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Il Dottor Michele De Sabato e le sue straordinarie abilità mediche. Seconda parte del racconto di Vito Marino

di: Vito Marino - del 2018-12-17

Immagine articolo: Il Dottor Michele De Sabato e le sue straordinarie abilità mediche. Seconda parte  del racconto di Vito Marino

Su di lui si narrano tanti aneddoti riguardo alle sue particolari doti d’altruismo, disinteresse, umanità, generosità, disponibilità verso chiunque. Ne riporto soltanto alcuni, riferitimi direttamente dalla sua viva voce: - Chiamato di notte ad assistere un ammalato che si trovava in campagna, veniva accompagnato in calesse fin dove giungeva una strada carrareccia; oltre bisognava proseguire a piedi.

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  • Per la fretta e per il buio fitto, nell’attraversare i binari della ferrovia, inciampava nella prima traversina e batteva violentemente il costato e il fegato sull’altra. Avrà l’animo di reagire all’avversità dando a chi l’accompagnava ogni giusta indicazione affinché l’assistenza e il trasporto venissero effettuati in modo da non aggravare ulteriormente l’organo lesionato.

    Pure in quelle condizioni rivolse un pensiero a colui che aveva richiesto la sua assistenza e cercò in qualche modo di aiutarlo. Durante il secondo conflitto mondiale, viene scongiurato dai familiari di un giovane militare gravemente ferito ad un braccio, ad intervenire per evitare l’amputazione dell’arto deciso dall’Ufficiale medico. Accertato che non era assolutamente necessario ciò, usava tutta la sua diplomazia per convincere il collega.

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  • Non riuscendovi faceva la voce grossa (forzando il suo carattere) e, consapevole della gravità di opporsi alla decisione di un ufficiale, se ne assumeva ogni responsabilità. Avrà in seguito riconosciuta la giustezza della sua decisione e l’eterna riconoscenza del giovane militare.

    Il suo sarto, col quale aveva rapporti decennali, infastidito dalla mancata immediata soddisfazione di una sua richiesta di intervento per un familiare ammalato, aveva deciso di non avvalersi più della sua opera. D’ora in poi si sarebbe rivolto ad altro sanitario. Pochi giorni dopo, incontratolo casualmente, lo salutava con cordialità e gli diceva, con aria di sottomissione: "Tu troverai facilmente un altro medico al posto mio ma io non potrò trovare con la stessa facilità un altro sarto capace quanto te".

    Un noto professionista, da cui aveva subito gravissimi torti, da molto tempo infermo, era assistito da sanitari che non riuscivano a risolvere il suo caso. Si era deciso a richiedere il suo intervento e lo aveva mandato a chiamare tramite un comune amico. I familiari lo esortavano a non andare. Non darà loro ascolto dicendo: "Io non vado dall’uomo in quanto persona ma in quanto ammalato".

    Ad una giovane signora, sofferente per dei fastidiosi disturbi, aveva diagnosticato la malattia e prescritta la terapia. Non essendo rimasta soddisfatta si era recata a Palermo per sentire il parere di uno specialista. Questi, senza tanta diplomazia, aveva diagnosticato un tumore maligno. Ritornata dal De Sabato riferiva della diversa diagnosi.

    La rassicurava subito ribadendo di esser certo della sua e comunque, per maggior tranquillità, avrebbe potuto fare delle analisi e rivolgersi ad altro specialista, che infatti confermerà in pieno la sua diagnosi. Accadeva anche che degli specialisti di Trapani o di Palermo, appena saputo che si veniva da Castelvetrano, esprimessero la meraviglia che non si fosse consultato il De Sabato di cui riconoscevano la grande competenza.

    Delle sue eccezionali capacità sono testimonianza alcuni manufatti, avuti in dono da chi si riteneva “miracolato”, specie di ex-voto, come quella tazza in cui è raffigurato mentre esegue una operazione su un bianco lettino d’ospedale. Era in grado di dialogare con chiunque passando dall’italiano raffinato al più diffuso dialetto. Curava i mali fisici ma prima ancora quelli della psiche.

    In Ospedale nell’effettuare una amputazione, dovendo utilizzare dei lacci emostatici molto logorati, per la solita carenza di risorse economiche, uno di questi si ruppe e il sangue schizzò fino al tetto. Non si perse d’animo e con santa pazienza e molta perizia pinzettò tutti i vasi sanguigni evitando ferali conseguenze.

