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Il ritorno dell'Efebo a CVetrano come "missione" di famiglia. Ricordando l’Ass. Antonino Calcara

di: Francesco Calcara - del 2017-08-10

Immagine articolo: Il ritorno dell'Efebo a CVetrano come "missione" di famiglia. Ricordando l’Ass. Antonino Calcara

La notizia del ritrovamento dell’Efebo a Foligno, il 13 marzo 1968, giunse a Castelvetrano come un fulmine; immediatamente fu convocata la Giunta Comunale che, nella seduta del 15 marzo, mentre si compiaceva dell’avvenuto recupero dell’Efebo, ne chiedeva il ritorno e, quasi a voler metter le mani avanti, con delibera n. 125, approvava un progetto di massima per la costruzione di una camera blindata “idonea alla custodia degli oggetti d’arte di Selinunte e dell’Efebo selinuntino”, stanziando la prevista somma di £ 1.800.000.

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  • Frattanto, il giudice istruttore presso il Tribunale di Perugia, dott. Giorgio Casoli, con ordinanza n. 179 del 26 marzo 1968, intimava la restituzione dell’opera “all’avente diritto”, con l’obbligo di tenerla a disposizione dell’autorità giudiziaria procedente. Il 1° aprile 1968 si riuniva, in seduta straordinaria, il Consiglio Comunale che, con delbera n. 27, decideva di conferire la cittadinanza onoraria ai protagonisti del recupero (al dott. Console, che era castelvetranese, si concesse la cittadinanza benemerita); di coniare delle medaglie d’oro con l’effigie dell’Efebo da consegnare in ricordo ai suddetti; di offrire un milione alla Delegazione per il recupero delle opere d’arte; di costituirsi parte civile nel processo che doveva celebrarsi ai Perugia contro i trafugatori; di inviare una delegazione a Roma per ottenere la restituzione della statuetta.

    Alla rappresentanza castelvetranese – composta dall’assessore Antonino Calcara e dal legale del Comune, avv. Sebastiano Console – il ministro Siviero fece presenti le continue pressioni che giungevano da certi ambienti palermitani affinché si negasse la consegna del piccolo bronzo. Alla fine, tuttavia, la battaglia fu vinta: “Devesi al fermo atteggiamento del Ministro Siviero” – scrive l’avv. Console nella sua relazione al Comune - “custode giudiziario della statuetta e alla decisa volontà della Civica Amministrazione, degnamente rappresentata dall’Assessore Cav. Antonino Calcara, di riavere la preziosa opera di proprietà comunale, se si è potuto effettuare la consegna e dare esecuzione in tal modo alla ordinanza del G.I. del Tribunale di Perugia”.

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  • Con protocollo del 4 aprile 1968, pertanto, il ministro plenipotenziario Rodolfo Siviero, alla presenza del ministro Gennaro de Novellis, del colonnello dei carabinieri Giovan Battista Vescovo, del delegato della Criminalpol dott. Vincenzo D’Alessandro, procedeva alla restituzione dell’Efebo di Selinunte ai rappresentanti del Comune di Castelvetrano. L’opera, tuttavia, che aveva bisogno di un urgente restauro, fu lasciata in consegna al dott. Siviero, anche per evitare, come si disse, che potesse venir sequestrata dal Ministero della P.I. Il 21 aprile 1968 tornava a riunirsi il Consiglio Comunale che prendeva atto dell’esito della missione a Roma e deliberava il restauro dell’Efebo.

    Purtroppo, la via proposta fu quella di eleggere la solita commissione (che in Italia è il sistema più sicuro per insabbiare e non decider nulla); e del resto basta leggere il dispositivo della delibera n. 3068, scritta in perfetto burocratichese, per rendersi conto di quanto farraginosa fosse la procedura scelta: “Il Presidente proclama che il Consiglio Comunale ha deliberato il restauro dell’Efebo Selinuntino a cura e spese del Comune e con l’ausilio della Commissione testé costituita ed eletta; ha altresì autorizzato il Sindaco a chiedere alle competenti autorità le autorizzazioni per il restauro ed ha fatto riserva di adottare i provvedimenti deliberativi per l’impegno della spesa, dopo che l’Amministrazione sarà venuta in possesso dei preventivi (almeno due) che saranno forniti dai restauratori che saranno stati designati dalla Connissione stessa all’Amministrazione Comunale, che provvederà all’affidamento del relativo incarico”.

    La Commissione risultava composta dal ministro Rodolfo Siviero, presidente; dal prof. Gianfilippo Carrettoni, sovrintendente alle Antichità di Roma; dal prof. Vincenzo Tusa; dal Presidente del Tribunale di Trapani; dal Sindaco pro-tempore; dal prof. Luciano Messina, presidente della Pro-Selinunte; dall’on.le Vincenzo Occhipinti, deputato regionale; dallo scrittore Carlo Levi; dal senatore Simone Gatto. Nessuno si rese conto, oltretutto, di quanto sarebbe stato difficile poter riunire uomini, alcuni dei quali di effettivo grande prestigio, oberati da gravosi incarichi e per di più residenti in città diverse e fra loro tanto lontane.

