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A cavallo di due epoche. Il ricordo di Italo Profera di una Partanna che fu

di: Italo Profera - del 2019-05-11

Immagine articolo: A cavallo di due epoche. Il ricordo di Italo Profera di una Partanna che fu

Nato nel 1945, ho la sensazione di essere vissuto a cavallo di due epoche. Poco ricordo dei miei primi tre anni, a parte qualche flash. Dai tre anni in su, viceversa, ho ricordi nitidi. A Partanna era la vita dalle millenarie abitudini. Al mattino venivo svegliato dallo scalpitio dei muli che, uno dietro l'altro, in una fila che durava ore, scendevano dalla collina per dirigersi nei terreni. Il mulo era il mezzo di trasporto, per il contadino e per gli arnesi atti all'agricoltura. Anche l'aratro era montato sul mulo, legato alla sella, perché la terra si arava con l'aratro trainato dal mulo, come mille e mille anni prima.

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  • Le donne rimanevano a casa, impegnate in varie faccende: fare il pane, filare, lavorare al telaio, ai ferri, all'uncinetto, lavare la biancheria e, per qualsiasi necessità, l'acqua si attingeva dalla cisterna, col secchio, come mille e mille anni prima.  I bambini vivevano il tempo libero per strada dedicandolo al gioco. La strada ci apparteneva. Solo la "topolino rossa" del dottor Asaro circolava se, per una visita urgente, doveva raggiungere il paziente.

    Noi siamo quelli che la prima palla ce la siamo costruita mettendo assieme quattro stracci rubati alla mamma, tenuti assieme dallo spago rubato al nonno. Noi siamo quelli che quando la squadra di calcio del Partanna ci ha regalato un pallone sgonfio, logoro, scucito in più punti, abbiamo rifatto le cuciture nei punti in cui servivano, abbiamo nutrito il cuoio del pallone col grasso per le scarpe e quando abbiamo potuto usare quel pallone, alla villa o in viale d’Italia, ci siamo sentiti giocatori veri perché il pallone era un vero pallone di calcio.

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  • Noi siamo quelli del gioco delle biglie, a "Parmu e toccu, a quattru e quattr’ottu, alla settimana, a ladri e carabinieri, a lu travu longu. Con la tortula e strummuluni, con la canna e nozzulu di caccamu, ammucciareddu, a lu stivali, a li quattru cantuneri, cu la freccia e li chiova torti di ferru di cavaddu, a la merca". 

    Attraverso questi giochi abbiamo imparato a stabilire le regole, rispettarle e farle rispettare, imparato le tecniche di gioco, migliorato le prestazioni, subito sconfitte e insuccessi, imparato a riscattarci, mai vinti e sempre messi in gioco, fidarci delle potenzialità dei compagni, meritato la fiducia, responsabilizzati nei compiti da realizzare unendo le nostre alle forze dei compagni, incoraggiato il compagno per un cedimento, spronato, vissuto l’agone giornalmente e con qualsiasi gioco. Attraverso questi giochi siamo cresciuti affettivamente, cognitivamente, socialmente.  E i giovani?

    I giovani avevano una sola mira: studiare. Diventare maestri o proseguire gli studi per conseguire la laurea secondo le proprie inclinazioni. Aspirazioni che coinvolgevano l'intera famiglia. I giovani non accettavano la vita di sacrifici e rinunce dei padri e questi auspicavano per i figli una vita più dignitosa della propria.  L'Istituto Magistrale di Partanna è stato la fucina per generazioni di giovani. Docenti provenienti da tutte le province siciliane quando non da regioni diverse, assieme a studenti della provincia di Trapani e Agrigento, hanno arricchito di linfa culturale e stimoli intellettivi il tessuto sociale prettamente agricolo. 

    Punto di riferimento di pregnante valenza formativa sono stati il "Circolo degli Aspiranti" e il "Circolo degli Esploratori". Animati rispettivamente da Padre Caracci e Padre Ragalbuto erano i luoghi dove i giovani eravamo soliti riunirci. Qui trovavamo giochi da tavolo, intrattenimento formativo intellettuale e spirituale e, un momento di crescita straordinario quale il dialogo e il confronto delle idee possa essere.  Altro luogo intellettualmente rilevante le due sale cinematografiche: "Giacomarro" e "Pandolfo". In quelle sale abbiamo visto l'arte di Rossellini, Visconti, De Sica, Antonioni, Lattuada, Germi.   

    Durante la proiezione di "Catene spezzate", "Tormento", "I figli di nessuno" con le avvincenti interpretazioni di Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, non mancava mai il commento della cameriera che, visto il primo spettacolo, si fermava per il secondo e se poteva anche per il terzo. Conoscendo le battute a memoria, le anticipava ad alta voce e, piangendo, si lasciava andare: "Pi fissa ti pigghia! Un ci dari cuntu! Iddu è lu tradituri!" Attori, registi, soggettisti, sceneggiatori,  hanno contribuito alla nostra formazione. Appena fuori dalle sale cinematografiche passeggiavamo, dalla villa al Castello, commentando le scene, elaborando i problemi posti dal film, argomentando i vari aspetti che i film ci avevano fatto conoscere. Era un momento di crescita, un  esercizio del senso critico, dell'attività intellettuale, un esercizio dell'espressione del proprio pensiero, dell'ascolto della parola altrui. 

    E le relazioni con l'altro sesso? Chapeau! A chi? Alle donne ovviamente.  Creavano le occasioni d'incontro con le feste danzanti. Si ballava in casa. Pensavano le donne a fare gli inviti. Le sorelle c'insegnavano i primi passi. Chi non aveva una sorella rimediava con "Cicciu Vagliuni", così denominato perché aveva un pianino e una sala, "Vagliuni", dove i giovani partannesi si esercitavano nel ballo. Quanto piacevoli erano le ore al “Vagliuni” con Ciccio che girava la manovella di lucidissimo rame e il pianino che, per incanto, emetteva quelle melodie. Diventava secondario girare per quella sala abbracciato ad un “masculazzu”.

    Importante era imparare a ballare, imparare a non calpestare i piedi. La dama, dopo la prima “pistatina” avrebbe rifiutato successivi inviti dandoci la tanto temuta “coffa”. Tutto per ben figurare alle serate di gala. 

    I circoli durante l'inverno organizzavano i "Veglioni", autentiche serate di gala.  Gli uomini con abito da sartoria, candide camicie con polsini e qualcuno con papillon. Le donne sfoggiavano l'abitino elegante che la sarta creava per lei.  Gli anni '60 aprirono la porta ad un'altra epoca.

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