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Quando Lucio Dalla suonò al Circolò della Gioventù con "I Pulcini" tra lo stupore generale

del 2014-10-12

Dopo aver raccontato la storia dei complessi a Castelvetrano nell’era pre-Beatles, cominciamo adesso a vedere quali  sono stati i gruppi musicali che si sono formati, sempre a Castelvetrano, nell’era in cui i Beatles hanno rivoluzionato totalmente  il modo di fare musica in tutto il mondo.

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  • ANNO 1970

    Si formò in quell’anno il complesso dei “Jolly ‘70”. Ne fecero parte: Franco Morrione alla chitarra solista, Franco Leto alla chitarra accompagnamento, Franco Triolo alla batteria e la sorella Giovanna all’organo, Vincenzo Chiofalo bassittuni alla chitarra basso. Cantava con loro il piccolo Roberto Ferro, bravissimo interprete di canzoni napoletane. Era figlio del loro impresario, Giuseppe Ferro, detto “Tranta” per via delle vistose bretelle che indossava.

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  • A una gara di cantanti e complessi, in occasione d’una serata per i festeggiamenti del Signore del 3 di maggio in piazza Cappuccini, i “Jolly ‘70” vinsero con una canzone napoletana cantata proprio da Robertino. La formazione nello stesso anno subì delle variazioni: il batterista Giovanni Curiale subentrò al posto di Franco Triolo e si aggiunse un altro elemento, il trombettista Peppe Vaccaro.

    Nel frattempo il batterista, oggi percussionista, Filippo Giacalone, detto “Il Principe” o “Il Conte” per via del suo portamento da blasonato che già dall’età di 14 anni lo contraddistingueva dagli altri suoi amici e, oggi, titolare della rinomata pasticceria “Mozart” di Castelvetrano,  formò il complesso de “I Diamanti”. Insieme a lui c’erano: Nicola Di Maio al basso, Vincenzo Incerto alla chitarra solista, Cesare Corselli all’organo e Mauro Fabbri alla chitarra accompagnamento. Nel gruppo cantavano tutti sia da solista sia a più voci. Anche loro, come i “Visconti”, indossavano una divisa stile barocco veneziano, molto Inn in quel periodo.

    Per formare questo complesso, a differenza di tutte le altre formazioni che si sono arrangiate per avere a disposizione gli strumenti con i quali suonare, i ragazzi dei “Diamanti” hanno avuto garantito l’appoggio economico dei loro genitori. Questi si sono fatti carico di una spesa di tremilionicinquecentomila lire d’allora per acquistare tutta la strumentazione necessaria. Li comprarono nel nuovo negozio di strumenti musicali del maestro Natale Curti (Orchestra “Brazil”) a Mazara. Nello stesso negozio Mauro acquistò la prima chitarra marca Fender modello Telecaster che giunse allora in Sicilia.

    Nacque, subito, una simpatica e amichevole rivalità fra questo gruppo e quello delle “Ombre”, del quale parlerò dopo. Rivalità che c’è sempre stata nel mondo della musica e che serve per impegnarsi più a fondo nella ricerca di soluzioni musicali sempre più innovative e interessanti.

    Un episodio che simpaticamente voglio raccontare dei “Diamanti” fu quando a un matrimonio, svoltosi nella sala “Nino Genco” di Santa Ninfa, i genitori degli sposi non riuscivano a mettersi d’accordo sul tipo di musica che preferivano avere suonata dai ragazzi. Questi a un certo punto, ben coscienti della loro professionalità nonostante la loro giovane età, si sono scocciati e, tutti d’accordo, hanno cominciato a smontare gli strumenti per andarsene via poco dopo lasciando gl’invitati senza musica.

    Al termine d’un altro matrimonio, svoltosi presso la sala “Belvedere” di Partanna, non ebbero nemmeno il tempo di smontare gli strumenti e caricarli “‘ncapu lu trirroti”, sul tre ruote del signor Giovanni Agate, che furono tutti presi da tremendi attacchi di coliche con diarrea e conati di vomito. Questo perché avevano, sicuramente, consumato qualcosa di non fresco.