    Tuttavia, l’impegno preso dal Comune fu considerato sufficiente a Roma, e così, il 9 maggio 1968, chiuso in uno speciale contenitore sul quale Siviero aveva scritto di suo pugno una dedica alla città di Castelvetrano, l’Efebo veniva consegnato ai nostri amministratori e, scortato dal commissario Console e dai brigadieri Urso e Salamone, protagonisti del recupero, caricato sul treno alla volta della Sicilia. Fra l’entusiasmo generale, la statuetta, giunta a Castelvetrano il mattino successivo, fu portata a Palazzo Pignatelli, esposta nell’aula consiliare e quindi custodita per sicurezza nel sotterraneo del Banco di Sicilia.

    Passarono due anni senza che, come’era facilmente prevedibile, si fossero compiuti passi significativi sia per quanto riguardava la costruzione della famosa “camera blindata” sia per risolvere il problema del restauro. Si giunse, pertanto, al 3 aprile del 1970, allorquando la Corte d’Appello di Perugia – ancora competente, giacchè stava celebrandosi il processo di appello contro i trafugatori, e il bronzo era il corpo del reato – con ordinanza comunicata alla Soprintendenza con successiva nota del 15 aprile n. 7/1949, autorizzava il Comando dei Carabinieri – Nucleo di Tutela del Patrimonio Artistico presso il Ministero della P.I. di Roma, a prelevare il bronzo dal Banco di Sicilia di Castelvetrano e a consegnarlo all’Istituto Centrale di Restauro di Roma “per provvedere alla rimessa a punto dell’opera stessa per danni subiti in seguito al trafugamento”.

    Evidentemente, mentre a Castelvetrano si perdeva tempo dietro a pletoriche commissioni, qualcun altro si adoperava a caldeggiare un restauro che comportava il trasporto dell’Efebo verso altri lidi. Così l’11 maggio 1970 giungeva a Castelvetrano il colonnello dell’Arma Felice Mambor il quale, nonostante l’opposizione del Comune e la diffida da questi fatta al Banco di Sicilia a non consegnare l’opera, prelevava quasi di forza la statuetta e la portava a Roma. Immediatamente fu riunita la giunta municipale che con deliberazione del 12 maggio 1970, n. 294 “temendosi che tale prezioso bene patrimoniale non venisse più restituito al Comune”, decideva di inviare a Perugia il vice sindaco, prof. Pippo Piccione, e il dinamico assessore Giovanni Forte per far luce sulla vicenda e difendere i diritti di proprietà del Comune.

    In effetti, la Corte di Appello di Perugia, sezione penale, nella sentenza del 16 maggio 1970 in cui si condannavano i colpevoli del furto, riconobbe al comune di Castelvetrano, validamente rappresentato dall’avv. Leonello Leonelli, la legittima proprietà della statuetta, ordinandone la riconsegna al Comune, quando fosse ultimato il restauro. L’operazione di recupero, lunga e difficile, si concluse, come già detto, nel maggio del 1979 con una mostra didattica a Roma dal titolo “Il restauro dell’Efebo di Selinunte”. In particolare, si provvide a svuotare la statua del cemento e dell’armatura metalllica posti nel corso del primo restauro; fu quindi predisposto un nuovo assemblaggio mettendo a punto una tecnica che permette di smontare e rimontare l’opera agendo su un sistema meccanico inserito all’interno del manufatto, ma non legato ad esso in modo irreversibile.

    Il 31 maggio, in singolare coincidenza con la conclusione della campagna elettorale che vedeva la candidatura del dott. Vito Lipari, già sindaco della città ed esponente di spicco della D.C. castelvetranese, su un aereo militare messo a disposizione dal ministro della Difesa, on. Attilio Ruffini, l’Efebo giungeva a Palermo e quindi, con verbale n. 1990, riconsegnato dal prof. Mauro Micheli, funzionario dell’Istituto Centrale di Restauro al comune di Castelvetrano, rappresentato dal sindaco Marilù Gambino, alla presenza del Soprintendente, prof. Vincenzo Tusa.

