Tra mufloni, cervi e daini. Alla scoperta delle origini dell’Azienda Agro Venatoria SS. Trinità
di: Vito Marino - del 2017-09-27
Ho avuto la possibilità di visitare l’”Azienda Agro Venatoria SS. Trinità”, che si trova nel territorio di Castelvetrano, confinante con la bellissima chiesetta arabo-normanna della SS. Trinità di Delia.
Si tratta di una vasta tenuta estesa 94 salme (1 salma =33488 mq. = 3.147.872 mq), facente parte dell’ex feudo Delia, di proprietà del sig. Stefano Saporito, uno degli ultimi discendenti di una potente famiglia che dai primi del 1800 ai primi del 1900 avevano raggiunto una potenza economica e politica tale da potere dirigere le sorti di Castelvetrano e dei paesi vicini.
Questo ex feudo è stato trasformato in una “Azienda Agro Venatoria”, un termine moderno per indicare ciò che una volta si chiamava foresta allo stato naturale e riserva di caccia.
Alle origini questa azienda era coltivata tutta a vigneto con qualche uliveto, non per niente Delia nella lingua araba significa vigna. Intorno al 1980, l’attuale proprietario decide di trasformare la proprietà: estirpa in maniera definitiva le decine e decine di ettari di vigneti, chiude quasi tutti i canali di scolo delle acque (per ricavarne la zona palustre), lascia pochi seminativi e alcune decine di ettari di uliveto, appositamente non coltivati per ricavarne ottimo olio biologico.
Quindi acquista altri terreni incolti acquitrinosi che facevano al suo caso e con poco più di 300 ettari di territorio inizia la nuova attività. Intanto recinta tutto il perimetro con paletti e rete metallica e con un rinforzo alla base di una griglia metallica, per evitare la fuga di animali qui allevati o l’ingresso indesiderato di eventuali animali ammalati.
Grazie alla legge Pareto o legge 80/20 sulla forestazione impianta sul vasto territorio 170 ettari di bosco di pino, più eucalipti e querce; qualche pianta di macchia mediterranea nasce spontanea; vi introduce alcune coppie di daini, cervi, mufloni, ma anche di cinghiali maremmani, bufali e bovini, ed inizia l’allevamento allo stato selvatico, lasciando il compito alla natura. Il coniglio, la volpe e i volatili si sono riprodotti senza l’intervento dell’uomo.
La presenza della vasta zona umida ha permesso l’arrivo degli uccelli migratori, che qui trovano cibo e riposo quando arrivano stanchi dopo un lungo viaggio. Alle origini, la caccia praticata era quella al coniglio, alle allodole, ai numerosissimi tordi (allora molto presenti) e a qualche beccaccia nei vari canaletti ricoperti di macchia mediterranea.
Oggi si possono cacciare conigli, volpi, cinghiali, anatre selvatiche, beccaccini, colombacci, tortore, ralliti e beccacce. Attualmente Cervi, Mufloni e Daini mai esistiti o scomparsi da secoli in questo territorio, sono considerati “animali da carne alternativa a pagamento”. I bufali e i bovini sono considerati di normale allevamento domestico.
Il Muflone è l'unica pecora selvatica vivente in Europa. Si tratta di un animale raro, che vive sulle montagne della Sardegna e della Corsica; recentemente è stato introdotto anche in numerosi paesi dell'Europa e dell'America.
Il Cervo è originario dell’Europa, Asia, America Settentrionale e Nordafrica; la sottospecie corsicanus è invece endemica della Sardegna e della Corsica. L'habitat originario del cervo è costituito dalle zone boschive con presenza di radure o aree di boscaglia poco fitta, generalmente in ambiente pianeggiante o a basse altitudini.
Il Daino è originario dell’area mediterranea ed è stato introdotto sin dall’epoca Romana in tutta Europa: dal Mediterraneo meridionale all’Africa nord/orientale ed all’Asia minore; abita sia nei boschi di latifoglie che di conifere, nella macchia mediterranea e nelle aree incolte.
Nel nostro paese è diffuso su tutto il territorio dalla catena alpina agli Appennini In un lontano passato, proprio al confine Sud della tenuta esisteva una vastissima area chiamata la foresta di Birribayda, una riserva di caccia dell'imperatore Federico II di Svevia: una foresta che si estendeva nell'area compresa fra la foce dei fiumi Modione e quella del Belice, da Capo Granitola (Campobello di Mazara) fino a Castelvetrano e al comune di Menfi.
