a mitigare ogni dubbio della sintassi, punteggiatura, lessico, doppie, accenti ed abbondanze grammaticali utilizzate. Un libro che racchiude una ventina di racconti brevi in un codice.
Nel rispetto dello stesso, ha assunto un significato speciale. Berto non credeva di meritare apprezzamento ed essendo un umile agricoltore, si evidenziavano gli umori che circolavano dentro la sua scrittura.
L'importanza della nicissità, scandito dal bisogno di guadagnarsi col sudore e la durezza della vita il sostentamento. Santa, perché si traduce in un'etica comportamentale connotata per un verso dalla quieta accettazione del lavoro come legge immanente, inalienabile, necessaria di una condizione umana spesso ingrata, per altro verso da un misurato appagamento dei bisogni del vivere.
Infine, è collegata da una trama di rapporti interpersonali a misura d'uomo pur in realtà contrassegnata dal perdurare di diseguaglianze sociali. E' stato complicato prendere alcuni spezzoni in particolare, cercando di non sminuire il resto dei racconti.
Essendo nel periodo della raccolta di uno dei prodotti di maggiore interesse economico del nostro paese (olive), mi son soffermato sui modi e costumi di quest'ambita coltura.
Tutti a lu scuru, ogni-mmatina, a-ffrotta tiravanu versu lu sirvizzu, li scecchi masculi davanti um-mulianu caminari, picchi la testa l'avianu a li scecchi fimmini di darrera ( e chi-ttesta!), e cc'eranu sempri tra lu patruni e lu sceccu sciarri, arraggiunamenti e-ppuntariddati nta lu arresi. Lu sceccu cchiu'-ssapienti era chiddu di lu capu ccetta: vecchiu, carmu, attunatu anchi ntall'arragghiari , li locura li sapia tutti a-mmemoria; avia vint'anni chi-ffacia ssu misteri, unn-era un puddiruni stravacanti.
Lu zzù Nzulu era pratticu di trappitu, chi di picciutteddu avia sempri fattu lu mastru di chianca, c'un falari di peddi di pecura davanti tuttu nchiappatu d'ogghiu, picchi li coffi chini d'alivi macinati si li stricava panza panza, pigghiati di ncapu la scutedda dunni si macinavanu e mpustati una ncapu natra sutta la viti. Poi, a-fforza di vrazza e-cianchi , tutti a la manuedda; puru lu patruni di l'alivi, chi forsi mittia cchiù forza picchì l'ogghiu cci lu vulia fari sciri tuttu e l'avia cotu tutti a-ccocciu a-ccocciu e cci avia puru li pipituli ntall'ugna, e la mugghieri appressu cu la canna cusà ntall'arvulu nn-arristava quaccheruna, ch'appena capitava la cannata , partia di l'arvulu comu na badda di scupetta , mentri cci dicia a-sso figghiu; talia dunni cari. Tuttu lu sirvizzu si facia cu la carma e-ssenza scrusciu.
Leggendo il libro, si avverte il bisogno emotivo di non perdere le tradizioni di questa città, creando un'aspettativa futura migliore. Avvicinarsi alla conoscenza del passato può migliorare molti aspetti della vita attuale.
Berto Giambalvo ha illustrato passi interessanti, dimostrando immense capacità umane e delineando un quadro perfetto della società castelvetranese. Dovremmo sentirci tutti inconsapevolmente amici di Berto.