    Una complessino, o “mini” complesso che dir si voglia, non di Castelvetrano, ma che meriti d’essere annoverato fra i gruppi emergenti di quel periodo, non foss’altro per la loro unicità, fu quello de “I Pulcini”.

    Era formato da quattro ragazzini  fra i dieci e i dodici anni, tutti di Mazara del Vallo: il mio carissimo amico Salvino Romeo (fratello di Peppe batterista dei “Dioscuri” con i quali, da grande, andò a suonare anche lui e, oggi, stimatissimo dipendente della Banca “Toniolo” di Castelvetrano) alla chitarra, Giovanni Tumbiolo all’altra chitarra, Nino Ingrande alla batteria e Vito Curti all’organo (questi ultimi due, figli d’arte rispettivamente di Gino Ingrande e di Natale Curti). In particolari occasioni si aggregava al gruppo anche Alberto Tumbiolo al basso.

    Nell’anno che sto trattando, parteciparono a una festa che si svolse nella piazza Garibaldi di Castelvetrano. In quell’occasione vinsero il primo premio non solo per la loro giovane età, ma per il valore musicale di quello che riuscirono a dimostrare. Si classificarono al primo posto anche a un festival organizzato a Marsala i cui principali componenti della giuria erano, tra gli altri, Peppino Gagliardi e Fiammetta, famosi cantanti degli anni sessanta. Per questa loro bravura e particolarità d’età, ricevettero proposte d’ingaggio da parte di famosi cantanti dell’epoca.

    Lo sponsor dei “Pulcini” era Natale Curti. Lo stesso era l’impresario di Lucio Dalla con il quale aveva intessuto un rapporto d’amicizia. Un giorno, avendo contrattato una serata al circolo “Gioventù” di Castelvetrano per l’amico Lucio, pensò di profittarne per fargli conoscere sia il figlio Vito sia gli altri tre ragazzini del complessino. Giunsero a Castelvetrano la sera accompagnati, oltre che dallo stesso Curti, dai rispettivi genitori.

    In quel momento Dalla stava riposando, profittando d’una pausa, nello stanzino posto in fondo a sinistra il salone del circolo. Entrò nello stanzino lu ‘zu Natali e chiese all’amico Dalla se, durante quella pausa, gli facesse il favore di fare esibire il complessino del figlio Vito. Dalla acconsentì, anche perché pensò che in quella maniera poteva prolungare il suo riposo.

    Quando, però, sentì suonare quei ragazzini, incuriosito uscì per vedere da vicino quei piccoli geni. Rapito e attratto dalla loro bravura, costatato che essi facevano sul serio, pensò bene di prendere il sax e di unirsi a loro trasformando quella magica serata in un evento indimenticabile per tutti, anche per lo stesso Dalla.

    Si offrì, poi, d’adottarli (artisticamente parlando), ma non era una cosa facilmente accettabile da parte dei genitori dei ragazzi. La loro carriera, purtroppo, finì sul nascere senza neanche avere il tempo di farsi delle illusioni.

    Un altro episodio fu durante una serata al Cine Teatro “Vaccara”, oggi “Rivoli”, di Mazara, dove si esibiva Fausto Leali. Gli organizzatori chiesero a Fausto di prestare attenzione a un complessino locale. Questi, quando vide che quel complessino era formato da quattro pimpanti giovanissimi musicisti, s’incuriosì e li ascoltò con maggiore attenzione nascosto dietro le quinte. Non appena ebbero finito di suonare, egli non poté che rallegrarsi con loro e volle parlare con i genitori invitandoli, come Dalla, a seguirlo. Promise loro che li avrebbe fatti esibire al “Piper”, famosissima discoteca Inn di Roma, per farli conoscere a un pubblico più vasto e selezionato.

    In effetti sono stati diversi i cantanti e i gruppi musicali di quel periodo che, dopo essersi esibiti al “Piper”, hanno riscosso un immediato successo. Una per tutte la famosa Patty Pravo che del “Piper” divenne la regina. Leali assicurò anche che avrebbe portato con sé i “Pulcini” nelle sue tante tappe del Tour che stava compiendo in giro per l’Italia. Anche a Fausto, per bocca e volontà dei loro genitori, furono costretti, però, a rispondere “picche”.

