“Dopo la gogna mediatica su Campobello, il Teatro e la Cultura per la rinascita culturale e non solo”
del 2023-02-12
“Macondo era già un vortice di polvere e macerie centrifugata dalla collera dell’uragano biblico”. Quest’immagine segna la fine dell’intricata storia di Cent’anni di solitudine, il capolavoro che è valso il Nobel per la letteratura a G. G. Marquez.
Campobello di Mazara può sorgere dalle proprie ceneri? La memoria storica narra la nostra essere stata terra di “confinati”, dove l’identità rimaneva sullo sfondo in attesa di una svolta esistenziale.
Oggi che le luci della ribalta si accendono sul nostro scenario, è ora di sospendere il giudizio, riflettere sulle nostre scelte e costruire una identità cittadina distinta e trasparente, superando il guado delle macerie, la polvere, il grigiore e la spazzatura ricordando al mondo, ma prima a noi stessi, che le nostre macerie in realtà si chiamano Cave di Cusa e costituiscono un sito archeologico unico al mondo e che la polvere è segno di terra ancora selvaggia, vergine, inesplorata; il grigiore una tabula rasa sulla quale incominciare a gettare pennellate di colore e la spazzatura, testimonianza di una protesta quotidiana e silenziosa, può essere valorizzata come humus per le nostre coltivazioni. Possiamo riflette sull’ essere e non essere, il noto conflitto dello Hamlet di Shakespeare, e fare i conti con il nostro stupore.
Oggi il dramma del nostro paese ci permette di leggere, in chiave simbolico-metaforica, fatti ed episodi di alcuni personaggi, ribaltandone la prospettiva. Campobello di Mazara, Cien Años de Soledad, Hamlet si offrono come scenari di riflessione e di confronto. Il nostro pensiero è che la tematica dell’esistenza può essere riabilitata nello spazio scenico come sede dell’utopia, del non luogo, «luogo che non esiste», dove fatti e personaggi ci aprono alla riflessione umana di carattere sociale, psicologico e antropologico.
In sintesi, la nostra riflessione sul teatro è che esso si pone come strumento di comprensione e decodifica di tematiche difficili, ma di interesse planetario. Il teatro ha il potere di intersecarsi in altri progetti culturali e contribuire ad alimentare il tessuto sociale e la rete economica locale.
Il nostro paese oggi si affaccia su uno scenario di sapore internazionale, possiamo su queste “macerie” costruire nuovi percorsi per la nostra comunità? Torna il dilemma: “essere o non essere”.
Facendo leva sulla forza della rappresentazione, possiamo dare voce al disagio che il paese vive nella quotidiana ricerca di una identità di comunità, operosa e fiduciosa nelle proprie capacità intellettuali ed imprenditoriali. Il teatro, con i suoi intricati percorsi, si presta come luogo di riflessione intima, ed offre opportunità di confronto scevro da maschere, velature e false identità.
Proponiamo alle Istituzioni locali belicine di valutare un progetto di teatro sociale, dando credito e voce alle molteplici e poliedriche competenze e professionalità presenti nel territorio, per offrire alla cittadinanza uno spazio di crescita condivisa ed un sentire comune.
Proponiamo un teatro in chiave terapeutica, come acceleratore di processi di guarigione collettiva e personale, ricordando anche che il teatro si offre come una palestra che richiede disciplina e rigore ai loro personaggi, essendo consapevoli che la magia del teatro si compie come destino collettivo laddove il gruppo crede nella sacralità laica del teatro.
Antonella D’Angelo
Sebastiano Salvato