Quando il grano era ricchezza per la Sicilia. Oggi sempre meno produzione e più importazioni
del 2022-07-07
L’anno 1760 segnò l'inizio del percorso di evoluzione economica e industriare della società agricola artigianale-commerciale, caratterizzato dall'uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica e dall'utilizzo di nuove fonti energetiche inanimate.
Questo processo, però, non interessò una gran parte dell'italico suolo, come testimonia e scrive il primo premio Nobel della letteratura italiana, Giosuè Carducci, nella lirica titolata “Davanti San Guido”.
Oggi, nel XXI secolo, il mondo scopre, più che mai, la necessità di interessarsi a politiche agricole che sono alla base e alle origini dell'esistenza dell'uomo, vedi la produzione cerealicola della famiglia delle “Poaceae” e tra queste il grano, arcaicamente chiamato “Trittico”, genere graminacee-classe Liliopsido, di antica coltura nelle aree del Mediterraneo, del Mar Nero e del Mar Caspio.
La nostra terra di Sicilia, un tempo appellata il “granaio di Roma”, non produce più sufficiente grano, per via delle politiche agricole suggerite dal nostro Parlamento, che hanno fatto così sparire o quasi la coltivazione dei grani duri siciliani.
Se ne contavano 52 varietà, ricchi di semola, ricercati per la produzione di pasta e pane, quali: Russello, Bilì, Tumminia, Senatore Cappelli, Capiti, Perciasacchi, per citare i più conosciuti, che sapientemente venivano coltivati secondo le qualità e le caratteristiche dell'appezzamento di terreno vocato a tali colture.
I grani menzionati, prodotti in Sicilia secondo antichi metodi e tradizioni, tra cui i più diffusi erano la semina a “sulicu” (solco) o a “spagghiu” (spaglio), producevano grano biologico, osservando la rotazione delle terre e favorendo la biodiversità.
Il periodo di semina, dopo aver lavorato il fondo agricolo con diverse tecniche di aratura, cadeva a calendario tra la terza settimana di ottobre e la prima di novembre, tant’è che il vecchio adagio recitava: "Pi li morti, lu furmentu, si u nn'è natu è seminatu".
Mentre, oggi, l'agricoltura industriale russa, ucràina e canadese ci fornisce prodotto a glifosato, noto come erbicida totale (e viri chi mangi!).
I mezzi agricoli impiegati rimanevano, in barba a quanto premesso (vedi rivoluzione industriale), legati all'Età Neolitica, utilizzando per esempio l'aratro a chiodo, che presentava, rispetto al suo più antico antenato, pochi elementi distintivi.
Mentre nel Neolitico il vomero era in osso o lamelle, trainato da forza umana, quello in uso da noi siciliani, fino agli anni Cinquanta del XX Secolo, possedeva un vomero (la vommera) in ferro e veniva trainato da forze animali (cavalli, muli o asini).
Nella terra dei miti, dei Ciclopi e degli *ecisti, il ciclo produttivo del grano si legava a Demetra, figlia di Crono e Rea.
Secondo il rettore ateniese Isocrate, il più grande dono all'unanimità di Demetra, il cui nome latino non a caso era Cerere, furono i cereali, che hanno reso l'uomo diverso dagli animali, e i Misteri che hanno consentito di coltivare speranze più elevate per la vita terrena e per ciò che dopo la vita verrà.
La greca Selinunte tributava un santuario, di recente scoperta ed escavazione, a Demetra “Malophoros”, colei che porta i melograni.
Oggi, una scultura ellenistica di Demetra - la Venere di Morgantina - risalente al periodo classico (Cinquecento a.C.), è ammirabile, nella sua maestosa bellezza, presso il Museo Archeologico di Aidone (Enna), piccolo centro di origine longobarda.
* l'ecista era il capo di una spedizione che guidava la colonizzazione di una terra o di colonie
Il Presidente dell'Archeoclub
Campobello Cave di Cusa
Antonino Gulotta