    La sorte d’un siciliano, specialmente delle nostre parti, è quella di rimanere per sempre legato alla propria terra, da qui l’appellativo di terrone, dalla quale non riusciamo a staccarci nemmeno se qualcuno ci offrisse il Paradiso. Come tutte le belle favole anche questa svanì, quindi, nel nulla.

    Visto che siamo a Mazara, vorrei parlare del gruppo più famoso, prettamente mazarese, ma anche con elementi di Castelvetrano e di Campobello: “I Dioscuri”. Il gruppo nacque nel lontano 1966 da un’idea dei fondatori Stefano Crimaudo e Michele Aiello. Ne fecero parte, inizialmente, Stefano Crimaudo alla tromba e al basso, Vito Di Giorgi alla chitarra solista e voce (suonava anche con i denti, in altre parole alla Jimi Hendrix), Michele Aiello, alla voce e all’organo marca Vox modello Super Continental (una primizia per l’epoca, lo usava John Lennon dei Beatles… e oggi è diventato una rarità, un oggetto di “cult”).

    Non possiamo, poi, non ricordare il compianto (così come Stefano e Michele) Leonardo Tumbiolo, voce graffiante e al contempo dolcissima, nonché batterista sopraffino. Con l’uscita di Di Giorgi, per motivi di studio, subentrò alla chitarra solista il campobellese Vito Valenti, detto “cachì”, in quanto straordinariamente goloso dei cachi frutti soffici, ma al contempo carnosi e dolcissimi, ai quali proprio non riusciva a rinunciare.

    La formazione subì, in seguito, qualche rimaneggiamento fino ad arrivare a quella definitiva composta dai mazaresi Vito Calia al basso e voce, Nicola D'Aleo all’organo Hammond, Nicola Noce voce solista, chitarra e basso, Stefano Crimaudo alla tromba e Giacomo De Simone al trombone; dal campobellese Vito Valenti alla chitarra solista e dai castelvetranesi Vito Messina alla batteria e Vittorio De Simone al sax e flauto traverso.

    Con questa formazione ebbero l’occasione di suonare anche alla famosa discoteca “Piper” di Roma. Qui si sono esibiti insieme ai Ricchi e Poveri (agli inizi della loro carriera) e ad Augusto Martelli (compositore, direttore d’orchestra e compagno, all’epoca, di Mina) con i suoi musicisti. Approdarono, poi, a Rai Uno.

    Per la precisione va ricordato che furono ospiti nella prima puntata della trasmissione “Domenica Insieme” diventata, in seguito, “Domenica In”, presentata all’epoca dall’attore siciliano Pino Caruso. Il gruppo (molto attivo in quei tempi) si esibì in diversi posti della penisola riscuotendo dappertutto ampi consensi.

    I “Dioscuri” hanno inciso diversi singoli con l’etichetta “Fly Record” (consociata della più nota Phonogram) di Roma, quali “La nostra estate”, “Non m’importa”, “La mia poesia”, “Un cuore nelle mani” e altri. Il brano con il quale, però, si sono fatti conoscere anche a livello nazionale fu "Francesca” nata già nel ’66, ma incisa nel 1970, composta da Michele Aiello e, poi, presentata, per l’appunto, a "Domenica Insieme" nel 1971.

    Ricordo che quel pomeriggio in cui la Rai trasmise il brano registrato coi “Dioscuri” che cantavano dal vivo, era una bella domenica di fine estate e loro avevano da poco finito di montare tutta la strumentazione nella piazza Garibaldi di Partanna, dove dovevano suonare assieme al Gruppo dei “Camaleonti”.

    Anch’io ero là quando Vito Calia disse al microfono d’accendere la televisione perché stava andando in onda proprio la trasmissione nella quale, da ospiti, avevano registrato la loro “Francesca”. Se non ricordo male erano le 18,30 e provai una grande emozione allora. Beh, confesso che ancora oggi, dopo quasi quarantacinque anni, quel bel ricordo mi è rimasto attaccato addosso, indelebile nella memoria.

