Ferruccio Centonze e il racconto dell’uomo che pregava al parco delle Rimembranze
di: Salvatore Di Chiara - del 2022-08-25
Gli anni passano inesorabilmente e con essi svaniscono i sognatori, pensatori e gli osservatori attenti. Tra i “Grandi” osservatori della storia castelvetranese raccontata nei minimi dettagli, Ferruccio Centonze ha rappresentato al meglio l’arte della quotidianità popolare.
Un’eccellenza del caso, uscito fuori dal coro e che ha raccontato scene di tradizioni giornaliere e figure sconosciute incontrate durante le sue passeggiate. Immagini di uomini soli, abbandonati ad una vita di stenti e lontani dalla mondanità.
Eppure, il concetto di Centonze è stato chiaro sin da subito. Una considerazione generica ove tutti meritano un posto al sole e non si può vivere nella solitudine di fronte alle difficoltà sociali.
Il suo racconto sul giornale "Il Risveglio" era spesso semplice e fatto di sfumature iniziava con la raffigurazione dell’ambiente circostante… “Li vedi lì seduti sulle panchine di viale Roma o del Parco delle Rimembranze. Inseguono ombre, nuvole e pensieri. I più vecchi non comunicano più: forse temono di disturbare”.
Particolare è stato il racconto di un signore anziano, titubante e quasi incredulo della presenza dello stesso Centonze nei paraggi. L'uomo, probabilmente, era abituato a vivere in solitudine le sue giornate al parco. Iniziò un dialogo breve, intenso, fatto di frasi dirette senza cincischiare su eventuali perdite di tempo.
L’inizio fu quasi traumatico: “C’e’ cosa?”. L’anziano rispose: “Niente, pregavo. Il Signore è lassù e non si decide a scendere un momento per vedere da vicino quel che succede in questa terra martoriata”. Nell’incredulità momentanea, lo stesso Centonze ebbe passaggi a vuoto per la risposta ricevuta e chiese: “Ma non si stanca con le braccia così?”. L’anziano non tardò a rispondere alle domande ricevute e disse: “Mi stanco certo e intanto prego che venga il Signore”. Centonze replicò: “Chi, il Signore?”. L’anziano continuò: “Ma no, il mio amico. Soffro di dolori artritici, dice il dottore e quando debbo tirarle giù fanno un male cane, dico le braccia. Ha capito ora?” Come se fosse arrabbiato per l’incomprensione ricevuta.
Lo scrittore castelvetranese intuí dal tono di voce di un presunto dubbio sulla sua stessa intelligenza e provò a raddrizzare una situazione ingarbugliata mettendosi a disposizione per aiutare l’anziano. Ricevuta un’affermazione positiva, lo tolse da quella posizione in cui s’era cacciato e lo rimise in sesto nel bel mezzo di scricchiolii e stacchi ossei continui. Ricevette un ringraziamento, dovuto, deciso e anche generoso.
Un semplice “grazie” significativo, detto con amore. Alla domanda dove potesse andare a quell’ora, ricevette una risposta sincera: “Vado a mangiare quattro fichi d’india qua all’angolo perché il panellaro è chiuso e altro non potrei masticare. Una volta potevo farlo perchè avevo i denti e non posso permettermi di riscaldare una minestra perché non ho una cucina dove prepararla. Vivo in una casa con una sola stanza dove vado a dormire la sera”.
Per un attimo si soffermò a scrutare qualcosa in lontananza, la casa di riposo… quella.. Avevano chiuso il reparto uomini e si ritrovò improvvisamente senza una dimora. Quando era in procinto di allontanarsi, lo scrittore fece un passo avanti per aiutarlo ulteriormente ma incassò un no secco. L’ultima domanda di Centonze fu la seguente: “Mi ha preso in giro, non è vero?” L’uomo che pregava nel parco senza un nome rispose: “Che vuole?” Iniziò a camminare unendo le mani e guardando il cielo. Si allontanò e diresse verso strade vuote, lontano da lui, mentre il vento portava odori forti di sughi, verdure e di casa.
Una storia comune come le altre e vissuta da protagonista. Ferruccio Centonze ha speso la sua vita raccontandoci aneddoti, fatti di cronaca e realizzando un documentario sulla spigolosa questione socio-economica-politica di una città difficile. Nonostante l’ironia perpetrata in alcuni passaggi del dialogo, dietro si celava una situazione alquanto spiacevole.