    Negli anni ’30 fu coinvolto nel fallimento, con bancarotta fraudolenta, di un imprenditore suo amico e compare. Aveva avallato, per eccessiva bontà al limite della dabbenaggine, un certo numero di cambiali. Soltanto circa venti anni dopo fu riconosciuta la sua totale innocenza. Tale vicenda lo portò a subire, per qualche tempo, il carcere preventivo (anche allora!!).

    Passava le giornate in infermeria con piena soddisfazione dei reclusi che si sentivano rassicurati dalla sua presenza. Scriveva giornalmente ai familiari trattando i più svariati argomenti, dando suggerimenti sulle colture da eseguirsi in campagna e interessandosi della salute dei familiari e dei suoi assistiti. Avendo saputo della malattia di un amico ne richiese ragguagli.

    Avutili scrisse in questi termini: “Ritengo trattarsi di fatti setticemici, forse in conseguenza di errori dietetici ed alimentazione affrettata e disordinata su un fondo probabilmente malarico. E’ probabile ci sia pure un risentimento appendicolare (essendo quasi sempre l’appendice la sentinella della nostra cattiva alimentazione)”.

    Durante il processo tra le tante testimonianze vi fu quella dell’allora Direttore della Agenzia del Banco di Sicilia che ebbe a dire: “Una volta amorevolmente ed affettuosamente parlai al De Sabato circa gli avalli che con tanta facilità concedeva. Egli mi ringraziò ma mi disse 'Buon Dio come si fa a dire di no! ”. Un altro testimone: ”Il De Sabato era di una bontà eccezionale e non sapeva dire di no a nessuno”.

    Tale dolorosa, per certi versi drammatica, vicenda è stata vissuta da tutti i familiari con tanta pena e sofferenze da esserne segnati per tanti anni e averne avuto condizionata la futura vita quotidiana. Per fortuna il tempo, a lungo andare, rimedia ponendo un velo d’oblio. L’ultima “stazione” di questa via crucis si concluse negli anni ’50 in un luogo simbolo delle sofferenze umane: il palazzo Steri di Palermo. Vi erano allocati allora il Tribunale e la Corte d’Assise.

    Per secoli era stata la sede del Sant’Uffizio e delle carceri della Santa Inquisizione. Vi si svolse l’ultima, determinante udienza che sanzionò la sua totale estraneità alla bancarotta fraudolenta. Questo lato del suo carattere, insieme alla sua forte fibra, contribuì a farlo vivere fino all’età di 103 anni. Superò molto bene, a 98 anni superò molto bene il terremoto del Gennaio 1968 quando, in pieno inverno trascorse alcune notti all’addiaccio.

    Quando gli fu assegnato un lettino in una roulotte e si trovò accanto un settantenne se ne lamentò dicendo: Mi avete messo in compagnia di un vecchio! Oltre l’Ospedale e la professione si impegnò nell’aiutare, anche se solo saltuariamente, il padre nella gestione del banco lotto sia nel redigere a mano le bollette (occorreva una particolare grafia dei numeri), sia curando la contabilità. Anche la madre fu, per tanti anni, titolare del Banco lotto di Campobello di Mazara.

    Inoltre, per molto tempo ebbe l’onore e l’onere di essere l’Amministratore locale di Casa Florio, del ramo “Immobili e zolfare” I Florio possedevano grandi estensioni di terreno nel territorio tra cui: un fondo agricolo attorno ai templi di Selinunte col relativo grande baglio che oggi si trova all’interno del parco archeologico. Vi erano sovente contrasti con il “Regio Ispettorato degli scavi e monumenti” sia per il diritto di passaggio che per eventuali rinvenimenti di reperti archeologici.

    Grande impegno dava il feudo Galasi ubicato poco oltre il lago Trinità di Delia anche se più vicino al paese. Aveva dovuto accettare tale incarico , che prima di Lui era stato svolto dal suocero che vi aveva rinunciato per l’età.

    I Florio desideravano, per la successione una persona di sicuro affidamento: Così i “Fratelli Commendatore Ignazio e Cavaliere Vincenzo Florio figli del fu Senatore Ignazio” lo istituiscono e nominano loro speciale procuratore con atto del 26 Maggio 1908 in Notar Antonio Marsala di Palermo. Purtroppo dovrà gestire la fase calante di casa Florio che inizierà pochi anni dopo e si aggraverà allo scoppio della 1° Guerra mondiale.