    I “Dioscuri” possedevano una strumentazione davvero all’avanguardia per quei tempi, di altissimo livello e di grande potenza sonora tanto che i “Pooh”, a volte, la utilizzavano quando venivano a fare dei concerti nelle nostre zone.

    Essa era composta da: un impianto voce marca Montarbo con una potenza di 2000 Watt RMS (stiamo parlando di fine anni ‘60, primi ‘70, non dimentichiamolo), mixer a 16 canali con microfoni marca Shure e Vox (v. Beatles.), un organo marca “Hammond” modello L 122 e Leslie 760, un “Moog” (primo sintetizzatore usato per creare atmosfere particolarissime), una “Solina”, tastiera che riproduceva fedelmente il suono degli strumenti ad arco, (ne ho posseduto una anch’io), una batteria marca Rogers che montava piatti Paiste, una chitarra elettrica marca Gibson modello SG Standard (1968) con leva “Vibrola” e con relativo amplificatore marca “Vox” (testata e cassa), un basso elettrico modello Jazz Bass della “Fender” (1968) con relativo amplificatore marca “Davoli” modello Lead da 200 Watt (testata e due casse).

    Per quanto riguarda gli ottoni, i sax e il flauto di Vittorio, erano rigorosamente marca “Selmer”, la migliore. Riporto tutti questi particolari solo per gli addetti ai lavori, scusandomi con coloro i quali non sono del mestiere per questa, magari, eccessiva attenzione verso i dettagli tecnici.

    I “Dioscuri” utilizzavano per i loro continui spostamenti due pulmini Volkswagen: uno per i componenti il complesso e un altro per il trasporto degli strumenti e dei tecnici. Mitico il loro manifesto, ancora orgogliosamente esibito, che li vede chi sdraiato a terra, chi appoggiato o appollaiato sul loro furgone posteggiato davanti al Colosseo di Roma.

    Nel prosieguo della loro intensa attività, la formazione dei “Dioscuri” ha subito delle variazioni. Un’altra che ebbe lunga durata fu quella che vide Salvino Romeo subentrare al posto di Vito Valenti alla chitarra e Leonardo Tumbiolo al posto di Vito Barazza alla batteria. Con loro sempre Vito Calia al basso, Nicola D’Aleo all’organo e Nicola Noce voce solista. Salvino, oramai cresciuto, era diventato da “Pulcino” galletto perché faceva impazzire le ragazze che s’innamoravano tutte di lui, tanto che alla fine sposò la più bella di esse.

    Con gli amici “Dioscuri” ho condiviso, qualche anno fa, una bellissima esperienza al “Baglio Trinità” di Castelvetrano in occasione del Carnevale. Suonai tutte e quattro le serate insieme a Vito Calia e le sue due figlie Marina e Laura, a Vito Messina, a Salvino Romeo con il fratello Peppe, e al cantante Alberto Soldano, tutti di Mazara tranne il mio amico barazza. In quell’occasione ci siamo divertiti un mondo rivisitando, con gli occhi umidi di commozione, gran parte di quelle immortali canzoni che hanno accompagnato gli anni più belli della nostra vita umana e artistica.

    Ci siamo anche ripromessi che se in un prossimo futuro ci fossero state le condizioni per fare qualcosa di serio insieme, saremmo stati tutti ben lieti di darci una mano vicendevolmente per la gloria della musica. Credo che questo sogno rimarrà soltanto un buon proposito in quanto, con il mio definitivo trasferimento a Civitavecchia, difficilmente potremo attivare qualche progetto assieme.

    Racconterò, adesso, alcuni aneddoti che riguardano sia Vittorio De Simone sia i componenti di questo storico complesso. Comincio a dire che Vittorio iniziò a suonare il clarinetto piccolo in Mib maggiore, già all’età di nove anni, sotto la guida del’allora maestro della nostra banda musicale Pietro Polizzi. Questi lo inserì subito nel suo organico non perché sapesse prodigiosamente già suonare prima d’imparare, ma per fare numero.