Tale foresta è menzionata in diverse fonti storiche, come una pianura coperta di macchia mediterranea, con presenza di cinghiali e daini fino al XVII secolo. Visitando la vasta tenuta si rimane entusiasti dello spettacolo che la natura ancora ci può regalare quando l’uomo non interviene a modificare il corso naturale degli eventi. Infatti, boschi, terreno libero a pascolo, laghetti si alternano, mentre si intravedono tanti animali selvatici, che scappano alla vista dell’uomo. Un perfetto ecosistema regola il territorio: gli erbivori regolano la crescita delle piante, concimano il terreno, mentre anche la loro crescita rimane sotto controllo.
Infatti, come avveniva per la foresta di Birribayda, questo territorio non è altro che una riserva privata di caccia per alcune specie. Alcuni laghetti e aree palustri, creati appositamente, forniscono acqua da bere per tutti gli animali, ma servono anche agli uccelli migratori, che, quando arrivano qui, dopo ore di volo, provenienti dall’Africa trovano cibo e rifugio.
In questi laghetti vivono immersi nell’acqua i bufali. All’imbrunire, dopo una calda giornata estiva, gli animali escono dai loro nascondigli, per pascolare tranquillamente, salvo fuggire al minimo rumore o alla vista di persone. Anche qualche cinghiale nero, più diffidente e selvatico, attraversa di corsa i sentieri per andarsi a nascondere. Solo alcune coppie di bovini, più mansueti si lasciano osservare.
Questo territorio ha una ricca storia alle spalle sconosciuta dalla storia ufficiale: I Normanni, in Sicilia, per limitare il potere ai baroni e alla Chiesa di Roma favorivano gli ordini monastici di rito greco, appartenenti all’ordine di San Basilio, che avevano ancora molti seguaci fra i fedeli.
A Castelvetrano, per lo sviluppo agricolo della località di Trinità di Delia, i Normanni crearono un priorato per la realizzazione di aziende rurali, attorno al convento e per il ripopolamento di queste terre, che la lotta contro i musulmani aveva disabitato; inoltre, i priori di Delia, rappresentavano un organo periferico del sistema statale, poiché assicuravano, tramite la figura dell'abate, una sorta di controllo sociale sul territorio e occupavano un seggio nel braccio ecclesiastico del Parlamento siciliano.
Durante la dominazione araba, generalmente tollerante, i monasteri basiliani erano riusciti a mantenere viva la religione cristiana in questi territorio. La conquista normanna e la successiva riconversione al Cristianesimo dell'isola fu inoltre agevolata da questi monaci che avevano creato numerose comunità monastiche di rito greco. Questo priorato comprendeva i feudi di Delia, Montagna, Mandranuova e Margio in un territorio che si estendeva per circa 1200 ettari, al centro del quale esisteva il monastero, e la chiesa della SS. Trinità, insigne monumento dell'arte arabo-bizantina in Sicilia, che ancora mostra i segni del suo antico splendore.
Venuto meno l'Ordine di San Basilio nel 1820, il priorato passò per un breve periodo ai Benedettini, per diventare infine rendita del clero secolare, fino alla sua soppressione, avvenuta nel 1844, allorché le sue rendite passarono alla Mensa Vescovile di Trapani e, dopo l’annessione della Sicilia all’Italia, al Demanio dello Stato.
A seguito della legge 794 - 1862 e regolamento “Passaggio Al Demanio Dei Beni Ecclesiastici”, l’ex feudo Delia venne diviso in svariati lotti per essere venduti a censi annuali. La carta privata che contiene la divisione dei lotti fu depositata il 23 giugno 1869, presso gli atti del notaio Nastasi Giovanni Scaminaci di Castelvetrano.
Dagli atti notarili consultati risulta che a partire dal 1862 e fino al 1876 Stefano Ricca Saporito ha effettuato acquisti di numerosi lotti; e più precisamente: nel settembre 1866 dell’ex feudo Delia; nel maggio ed agosto 1869 dell’ex feudo Mandranova; nel luglio 1874 dell’ex feudo Montagna, ecc.