    Aveva considerazione e stima per molti suoi concittadini: per Gennaro Pardo (“bravissimo artista, peccato sia rimasto a Castelvetrano”) per Giovanni Gentile (“intelligente, preparato”) per Nino Atria (“dotato di buona vena poetica”) per Virgilio Titone e Mariano Santangelo molto più giovani di Lui, ma anche per un amico bravo imbalsamatore, per il suo barbiere competente cultore degli stucchi e degli affreschi della chiesa di San Domenico.

    Era entusiasta di Selinunte e della sua storia e si diceva convinto fosse stata una grande, popolosa città che si estendeva fin verso l’attuale contrada Latomie nei pressi della strada del filo”. Per comprendere appieno il suo senso della vita e i suoi comportamenti bisogna sapere che la sua filosofia era questa: La natura sovrintende a tutto ciò che avviene su questa terra e per convincersene basta osservare gli animali a cui ha dato l’istinto.

    Il volo degli uccelli migratori, che percorrono migliaia di chilometri in formazione e raggiungono la meta senza l’aiuto di bussola o sestante, ne sono un grande esempio. Mi disse una volta, in un raro momento di immodestia: “La natura ( o il Creatore o chi altri) dà ad alcune persone delle particolari facoltà, paragonabile all’istinto degli animali.

    A me ha dato quel qualcosa in più e io non posso essere egoista e farne uso a mio esclusivo vantaggio, ma debbo mettere queste facoltà al servizio di tutti e specialmente di coloro che non possono ripagarmi con la sola merce che l’uomo moderno conosce e cioè il denaro”.

    Bella filosofia se fosse applicata da tutti e si vivesse in un mondo diverso. Molto prosaicamente è avvenuto che, in tutta la sua lunga vita lavorativa, abbia ricavato in denaro solo una minima quota. Chi non lo pagava perché amico, chi perché non ne aveva la possibilità, chi rimandava il pagamento “al raccolto”, chi a tempi migliori.

    Di tutto ciò non ebbe mai a rammaricarsene, anzi era convinto che non avrebbe potuto fare altrimenti. Non solo nella professione aveva applicato tale filosofia. Come datore di lavoro in agricoltura, talvolta, assumeva i giornalieri i meno dotati: sordi, deboli di vista, balbuzienti, gracili. Sotto casa sua certe mattine c’era una sorta di corte dei miracoli. All’età di 88 anni la sua vita super attiva ebbe un brusco arresto.

    Una caduta gli procurò la  frattura del femore. Contro la sua volontà gli fu applicata l’ingessatura che da tempo, in casi analoghi, non praticava ai suoi pazienti. Non ne guarì più. Da oltre dieci anni aveva perduto l’adorata moglie. In una dedica che aveva riposto nella sua bara scrisse tra l’altro: ”... Ed io sento non lontano il giorno quando verrò a ripararmi a te accanto ove nessuna forza potrà disgiungerci mai”. Purtroppo da quel giorno la sua esistenza, che si protrasse per altri 15 anni, proseguì, amorevolmente assistito, tra il letto e la sedia a rotelle...

    Quando aveva 95 anni il Prof. Cascio di Palermo lo operò di cataratta, a domicilio, restituendogli una buona vista. Gran parte delle sue giornate le passava a leggere e, ai vetri del balcone di casa, che si trovava nella strada principale a guardare scorrere la vita dei suoi concittadini, alcuni dei quali la dovevano a Lui o perché li aveva fatti nascere o perché li aveva guariti, operati e curati con estrema perizia.

    Molti dei suoi coetanei se ne erano già andati finché restò il solo della sua età. All’Ufficio anagrafe del Comune rimase per molti anni in evidenza il registro dei nati del 1870, mentre erano stati messi in archivio quelli di tanti anni successivi. Morì il 17 Dicembre 1973 quasi lo avesse deciso Lui stesso. Non volle più alimentarsi. Era solito ripetere: la candela si spegne quando finisce l'olio!-

    (Febbraio 2006. Il nipote Michele Varia, (figlio della figlia Giuseppina).

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