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Schettino e De Falco: un nuovo capitolo di questa pigra e roboante epica nazionale

di: Francesco Saverio Calcara - del 2012-01-22

La nave riversata in mare dopo l'incidente

In foto: La nave riversata in mare dopo l'incidente

 Siamo fatti così: bene e male, mostri ed eroi, gogne e troni. È  questo il modo con cui il carattere italico ama celebrare se stesso, le sue sventure e le sue fortune.

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  • E dunque, la comparsa sulla scena pubblica di due personaggi, il comandante Francesco Schettino e l’ufficiale Gregorio De Falco, ha generato un intero nuovo capitolo di questa pigra e roboante epica nazionale. Schettino, il furbo esibizionista, che ama sfidare e infrangere le regole per poi sfuggire alle sue responsabilità, è un carattere immancabile della commedia all’italiana; così come De Falco, schivo ma con la schiena dritta, l’uomo della regola e della legalità ne costituisce il necessario complemento.

    Nessuno, in questa vicenda della Concordia, ha riflettuto che, nonostante i raffinati sistemi di controllo radar della navigazione che, dal 2009, sono in dotazione ad ogni Capitaneria di Porto, quella di Livorno è venuta a sapere dell’incagliamento della nave solo dalla telefonata di un carabiniere di Prato, in seguito alla chiamata della figlia di una passeggera, che aveva visto crollare il soffitto mentre cenava. Senza la telefonata dei carabinieri, chissà quando la capitaneria di Livorno si sarebbe accorta che la Concordia era uscita di rotta e aveva urtato uno scoglio.

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  • Si deve quindi dedurre che i giornaloni e il circolo mediatico italiano non abbiano alcuna idea di come funziona il traffico aereo e navale e abbiano mandato al Giglio  cronisti incompetenti, come la solita Sarzanini, a cui interessa solo sapere se il comandante aveva l’amante a bordo.

    Dare ogni colpa a Schettino fa comodo a tutti: alla capitaneria di Livorno, alla Carnival Corporate, il cui titolo è subito crollato in borsa, e alla compagnia Costa. Intorno a una nave da crociera ruotano enormi interessi e scaricare tutta la responsabilità sul comandante è la regola.

    Piero Calamai, il comandante dell’Andrea Doria, affondata nel 1956, si comportò eroicamente, rimase a bordo dopo aver messo in salvo i passeggeri, solo l’intervento dei suoi ufficiali riuscì a convincerlo a lasciare la nave, ma, ciò nonostante, ebbe la carriera distrutta. Schettino ha certamente delle serie responsabilità, ma il linciaggio serve a rassicurare il turismo delle crociere, perché c’è sempre un capitan De Falco a mettere a posto le cose.

    Ecco allora servita la classica commedia di bassa lega, senza sfumature e dunque senza verità. Il codardo Schettino rientra nella galleria dell’italiano vigliacco, opportunista e cialtrone, resa celebre in tutto il pianeta dal nostro cinema; l’eroe De Falco resterà famoso per la sua perentoria, e deliberatamente registrata, telefonata a un uomo in evidente stato di choc, a cui si intima, come a un soldatino di leva, questo è un ordine.

    Non c’è bisogno di scomodare Lord Jim e Joseph Conrad, bastano i sommi (e nostrani) Totò e Fabrizi dei Tartassati o di Guardie e Ladri  per capire che bene e male, mostri ed eroi, guardie e ladri fanno parte dello stesso impasto umano e dentro ogni italiano c’è un po’ di Schettino e un po’ di De Falco.

    Nessuno infatti ci può dire se i due personaggi a parti invertite -  il primo in poltrona e l’altro sugli scogli del Giglio - si sarebbero comportati diversamente. Invece, il grande teatro mediatico ha subito scelto: siamo tutti De Falco, siano tutti eroi, tutti integerrimi, tutti pronti a lasciare il posto in scialuppa, tutti bramosi d’affondare con onore piuttosto che salvarci con ignominia. E che gusto sopraffino e a buon mercato correre a crocefiggere l’orrido Schettino, “il Capitan Codardo” come lo chiama Libero in prima pagina, già personaggio da opera dei pupi,  su cui tutti vogliono aggiungere la loro bastonata!

    La narrazione televisiva ha fatto scempio di ogni prudenza nell’uso dell’oltraggio e dell’encomio: Mentana sulla 7 ha superato se stesso nel mettere in scena la trasfigurazione dei due uomini in caratteri da commedia e a trascinarci nell’allegra brigata del fischio e dell’applauso. Il tutto condito con le telefonate tra la nave e la capitaneria, uscite da chissà dove e grazie a chi, ma sempre pronte alla bisogna.

    L’effetto si è subito sentito, ferocemente amplificato, nelle piazze mediatiche dei social network, dove il sangue virtuale scorre con grande facilità e soddisfazione per tutti. "Vadabbordo cazzo", l’urlo telefonico di De Falco, è diventato il grido di guerra degli eroi feisbucchiani che gragniuolvano (vi piace il neologismo?) giulivi sulle loro tastiere con furia e con sdegno un tanto a riga.

    La ciliegina, ovviamente, ce l’ha messa Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, che in materia non si fa mancare nulla, quando ha tratteggiato un arzigogolato parallelo tra Schettino e Berlusconi, sulla base che entrambi hanno cominciato la loro carriera sulle navi da crociera ed entrambi hanno fatto naufragio, l’uno con la Costa, l’altro con l’intero Paese. Ecco scodellato ai lettori del Fatto un surrogato per la corsa all’odio da troppo tempo in surplace.

    Badate bene, non sto facendo un discorso sulle persone: è possibile che Schettino sia il peggiore dei criminali e De Falco un santo senz’aureola; quello che colpisce è la capacità del nostro carattere nazionale nel raccontarsi fole auto consolatorie e purificatrici e di trasfigurare la realtà perché si accomodi al nostro gusto estetizzante (non estetico) e moralistico (non morale). Ma entrambi sono vittime della voracità del nostro immaginario collettivo: De Falco inseguito da torme di giornalisti microfonati che gli chiedono a macchinetta: "Cosa si prova a essere un eroe?"; e Schettino sottoposto al waterboarding mediatico di tutti i talk a disposizione e anche di più.

    Non sorprende quindi che la notizia della scarcerazione del comandante della Costa in favore degli arresti domiciliari abbia scatenato reazioni da malebolgie sui giornali e su internet. Schettino a casa rovina tutta la sacra rappresentazione, rompe il paradigma mostrificante e mette in gioco l’idea balzana che ci sia bisogno di un processo vero e magari anche – dio ci scampi – di una difesa.

    Anche giornalisti normalmente accorti su questi temi, come il direttore del Tempo,  Mario Sechi o quello di Europa, Menichini sono rimasti delusi. Il primo si augurava che il comandante rimanesse in carcere a meditare “senza distrazioni”  sulle sue colpe, dimenticando che le colpe vanno prima accertate, anche quando sono sotto gli occhi di tutti (soprattutto quando sono sotto gli occhi di tutti, perchè nessuno vede tutte le altre). Il secondo sostiene che in questo caso il garantismo non deve essere scomodato: la condanna l’hanno già emessa giornali, tivvù, internet e tutti cittadini esemplari del Bel Paese.

    Benissimo, ci possiamo pure stare; ma allora, in tempi di crisi, ecco dove tagliare: sciogliamo la magistratura e smettiamola di disturbare il garantismo che costa caro.

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