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Una tesi sulle case abusive di Triscina. “Tra storia, politica e un caso mediatico che continua”. Intervista al partannese Luca Triolo

di: Mario Butera - del 2018-07-05

Immagine articolo: Una tesi sulle case abusive di Triscina. “Tra storia, politica e un caso mediatico che continua”. Intervista al partannese Luca Triolo

Filippo Luca Triolo è un ingegnere libero professionista, specializzando in Ingegneria dei Sistemi Edilizi presso l'Università di Palermo. In occasione della sua laurea specialistica, ha scelto come argomento della tesi una questione che ci sta molto a cuore: Triscina, con i suoi pregi e i suoi difetti, la sua disposizione caotica sul territorio, e le sue irregolarità edilizie per cumi pare sia difficile trovare una soluzione. 

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  • Proprio a partire questa tesi, che ha come titolo "Abusivismo edilizio a Triscina di Selinunte tra legalità e illegalità", Filippo Luca Triolo ha deciso di rispondere alle nostre domande, per farci capire meglio, da un punto di vista accademico, quello che è successo e sta succedendo nella borgata marinara.

    Come nasce la curiosità di approfondire l'argomento Triscina?
    L’interesse nacque in seguito ad una puntata della trasmissione televisiva “L’Arena”, condotta da Massimo Giletti, del 29 settembre 2013 su RAI 1 in cui Triscina passò alla storia come la località più abusiva d’Italia. La puntata fu trasmessa alla vigilia di un’importante scadenza amministrativa. Il 30 settembre, infatti, decadeva il termine perentorio voluto dall’ARTA che imponeva a tutti i comuni della Sicilia, di acquisire al patrimonio indisponibile del comune tutti gli immobili non sanabili.​

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  • Qual è la genesi della parola "abusivismo" e qual è il suo significato?
    In Italia si inizia a menzionare la parola abusivismo edilizio nell’anno 1984 quando a Ferrara, si riunisce uno tra i primi convegni sul tema dell’abusivismo edilizio. L’allora Presidente della Corte Suprema, Giuseppe Delfini, sente l’esigenza di sottolineare come la parola “abusivismo” non sia presente nel dizionario della lingua italiana in quanto si inizia ad usare nell’ambito giornalistico. Da qui le infinite definizioni che vi si possono attribuire. Potremmo comunque definire l’abusivismo edilizio come una coesione perfetta tra chi commette l’abuso, costruendo senza alcuna autorizzazione e chi, dovendo accertare e sanzionare l’illegalità, non vi provvede. Si è quindi coscienti che dietro il termine abusivismo vi sia una pluralità di soggetti che prendono parte al reato.

    In che periodo si è diffuso l'abusivismo edilizio in Italia?
    L’abusivismo si sviluppò a Roma durante il ventennio fascista sotto il nome di quello che Berdini chiamò “abusivismo naturale”: niente regole, niente prescrizioni. Sebbene ordine e disciplina erano le parole tanto esaltate e vincenti dell’Italia fascista, lo stesso non si può sostenere del governo di Roma in cui si coglie, invece, un inaspettato disprezzo per le regole. Da quel momento in avanti borgate e quartieri fantasma crebbero ovunque. Il risultato, come dimostrato da un aneddoto che Paolo Berdini riporta come esempio nel suo ultimo libro sul non funzionamento di quelle non politiche, è che durante la visita di Adolf Hitler del 1938, per celare l’obbrobrio rappresentato da quegli insediamenti spontanei, venne realizzata una quinta di trompe l’oeil lungo via Tiburtina.

    Da cosa deriva la parola Triscina?
    Dai racconti di alcuni abitanti del luogo emerge che la frazione di Triscina prenderebbe questo nome a partire da un’errata trascrizione del termine “Friscina”. Questo vocabolo era usato dai pescatori di Selinunte per indicare una zona corrispondente ad una sorgente lungo la strada 23, oggi scomparsa, in cui era abbondante la pesca dei polpi e dove nascondevano un arnese, la fiocina, detta in dialetto “friscina”. Alcuni storici sostengono, invece, che la borgata è stata nominata in tal modo perché lungo la costa vi cresce in abbondanza l’alga nera detta Triscina, ma di ciò non si ha alcuna certezza. In realtà, da uno studio più approfondito, mi sembra doveroso sostenere che Triscina era già conosciuta nel lontano ‘500 con il nome di Triscinia come dimostrato dalla topografia di Camillo Camilliani del 1583 in cui viene riportata tale denominazione. Il termine Triscinia viene successivamente sostituito da Punta della Triscina come si evince sulla tavola 16 della Carta della Sicilia progettata dal barone Samuel von Schmettau tra il 1720 e il 1721.

    Com'è avvenuta la sua lottizzazione?
    L’attività edilizia iniziò con una lottizzazione, regolarmente approvata dal Comune di Castelvetrano e, via via, si sviluppò in direzione ovest, lungo la costa, fino a congiungersi con Tre Fontane di Campobello di Mazara. Qualsiasi tentativo di ripresa dell’area fu vano. A peggiorare il tutto fu il Piano Comprensoriale N.4 del 1974 che prevedeva per la zona di Triscina una fascia di rispetto del litorale ed una di rispetto archeologico. Nel piano venne considerata solo una parte della realtà urbana esistente della “Prima lottizzazione regolare Volpe-Quartara”. Sarà troppo tardi quando i vincoli urbanistici stabiliranno le fasce di rispetto dei 150 metri prima e 300 dopo: tutta la zona è edificata e il paesaggio tipico di quell’area compromesso.

    Dal 1955 al 1968 si iniziano a intravedere i primi cambiamenti del paesaggio costiero castelvetranese. Come si può notare dalla fotogrammetria del 1955 Triscina risulta ancora priva di lottizzazioni. Nel 1968 abbiamo le prime costruzioni tra le quali quelle  di Quartara e Volpe.

    Oggi come si presenta?
    Triscina si presenta come uno dei casi sull’abusivismo più emblematici della Sicilia. Sino ai primi anni Sessanta la costa era caratterizzata da una distesa continua di dune sabbiose che si prolungava per una fascia estesa circa 4 km ed ampia 800 metri e da un’incontaminata vegetazione tipica della macchia mediterranea. Sul finire degli stessi anni ebbe inizio la più imponente trasformazione urbanistica di Triscina.

    Possiamo affermare pienamente che il fenomeno dell’abusivismo in questa località è stato reso possibile e inarrestabile a causa dell’incapacità delle istituzioni nel gestire organicamente il territorio, incuranti dell’incremento del mercato del Mattone Selvaggio che fu da loro sostenuto perché fonte di profitti e consensi elettorali. 

     

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