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La storia di "Patri Arcipreti" Geraci, indimenticata figura di Castelvetrano

di: Vito Marino - del 2012-06-06

Immagine articolo: La storia di "Patri Arcipreti" Geraci, indimenticata figura di Castelvetrano

“L’arcipreti di la Matrici” o “Patri Arcipreti”, per come Don Molchiorre Geraci era più comunemente conosciuto, nacque a Castelvetrano nel 1904; rimasto orfano di padre in tenerissima età, trascorse la sua prima infanzia a Partanna, dove la ma­dre lo allevò con grandi sacrifici  per mezzo del suo lavoro. La sua giovinezza fu piena di stenti, di pri­vazioni. di estrema povertà che sicura­mente influì in modo negativo sul resto della sua vita.

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  • Ragazzo di ingegno precoce, per interessamento di mons. Gaspare Aiel­lo, oriundo di Partanna e rettore del Semi­nario di Mazara, fu accolto in quell'istituto, e avviato agli studi ecclesiastici. Da studente seminarista, fu più volte chiamato a sostituire gli insegnanti nelle loro assenze, poiché eccelleva in ogni branca del sapere: greco, latino, filosofia, letteratura italiana, compresa matematica e fisica. Era il primo non solo della sua classe, ma di tutto l’istituto. Vinse la borsa di studio della Fonda­zione “Penesrino” di Palermo e fu avviato a completare la sua preparazione nel Se­minario Pontificio Regionale di Catanzaro.

    Purtroppo, una intermittente malattia mentale, lo accompagnò per tutta la vita e lo portò alla morte. Fu questa malattia che non gli permise di conseguire la lau­rea in Teologia che gli avrebbe aperto le porte ai vertici della carriera ecclesiastica. Infatti il Seminario di Catanzaro, dove aveva conseguito una licenza che lo abilitava all'insegnamen­to medio nei seminari, a causa della sua malattia lo rimandò a Mazara per essere curato presso l'ospedale psichiatrico di Trapani. Qui fu ordinato sacerdote, non senza qualche perplessità del Vescovo, mons. Nicolò Ma­ria Audino, preoccupato delle condizioni di salute dell'allora Diacono.

    Il Geraci partecipò ad un concorso per Canonico teologale di Mazara ma, nonostante lui si fosse affermato come primo assoluto tra i concorrenti, svolgendo in latino un tema proposto dal­la S. Sede, la Commissione giudicatrice non credette di pronunciarsi sulla scelta del vincitore e rinviò la decisione ad una Com­missione Pontificia. Quest’ultima, nel dare un giudizio, avrà tenuto conto del suo stato precario di salute e riconobbe vincitore un altro concorrente, che conseguì la no­mina.

    Quindi fu nominato professore e insegnò per diversi anni, nel seminario di Mazara, filosofia e poi teolo­gia dogmatica. Ma, dopo !a morte del Vescovo mons. Audino, che molto lo amava ed apprezzava, diventato uno scomodo insegnante, forse per la sua malattia o per invidia, fu pro­mosso arciprete della Chiesa Madre di Castelvetrano. Rimase a Castelvetrano, a svolgere il suo servizio pastorale,  dal 19 luglio 1937 fino al 01 maggio 1973, giorno della sua morte. Anche se non era tagliato per il mini­stero pastorale, fu sacerdote esemplare con salda dottrina teo­logica e sentimento religioso profondo e verace e trascorse la vita con dignità e sani costumi. Sicuramente fu un errore dei superiori l'averlo destinato a tale compito, allontanandolo dalle predica­zione e, soprattutto, dall'insegnamento, nel quale fu grande maestro.

    Fu un ingegno grandissimo, il suo spirito fu tormentato e incompreso, ma soffrì in solitu­dine. Carattere schivo e in apparenza chiuso e poco comunicativo, forse per la sua malattia, si apriva tuttavia li­beramente verso coloro che lo amavano e gli dimostravano simpatia e compren­sione: cosi,  ai giovani che lo ebbero come insegnante di religione e come amico, non lesinò mai il commento di qual­che canto del Paradiso di Dante o il chia­rimento di qualche complicato pensiero filosofico come pure qualche lezione di latino o greco. Egli raccomandava loro di usare sempre umiltà e modestia, se volevano seguire  una retta via nella vita.

    Grande cultore della lingua siciliana, ricordo che una volta ha partecipato alla composizione di  un vocabolario siciliano. Agli studenti che consideravano la lingua siciliana una cosa facile, lui ha fatto questa domanda: -“Come si dice “papuzzana” in italiano? Nessuno ha saputo rispondere.

    A quanto sembra della sua cultura enciclopedica non ha lasciato nulla di scritto, la sua esistenza terrena e la sua cultura rimarranno nella mente di chi l’ha conosciuto e apprezzato, ma non durerà nel tempo.

    Fu socio onorario del Circolo della Gioventù, dove non entrò mai nelle sale da gioco o di lettura. Egli restava seduto fuori, a prendere il fre­sco, nelle serate estive, quando av­viava delle conversazioni con amici e conoscenti a carattere culturale. Spesso, con gli stessi amici, fra un discorso ed un altro faceva delle lunghe passeggiate al corso.

    Durante la messa feriale, a cui partecipava la classe più umile della popolazione,  per adattare la sua predica a chi ascoltava, egli usava concetti molto semplici, con l’uso di vocaboli spesso usati in dialetto. Nelle messe domenicali e festive con la chiesa stracolma di persone colte, oltre al sacerdote si manifestava in lui anche l’uomo di profonda cultura; la sua omelia diventava calda, eloquente, densa di dottrina profonda e ricca di concetti, di sentimenti e di poesia, le sue idee si allargavamo ai grandi letterati, con Dante  in prima fila, ed ai filosofi del passato, ma il tutto si riallacciava al tema religioso della giornata. A Castelvetrano una eloquenza religiosa co­me la sua, non si sentiva dai tempi dell’arciprete Paolo Pappalar­do o del parroco Errante Parrino, o del parroco Curti, le cui memorie ancora arrivano fino a noi. A causa della sue capacità oratorie e del suo ingegno, non ebbe  vita facile tra il clero locale che non seppe capirlo.

    Negli ultimi tempi, dopo la morte della madre, a lui tanto cara, a causa del suo turbamento psichico, per cercare la pace dell’anima e del corpo fu ospite del loca­le Convento dei Cappuccini e, successivamente, della casa di riposo Lucentini, ma sembra che ciò non gli sia stato di giovamento.

    Dopo la sua morte (1973), per iniziativa di al­cuni amici, si voleva onorare l'illustre concittadi­no, ma per mancanza di fondi e anche per la diffidenza e la gelosia incontrate, non si riuscì a portare a termine quanto si era proposto. Il signor Vincenzo Ferrer Bo­nanno, volendo agevolare il loro operato realizzò un mezzo busto dell’arciprete, richiedendo soltanto le spese vive per la fusione del bronzo. Tuttavia, il mezzobusto non fu collocato dentro la chiesa Madre, dove aveva esercitato il suo ministero, ma nella strada attigua che fu a lui intestata. Nel 1988, con  una cerimonia commemorativa, nella Chiesa Madre fu scoperto un altro busto marmoreo dell’arciprete Geraci, opera dello scultore Mario Occhipinti, un artista di Castelvetrano.

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