"Specchio delle mie brame", riflessioni sulla non accettazione di sè e sul frequente ricorso alla chirurgia estetica
di: Maria Pia Parrino - del 2025-03-26

(ph. Adobe stock)
Due giorni fa una donna romana è morta in seguito alle complicazioni per un intervento di liposuzione, qualche mese fa una ragazza è deceduta in conseguenza di un’operazione di rinoplastica. A prescindere dagli errori commessi dalla malasanità e dalle motivazioni che inducono a sottoporsi ad interventi di chirurgia estetica, bisognerebbe porre l’attenzione sulle dinamiche socio-culturali che sottendono a tali decisioni e sul concetto stesso di “bellezza” imposto dalla società odierna.

E’ risaputo che la bellezza segue dei canoni dettati da modelli propinati dai mass-media o dai social che presentano un determinato tipo di donna con precise caratteristiche fisiche: labbra carnose, naso piccolo, seni abbondanti, fisico longilineo. Il potere esercitato da questi modelli diventa enorme nel momento in cui incomincia a minare l’autostima, incidendo sull’equilibrio psicologico dell’individuo che non accetta più se stesso e persegue un ideale di perfezione difficile da raggiungere; ma non ci si può sentire diversi perché il nostro fisico non rispetta certi canoni estetici, non ci si può sentire deboli e non accettati perché non omologati a determinati e quanto mai discutibili modelli di riferimento.
Il valore della persona non sta nell’aspetto estetico più o meno rispondente a determinati canoni, ma nel proprio mondo interiore, nei pensieri, nelle emozioni, nei sentimenti che non sono e non possono essere omologati o massificati, proprio perché caratterizzanti l’individuo. In questo i mass-media rivestono una responsabilità non indifferente perché rappresentano uno specchio deformato della realtà con dei toni e dei valori chiaramente alterati. Le pubblicità televisive enfatizzano l’idea di bellezza presentando donne e uomini bellissimi che, comunque, finiscono per assomigliarsi tutti.

Gli antichi Greci definivano la bellezza secondo il concetto di “calocagathia” in cui l’equilibrio tra l’aspetto fisico e la bontà intrinseca costituiva un connubio perfetto. Al giorno d’oggi, invece, la bilancia pende tanto dalla parte estetica e molto poco da quella etica: si fa fatica ad accettare lo scorrere naturale del tempo e si tende a demonizzare l’idea stessa di vecchiaia usando degli eufemismi o delle perifrasi (non si è vecchi, ma diversamente giovani) per non parlare poi della morte, la naturale conclusione della vita, ma difficilissima da accettare.
Se solo ci si adeguasse ai ritmi della Natura e si entrasse in sintonia nuovamente con essa come facevano gli antichi, forse saremmo meno infelici e più consapevoli del nostro stato di precarietà; accetteremmo i nostri difetti e le imperfezioni, invece di combatterli in nome di ideali fallaci e pericolosi e potremmo trovare, paradossalmente, la forza in quella debolezza che tanto critichiamo e che, invece, costituisce parte integrante della nostra umanità.