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Tra storia e aneddoti nel ricordo del castelvetranese Giuseppe Campagna in arte “Nikili-Nakili”

di: Salvatore Di Chiara - del 2022-06-17

Immagine articolo: Tra storia e aneddoti nel ricordo del castelvetranese Giuseppe Campagna in arte “Nikili-Nakili”

Sono passati trentaquattro anni dalla morte di un personaggio che ha avuto un risalto mediatico nella nostra città e dimenticato facilmente nel corso del tempo. Nell’estate del 1988 moriva Nikili-Nakili. Il suo vero nome era Giuseppe Campagna e il suo soprannome gli era stato dato per la sua camminata ondulata e particolare. L’ottimo Ferruccio Centonze riuscì a cogliere alcuni aspetti interessanti che meritano di essere riproposti con diligenza. 

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  • Tanti, oggi, ricordano bonariamente un uomo che ha rappresentato per diverso tempo l’estro immaginario unito alla stravaganza. Una vita frastornata dal secondo conflitto mondiale che offuscò la sua mente e riflesse negativamente nel suo prosieguo. Una bomba che esplose a pochi metri da lui e infierì definitivamente la sua psiche. Il congedo e quindi, il ritorno a casa che ebbe un risalto pesante e lo colpì nel profondo dell’animo. 

    Quante volte si incontrava durante il giorno e quel modo frizzante e repentino di porsi alla gente trasmetteva positività. Mentre i simili amano la luce per mettersi in mostra, lui allontanava quel momento della giornata per recarsi nelle vecchie stradine della città nelle ore serali. 

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  • Al calar del sole, quando le famiglie erano riunite nelle proprie abitazioni per dedicarsi alla cura e armonia familiare, Nikili-Nakili iniziava il suo peregrinare alla ricerca di una soddisfazione personale. Il suo pezzo preferito era quello, il solito “Ridi pagliaccio”.

    Una filosofia di vita diventata un rito propizio perché lo rendeva inutile della sua stessa esistenza e privo di scopi. Un confronto con se stesso e lontano dalla presenza di altri. Un tumulto perenne nei discorsi, per rinsaldare una posizione terrena di cui non era soddisfatto e andava come una barca senza timone. La testa, abbandonata a se stessa, aveva perduto la naturale direzione e quei momenti, lo riportavano a galla da una metamorfosi definitiva. Era propenso a cercare un angolino di pace interiore ed i suoi sorrisi toglievano il disturbo per lasciare spazio al malessere che lo affliggeva da tanti anni. Fin troppi.

    I suoi modi di interloquire erano gentili, con una serie di espressioni caratteristiche per elogiare la gente. Un dolce pensiero rivolto alle donne : ”occhi di sogno”, “visino d’angelo”, “bella come l’aurora”. Per quanto riguarda gli uomini, “baffo di velluto” era la classica espressione diretta a quelli con i peli bianchi.

    La gente amava quel tizio dalla camminata storta e con le gambe arcuate. Un modo tozzo e claudicante, figlio di una distruzione psico-mentale non avvertita dai suoi stessi ammiratori di passaggio. Un popolo bloccato dall’apparenza che mostrava i suoi lati pessimi e privi di tatto, senza accorgersi delle vere difficoltà che stesse incontrando quell’uomo. Nonostante i suoi modi burberi, si autodefiniva un filosofo e spesso, le sue battute erano uno spunto di riflessione.

    Un giorno si recò all’interno di un giardino con degli alberi di arance (senia). Fu denunciato e portato in caserma dalla polizia. Durante un breve interrogatorio esclamò “Avevo fame e siccome il mondo è stato creato da Dio per gli uomini, e quel giardino appartiene al mondo, vuol dire che appartiene anche a me”. Da un lato, sembrava fosse un insulto e stesse esprimendo una considerazione fuorviante e priva di cognizione. Dall’altro, mostrava uno stile di vita dai toni particolari e incompresi.  

    Il giorno della morte fu accompagnato da un velo di tristezza. Durante il cammino verso il cimitero il feretro illuminò le strade della città come un segno del destino. La gente provò a riconciliare un rapporto nato casualmente ma rinvigorito dai piccoli gesti esternati dal personaggio. Una giornata di lutto e al contempo di ammirazione. Perché in fondo…  siamo tutti un pò Nikili-Nakili.

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