Italia sempre più tra alluvioni, danni, assenza di risorse e un Sud sempre più abbandonato
di: Gianfranco Becchina - del 2014-11-22
(ph. Foto: cartina_sud_italia)
Cinquant’anni dopo il famigerato governo Tambroni, fanno capolino le stesse premesse che lo hanno consegnato alla peggiore storia d’Italia. Allora, a Reggio Emilia; oggi, in maniera altrettanto decisa, nel resto del paese.
Manganellate e pallottole fasciste con morti e feriti nel primo caso, e , tanto per ricominciare, feriti e sonore manganellate targate larghe intese dell’arco costituzionale - nella cupa attualità del Bel Paese: teatro di vere e proprie manifestazioni di rabbia che una diffusa minimizzazione mediatica tenta di spacciare per semplice malessere.
Tutt’altra cosa - menomale - a sconfessare tanta abituale vaporizzazione di sonnifero, ecco i dettagliati filmati visibili sulla rete che mostrano la virulenza della reazione poliziesca contro manifestanti inneggianti pacificamente con vari slogan alle loro rivendicazioni, armati di … qualche striscione di tela.
Ma è la nebbia, all’orizzonte, che sale sempre più fitta al tempo stesso delle proteste dei lavoratori e di quelli che il lavoro non ce l’hanno, quel che ci deve preoccupare seriamente, piuttosto che cedere all’inganno di chi si ostina a spargere becero ottimismo sull’avvenire dell’Italia. Purtroppo i nodi che vengono al pettine sono diventati un groviglio, insolubile come il nodo di Gordio; il tempo delle vacche grasse appartiene al mondo dei ricordi, delle favole dei nonni ai nipotini.
Diciamolo chiaro e tondo: la miseria incombe e le casse, pubbliche e private, sono desolatamente vuote. Non c’è spazio neanche per indebitarsi, e non solo per questioni di fiducia venuta meno. È che, per la bisogna, ci vuole chi ti fa quel credito di antica memoria, prerogativa di una finanza in buona salute; una speranza vana, visto che non si sa chi dei due sta peggio dell’altro. Ancora una volta l’ambizione, o l’incoscienza, ha fatto sì che venissimo indotti a legarci a paesi ben più forti del nostro, immemori della disastrosa esperienza fatta sul finire dello storico ventennio.
Il primo, ovviamente, ché il protagonista del secondo ha tutta l’aria di voler emulare il Caudillo e il suo lungo regno. Altro che repetita iuvant! E non ci salveranno le trovate sin troppo facili di provvedimenti fiscali, giusto per consentirci di continuare a fare il vaso di coccio fra i vasi di ferro. La nostra frettolosa discesa per catturare la luna in fondo al pozzo, non prelude di certo a un facile ritorno in superficie.
“Menti raffinatissime” hanno sciolto qualcuno degli antichi lacci che ci avviluppano, liberando i soggetti giusti ansiosi di sentirsi importanti protagonisti di iniziative più grandi del loro raziocinio, garanti della più squilibrata delle unioni: quell’Europa dove più d’uno tira l’acqua al proprio mulino.
Approvata da ingenui lungimiranti, ma in effetti nient’altro che strumenti al servizio dei volponi matricolati che tirano, da sempre, i fili delle loro marionette. Ruolo, quest’ultimo, che a turno viene regolarmente ricoperto dall’interprete, spesso inconsa-pevole, di un gioco ancor più grande di quello a cui, sotto sotto, anela partecipare.
È la fragilità mentale che impera nell’insieme delle nostre teste, l’incapacità che ci portiamo dietro di renderci veramente conto delle splendide e infinite realtà che la natura e la storia ci hanno generosamente elargito. Con in più l’incoscienza che ci porta verso quell’incomprensibile disprezzo per quello di cui sappiamo solo vantarci guardandoci bene dal prenderne cura. E qui penso tanto al nostro disastrato Sud, che per esser tale può benissimo fare a meno di alluvioni e terremoti.