    L’Efebo rimase appena sei giorni a Castelvetrano; infatti con delibera n. 606 del 6 giugno 1979, venne affidato “in comodato” al prof. Vincenzo Tusa il quale, come asseriva, intendeva esporlo al Museo di Palermo in occasione di una mostra dedicata ai reperti selinuntini. La delibera, cui si allegava una convenzione, è un capolavoro di ambiguità; infatti da una parte si dice che trattasi di un semplice prestito, valido per il periodo della mostra; dall’altro si dichiara di aderire alla richiesta di Tusa “in considerazione, anche, del fatto che l’Amministrazione provveda alla costruzione di una idonea custodia del prezioso cimelio”; e mentre si conveniva che il bronzo fosse restituito a semplice richiesta dell’Amministrazione, questa subito dopo si assumeva un obbligo che costituiva un vincolo oggettivo alla restituzione.

    Ecco spiegato pertanto il motivo di questa lunga, lunghissima “cattività”, per cui l’Efebo, prestato a Palermo per un mese, vi è rimasto poi per molti anni. Pur riconoscendo la legittima proprietà del Comune, l’Assessorato Regionale ai BB.CC. ha subordinato, infatti, il ritorno dell’Efebo alla realizzazione di una idonea struttura museografica che ne garantisse la sicurezza e il pubblico godimento.

    In effetti, il vecchio Museo Selinuntino, malamente ospitato in una stanza terrana del municipio, non poteva offrire alcuna garanzia; cosicché anche gli altri reperti, che ne costituivano la ricca collezione archeologica, furono posti, nel settembre 1983, sotto la custodia della Soprintendenza: una mortificazione che questa città, a causa della insensibilità della sua passata classe dirigente, ha dovuto, assieme a tante altre, amaramente subire.

    La cosiddetta inaugurazione del nuovo museo, l’11 aprile 1987, aveva alimentato la speranza nel ritorno dell’Efebo; ma il museo chiuse lo stesso giorno della sua apertura, perché, come si scoprì dopo, assolutamente sprovvisto di quei requisiti che la Soprintendenza reputava necessari per autorizzarne il funzionamento. Tale circostanza emerse in tutta la sua gravità nel corso del sopralluogo effettuato il 19 marzo 1988 (dopo un anno, cioè, dalla inaugurazione-fantasma) e fu ribadita dalla Soprintendenza nella nota n. 119 del 23 gennaio 1990.

    Si trattava quindi di adempiere alle prescrizioni imposte, per potere reclamare la restituzione dell’Efebo. Pertanto, una delle maggiori preoccupazioni della Amministrazione Comunale, a partire dal 1993, è stata quella di munire il museo di tutti quegli accorgimenti idonei alla sicurezza del materiale archeologico: dagli allarmi collegati con la polizia, ai sensori, ai rilevatori di fumo, alla porta blindata, alle grate di protezione, alla sorveglianza continuata. Per l’Efebo, in particolare, si è provveduto ad una campana di vetro antiproiettile, in grado di garantire le condizioni ideali per preservare il bronzo. 

    Completato il museo, nulla si frapponeva ormai al diritto della comunità castelvetranese a riavere “lu pupu” (consentitemi, alla fine, di definirlo così, come affettuosamente lo chiamiamo noi), con buona pace di certo mondo accademico che ha sempre voluto dipingerci come dei barbari, insensibili alle ragioni dell’arte e incapaci di sollevarci alla contemplazione del bello; con buona pace di taluni apparati della politica che hanno sistematicamente giocato a discriminare, in nome di ben individuati interessi, questa parte della Sicilia e della provincia; con buona pace di coloro che, anche in mezzo a noi, non hanno mai seriamente creduto all’investimento culturale come fattore di sviluppo armonico del territorio; con buona pace, infine, di qualche esponente della vecchia nomenclatura che si è riempita la bocca di turismo e sviluppo, salvo poi avallare le più squallide operazioni speculative e di saccheggio del territorio, offrendo, magari, attestati e medaglie proprio a chi ostacolava i legittimi interessi di Castelvetrano: intelligenti pauca!

    E così, dopo essere stato esposto dal 27 marzo all’8 dicembre 1996 a Palazzo Grassi di Venezia, il 20 marzo 1997, l’Efebo di Selinunte, superate le ultime difficoltà burocratiche, è stato finalmente riconsegnato al suo legittimo proprietario, il Comune di Castelvetrano, nella persona del sindaco Giuseppe Bongiorno che, a buon diritto, può essere orgoglioso di aver portato a termine una vicenda così lunga e complessa.

    L’Efebo fu materialmente consegnato nelle mani dell’assessore Francesco Saverio Calcara (ripetendo l'esperienza della consegna al padre avvenuta del '68) , accompagnato dal compianto dott. Paolo Natale e dal vigile Antonio Ferracane. Un merito particolare è doveroso riconoscere al prof. Giuseppe Libero Bonanno, assessore comunale pro-tempore alla Cultura, anch’egli in prima linea nel seguire la tormentata questione.

    Va, del pari, ricordata la sensibilità dell’on. Nicola Cristaldi, presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, che ha dimostrato vivo interesse nel seguire le fasi della riconsegna.

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