    Era consuetudine infatti allora, ma forse lo è ancora adesso, d’inserire nelle bande dei giovani, promettenti futuri musicisti, con lo strumento in mano, o meglio in bocca nel nostro caso, ma con lo stesso “silenziato”, quindi non funzionante. In pratica s’inseriva dell’ovatta nel bocchino e all’interno del barilotto degli strumenti di ottone, in modo tale che questi non suonassero.

    Vittorio rimase a lungo nella banda, anche quando la direzione passò al maestro Francesco Mangiaracina. Lo stesso mi ha raccontato che il suo papà nutriva una vera passione per le gemelle Kessler (che Vittorio chiamava Nestlè), famosissime ballerine-cantanti che in quel periodo spopolavano ovunque andavano. Una sera le gemelle furono invitate a Mazara per uno spettacolo.

    I “Dioscuri” aprirono la serata che si svolse in piazza “Vescovado”. Il papà di Vittorio ne profittò e, per vedere meglio le due alte e belle ballerine, si sistemò sopra il furgone dei “Dioscuri” posteggiato proprio sotto il palco. Quando fu il turno delle gemelle, non poté fare a meno d’esclamare: “Talia cumpari, du metri di coscia!”, rivolgendosi al proprio compare che si trovava lì a fargli compagnia.

    Purtroppo, artisticamente parlando, lo spettacolo non ebbe esito positivo. In pratica l’orchestra che accompagnava le Kessler, pur essendo quella del “Teatro Massimo” di Palermo, non conosceva ancora l’ultimo successo delle gemelle, il “Dadaumpa”. Essendo sprovvisti, fra l’altro, di partiture musicali non furono in grado d’accompagnare in maniera corretta le Kessler, costrette per questo motivo a una magra figura. Al papà di Vittorio (e forse non solo a lui), però, di tutto questo non gliene poteva fregare meno che niente, tanto che a lui di quella sera saranno rimasti nella mente soltanto i due metri di coscia.

    In  un’altra occasione, questa volta a Monreale per la festa del Santo Patrono che si svolgeva in tre serate, volendo evitare di smontare ogni sera gli strumenti, fu loro consigliato di rivolgersi al “Don…” del paese per non avere sgradite sorprese l’indomani mattina. Fu indicato loro un “omino” seduto su una sedia appoggiata al muro che si manteneva sui due piedi posteriori. L’“omino”, nel frattempo, aveva capito qual’era il problema dei ragazzi e, da lontano, esclamò: “Jativuinni tranquilli, ‘a musica ‘un si tuocca fina a ‘cca ci sugnu ju”, “Andate tranquilli, la musica non si tocca finché ci sono io”, con quel tipico accento di palermitano che sputa dal dente.

    I ragazzi, anche volendo e giunti a quel punto di compromissione, si dovettero fidare per forza. In effetti non successe nulla. Al termine della terza serata, anzi, si avvicinarono dei giovanotti, mandati dal “Don…..”, che si offrirono d’aiutarli a smontare gli strumenti. Potenza del “Don”.

    Sempre a Monreale, ai “Dioscuri” toccò accompagnare la famosa cantante Miranda Martino. Essa, quando fu l’ora di cantare “‘A francesa”, con la classica mossa del sedere rivolto al pubblico in puro stile “Can Can” di Parigi, siccome indossava un reggiseno che lasciava gran parte del petto scoperto, appena s’abbassò per accentuare “a mossa” col sedere, mostrò le sue “poppe” o “zinne” o “minne” o quello che volete, in tutta la loro prorompente bellezza, a Vito Barazza.

    Egli rimase talmente colpito da quella magica visione che non si concentrò più sulla canzone che stavano suonando, andando fuori tempo e mandando tutta l’orchestra a farsi benedire con grande disappunto, principalmente, di Nicola D’Aleo, ma anche un po’ di tutti.

    A San Cono, in provincia di Catania, dove ho suonato anch’io una volta insieme al mio gruppo “2000” e ai “Camaleonti”, dovendo accompagnare la cantante Marcella Bella che, a causa del freddo intenso di quella sera, intonò “Montagne verdi” mezzo tono sotto l’originale, per i ragazzi dei “Dioscuri” fu una vera tragedia.

