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Una vita con il cellulare in mano tra social, chat e identità virtuali. Eppure i rischi sono tanti..

del 2016-03-17

Immagine articolo: Una vita con il cellulare in mano tra social, chat e identità virtuali. Eppure i rischi sono tanti..

La Rete (l’esperienza dei social network) è allo stesso tempo complessa e coinvolgente. Le parti pubbliche e private della nostra vita oggi si intrecciano con la tecnologia. Non ce ne rendiamo conto ma le nostre esperienze umane (relazioni e bisogni) sonopermanentemente connesse con i vari media che ogni giorno,quasi tutti, “utilizziamo”.

  • Fratelli Clemente Febbraio 2023 a7
  • E’ un dato di fatto: non possiamo negarlo e richiede una sua corretta comprensione. Le questioni come la dipendenza da internet, il cyber bullismo, la violenza, la pornografia, etc., vanno affrontate con un’educazione mediale. Non serve a niente riflettere se vale la pena accettare o rifiutare la rete perché il Web è parte della vita odierna.    

    Lo smartphone è un oggetto, ormai, in tasca a tutti. Ogni giorno lo utilizziamo non solo per telefonare, ma soprattutto perché tramite il cellulare è possibile sperimentare relazioni e bisogni - «un vero e proprio palinsesto dell’esistenza, le sue icone possono essere intese una sorta di bisogni da soddisfare» (Padula-Ceretti) - che sono reali ma, appunto, digitali.

    Vita online (esperienze sulla rete) e vita offline (esperienze fisiche) s’intrecciano non per via di un algoritmo, ma perché il soggetto protagonista è il medesimo: l’uomo. 

    La questione educativa va posta, quindi, su che tipo di valore e di significato vogliamo dare a tale intreccio. Nei social, sottolinea Papa Francesco, ci si può realmente accarezzare o ferire. Per evitare esperienze negative, come il cyber bullismo, come prima cosa è necessario che gli educatori, gli adulti, comprendano la dinamica comunicativa e culturale dei media e poi mettano in pratica un’educazione senza psico-tecnicismi.     

    Per molti educatori, infatti, il vero problema sono le tecnologie e i media digitali perché li ritengono capaci di intervenire sulla mente umana, di comandare il cervello e di trasformare (in meglio o in peggio) le nostre esperienze umane.

    Ma per educare alle buone pratiche bisogna rinunciare a questi cliché fantascientifici e convincersi, una volta per tutte, che il problema non è l’oggetto ma il soggetto e la sua esperienza bisognosa, in certi casi, di educazione perché “mal educata”.

    La maggior parte dei problemi della vita reale (dipendenze, violenza, bullismo, solitudine, pornografia) continuano ad essere presenti sul web perché essi sono presenti nella mente delle persone. Le dinamiche dei social e della Rete sì, modificano le categorie dello spazio (diventa indefinito) e del tempo (si vive sempre nel presente), possono influire sulla costruzione dell’identità (in particolare nei social network si rischia di costruirsi un’identità non corrispondente a quella reale);

    tuttavia non sono i media che ci modificano perchè siano noi gli unici veri responsabili delle nostre azioni. Nei social tutto dipende dalla libertà (si spera) che ognuno di noi dispone nel saperli utilizzare e nel sperimentarsi in essi e con essi. Libertà che richiede, quindi, educazione.     

    Una via possibile contro ogni forma di cyber bullismo sembra essere quella di un’educazione mediale, ovvero di «un intervento media-educativo rivolto non tanto sugli oggetti comunicativi (sui media), quanto sull’uomo stesso (quale soggetto creativo di azioni comunicative), in modo che egli sappia convivere e adoperare le potenzialità comunicative dei media digitali» (Padula-Ceretti).

    Si tratta, quindi, di educare i giovani, ispirare i loro pensieri e le loro azioni alle più alte qualità umane: la verità, la bellezza e la bontà.     

    Don Alessandro Palermo

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    Effeviauto 6 gennaio 2025