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Il 2017 un anno da dimenticare tra lutti, brutte notizie e speranze per il 2018

del 2017-10-26

Immagine articolo: Il 2017 un anno da dimenticare tra lutti, brutte notizie e speranze per il 2018

Ieri mi ha chiamato dal mio paese un fraterno amico per chiedermi un favore. Ne ho approfittato per chiedergli come vanno le cose nella mia tanto amata Castelvetrano e mi ha risposto che sarebbe stato meglio non parlarne. Mi ha anche confidato d’avere avuto tanti problemi in famiglia e che non vedeva l’ora che questo maledetto 2017 passasse al più presto.

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  • Ho pensato anch’io la stessa cosa, più d’una volta: questo è stato davvero un anno pessimo da non conservare nel cassetto dei ricordi. Viene anche da pensare che questo è il diciassettesimo anno dopo quel famoso duemila che ha segnato il passaggio da un millennio all’altro, evento che molti ritenevano sarebbe stato funestato da fenomeni devastanti. Così non è stato o, almeno, non è successo nulla che non fosse già accaduto anche nei precedenti anni e decenni.

    Questo 2017, però, si è manifestato, a detta di molti, peggiore degli altri e qualche superstizioso lo imputa proprio a quel 17 dopo il 2000. Soltanto mera credenza popolare, casualità?

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  • Ecco, mentre scrivo mi giunge l’ennesima bruttissima notizia della morte d’uno dei più affermati pittori nazionali, Antonio Cannata, mio compaesano e ottimo amico. Non se ne può più. Non riesco più a contare le persone a me più care e vicine, affezionati fratelli che m’hanno lasciato in quest’anno così malevolo: Salvatore, Giuseppe, Mimma, Tony, Enzo, Tanuzzu, Giacomo, Pietro, Paolo, Vezio, Alfredo, Vincenzo, Nicola.

    Coincidenze negative, o c’è qualcosa di sovrannaturale che interviene nella normale conduzione del vivere quotidiano? Personalmente, sperando di non suscitare l’ilarità dei tanti che mi conoscono, mi sono convinto che non riuscirò a finire l’anno in questa terra. Troppi episodi funerei, troppa terra bruciata attorno a me. Se ciò dovesse accadere, questo può diventare un testamento pubblico e una, forse, prova che un po’ di sana scaramanzia e qualche scongiuro alla fine non sarebbero per nulla inopportuni. 

    A livello psicologico so che il mio può definirsi un disturbo ossessivo-compulsivo causato da un disordine psichico e comportamentale, ma chi me lo dice che non sia una sensazione fondata, avvertibile solo se si possiede una particolare predisposizione verso una coscienza-conoscenza anche di ciò che non appartiene al mondo reale?

    Un paio di miei amici, per quanto cattolici, sono vittime della superstizione in quanto fermamente convinti che qualcuno abbia fatto loro il malocchio. Non addebitano le loro disgrazie e sfortune alla sorte ria o magari a delle scelte di vita sbagliate, bensì credono che qualche persona invidiosa a loro vicina possa avere operato dei sortilegi tali da cambiare il corso positivo della loro vita con uno negativo.

    Lo stereotipo del menagramo è quello d’una persona di corporatura molto minuta, solitaria e taciturna, che veste completamente e rigorosamente in nero, che non ride mai, che s’appoggia a un bastone naturalmente di color nero, con occhi grandi sporgenti e sopracciglia folte e unite. Quando lo s’incontra ci viene di fare, utilizzando le dita della mano, le classiche corna.

    C’è chi tiene appeso davanti l’uscio di casa un ferro di cavallo con le punte rivolte verso l’alto, altrimenti potrebbe sorbire l’effetto contrario. Alcune altre credenze sono: trovare un quadrifoglio, simbolo di buona fortuna; evitare di fare rovesciare dell’olio o del sale per terra o sulla tovaglia; non rompere mai uno specchio se no si avranno sette anni di guai; non aprire mai un ombrello all’interno di un’abitazione; non passare sotto una scala aperta; non sedersi mai a tavola in tredici persone; scansare un eventuale gatto nero che ci sta attraversando la strada oppure un carro funebre senza la bara; non incrociare le mani dietro la testa e così via.

    Se, poi, uno è proprio scalognato a nulla valgono tutti i rimedi possibili e immaginabili contro la sorte avversa. Nel campo musicale sono stati due i cantanti che hanno dovuto subire l’ignominia di portatori di iella (sporcizia): Mia Martini e Marco Masini. L’unica casualità che unisce questi due noti personaggi sono le due emme iniziali del loro nome e cognome che, naturalmente, non stanno a significare proprio nulla, ma tanto ne è.

    Vorrei raccontare un episodio curioso accadutomi qualche anno fa durante una festa di piazza a Bivona, in occasione della consueta sagra della pesca (frutto). Ospite Fabio Concato che, penso casualmente, si presentò sul palco vestito tutto di nero: scarpe, calze, pantaloni, camicia e occhiali. La piazza era gremita di persone che a ogni brano applaudivano le performance appassionate dell’artista.

    A un certo punto, presentando il prossimo brano in programma, Concato fece una premessa. Annunciò ch’aveva sempre un po’ di timore, proprio per problemi scaramantici, a interpretare il brano che cantò da lì a poco, “Speriamo che piova”, un suo successo tratto dall’album “Giannutri” del 1990. Considerando che le condizioni atmosferiche erano tra le più rassicuranti e che la temperatura era perfettamente consona al clima estivo di quel periodo, con un cielo terso e con l’assenza d’un qualsiasi alito di vento, non ebbe alcun timore a farcelo ascoltare. Bene! Non so se riuscirete a credermi, ma non ebbe il tempo di finire di cantarla che il cielo d’improvviso s’addensò di nubi, cominciò a sollevarvi un vento minaccioso e cominciarono a cadere le prime gocce d’acqua. In pochi attimi, smarriti, siamo stati investiti da un acquazzone così violento da spazzare via cose e persone.

    Incredibile? Certo, ma vi assicuro che è successo veramente.

     

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