    Ognuno cercava d’acchiappare gli accordi come meglio poteva. Malgrado però, i loro sforzi musicali, non riuscirono ad accompagnarla in maniera decente: sembrava d’essere alla “Corrida”, quella di Corrado per intenderci. Alla fine della serata erano talmente stanchi e avviliti che Vito Valenti, distrutto, si distese su una panchina per riposarsi un po’. Alcune ragazzine, vedendolo in quella posizione, cominciarono allora a cantargli sottovoce: “Dormi tranquillo e asciutto, Lines notte assorbe tutto”.

    Vito era anche un grande appassionato d’auto e partecipava spesso a vari “mini rally”, a diversi campionati nazionali di Go Kart e alla famosa “Dodici ore notturna” di Campobello. Il suo fanatismo era tale che una volta registrò su un nastro tutti i rombi dei motori delle auto di grossa cilindrata che correvano a Cerda (v. Targa Florio) per, poi, ascoltarli nel mangianastri della sua “abarth” Autobianchi o, in seguito, nella “128 Rally” Fiat, al posto della musica.

    Grandissimo amico con il quale ho condiviso una bella esperienza musicale e umana nell’“Orchestra Duemila” e un’altra, altrettanto bella, nel 1977 a Sousse in Tunisia, vicino Monastir. Con noi suonavano anche Leonardo Tumbiolo alla batteria e voce e Salvatore Pipitone alla chitarra. Adesso Vito mi è nuovamente vicino, abitando io a Civitavecchia e lui a Ostia. Quando ne abbiamo il tempo e la voglia ci ritroviamo e insieme trascorriamo qualche ora all’insegna della più pura spensieratezza in ricordo dei bei tempi andati. Naturalmente ci fanno compagnia la sua magica chitarra “Fender Stratocaster” e il suo particolare repertorio in buona parte dedicato al famoso quartetto rock inglese degli “Shadows”, nonché il mio modestissimo piano digitale Kurzweil.

    Ho accennato prima a un altro gruppo che si formò in quell’anno a Castelvetrano: le “Ombre”. Esso era formato da: Marcello Romeo alle tastiere e piano, Bruno Musiari alla chitarra, Lilly Rosolia alla batteria, Filippo Pizzo al basso, Nino Montoleone alla chitarra e voce, Giacomino Sciacca al sax. I loro manager furono: Franco Stella, noto fotografo castelvetranese, scomparso prematuramente già da qualche anno, e Vincenzo Giambalvo, padre di Salvatore, bravo organista castelvetranese.

    Fra gli impegni che capitarono loro ci fu anche l’esperienza fatta al circo “Palmiros”, dove si esibirono insieme a una cantante proveniente da Catania, accompagnata dal nonno, che si chiamava Marcella Bella, (i ragazzi non hanno saputo dirmi che si trattasse della più famosa Marcella o di una sua omonima; aveva, però, 13 anni come Marcella in quel periodo).

    Si esibirono, nel contempo, nello stesso circo sia Peppe Salerno, come soubrette, sia Tommaso Geraci che allora faceva il contorsionista. Lo ricordo come se fosse oggi, mentre contorceva il corpo esile in posizioni che per una persona normale risulterebbero impossibili d’assumere. Era davvero un talento naturale. I responsabili del circo proposero ai genitori di Tommaso di portarlo con loro, ma il papà non accettò, stroncandogli di fatto una sicura carriera professionale. Tommaso, comunque, continuò a coltivare la sua passione, almeno fin quando la sua giovane età e la longilineità del suo corpo elastico non glielo permisero. Al circo si esibiva anche la cantante organista Giovanna Triolo, figlia di Salvatore e sorella di Franco.

    Con questa terza parte termino di raccontare la storia dei complessi castelvetranesi nell’era Beatles, 1964-1970. Nei prossimi interventi continuerò a raccontare la loro storia nel periodo post-era Beatles, dal 1971 in poi, sperando di non annoiarvi con le mie che sono anche le loro storie.

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