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Un bambino "speciale" con il diritto di lottare per una vita migliore

di: Desirè Giancana (psicologa) - (fonte: Giornale Agave) - del 2012-10-09

Immagine articolo: Un bambino "speciale" con il diritto di lottare per una vita migliore

L’incontro con bambini “diversi” lascia sempre uno spazio segreto per riflettere. Intanto sui termini (a volte dei veri e propri neologismi) che si succedono regolarmente per descriverli: disabili,portatori di handicap,diversamente abili…Come se l’unica necessità dei cosiddetti normali sia quella di etichettarli, un bisogno inconscio di riconoscerli attraverso ora un nome ora un altro. C’è una ricerca affannosa di trovare un modo inoffensivo di “nominarli, identificarli”, adatto per lo più ad indicarli come “bambini non uguali agli altri”. Bambini “sfortunati”, diversi appunto.

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  • Ma qualunque etichetta, ad un’analisi più approfondita,risulta insufficiente (se non inutile) a rappresentare simbolicamente la complessità del disagio, cui purtroppo questa società, seppur supertecnologica, non riesce a contenere.
    Mi urge scrivere questo articolo perché trovo doveroso riflettere, invece, su una realtà spesso taciuta, ignorata.

    Non farò volontariamente riferimento all’abbattimento delle barriere architettoniche, su cui tante parole sono state spese e ben poco si è fatto. Basta guardarsi intorno per accorgersene. Né parlerò del sistema sanitario che poco si prodiga per l’assistenza e la cura di questi bambini malati .Né farò riferimento ai tanti tentativi, da parte dei cosiddetti normali, di integrare questi bambini all’interno della loro rigida struttura psicologica nella quale non c’è spazio per concepire “l’Altro diverso da Sé”.

    Spesso rivolgiamo solo una sguardo distratto a questi bambini, giusto per far tacere la nostra coscienza morale. Voglio parlare e dare spazio,invece, a tutti quei bambini che, malgrado tutto, lottano contro tutto. Il disagio  è del bambino e anche dei genitori che devono farsi carico non solo del “piccolo malato”, ma di tutta una serie di problematiche che sta dietro alla malattia.

    Le malattie sono le più svariate, con un’incidenza sempre maggiore delle cosiddette “malattie rare”, spesso a eziologia sconosciuta. I genitori scoprono la triste realtà spesso nell’arco del primo anno di vita del bambino. La prima domanda (che si faranno per sempre) è: perché?I genitori più coraggiosi continuano la loro estenuante ricerca di una risposta per molto tempo,durante il quale entrano ed escono dagli ospedali, continuano a fare domande ai medici,che puntualmente danno le stesse risposte. Si tratta di malattie croniche e spesso invalidanti.

    Inizia un percorso lungo e faticoso, in cui c’è poco spazio per una speranza di guarigione e  tanto spazio per la preghiera. I genitori passano allora attraverso una vasta gamma di emozioni, che va dalla rabbia, all’impotenza, alla disperazione, al senso di colpa, fino ad arrivare, attraverso un percorso dolorosissimo, all’accettazione “forzata” della malattia,che somiglia più ad una tragica rassegnazione.

    La coppia spesso ci arriva separatamente,superando disequilibri e dissesti,perché,questo non si può nascondere,qualcosa è cambiato. Si possono soffocare le lacrime,si può restare senza fiato,evitare di  parlarne,ma bisogna ammetterlo, qualcosa è cambiato. Dentro la famiglia. Per sempre.

    E la situazione si complica quando il bambino comincia a capire che “non è esattamente come tutti gli altri” e comincia a fare domande a quei genitori che ancora non hanno risposte,che non sono pronti a spezzare i sogni dei loro figli,che hanno rimandato questo fatidico momento nell’illusione che magari avvenga il miracolo. E’ il punto del non ritorno,della regressione all’inferno,perché i genitori vorremmo sempre proteggere e risparmiare le sofferenze ai figli. E’ il momento in cui bisogna fare accettare la malattia “al malato”.

    Psicologicamente credo che questo sia per i genitori l’aspetto più temuto e lacerante.
    Bambini già segnati da esperienze fisiche traumatiche,costretti ad inghiottire medicine nauseanti, a stare immobili mentre il loro corpicino già debilitato viene bucato da punturine ovunque,devono anche affrontare l’aspetto meno evidente della malattia,ma forse più devastante per loro.

    Non è facile spiegare ad un bambino che non può stancarsi a giocare. Non esiste linguaggio adatto per rendere dolce ciò che di fatto è maledettamente amaro. Questi bambini sono costretti a crescere in fretta e imparano presto che la puntura non è la cosa peggiore. Penso che questa sia una realtà dalla quale ci difendiamo denegandola. Ci si limita ad inventare terminologie che possano descrivere questa realtà,controllandola a debita distanza,senza mai “guardarla dentro ”.

    Perché a guardarli bene, questi bambini riescono a sorridere con l’ingenuità che solo un bimbo riesce a mantenere, al cospetto di cotanto patire. E spesso sono proprio loro ad aiutare i genitori ad andare oltre la sofferenza,a guardare attraverso i loro occhi,aiutandoli a comprendere appieno che la vita è sì caduca ed effimera,ma tanto tanto meravigliosa.  Penso che questi bambini siano semplicemente “speciali”.

    E che c’è bisogno di loro in questa società in cui il tempo è denaro e costringe a non fermarsi a riflettere, in cui è d’obbligo apparire piuttosto che essere.
    Eccolo il vero progresso: credo che tutti i bambini siano speciali, ma i bimbi malati hanno intrinseco un sapere innato che noi abbiamo dimenticato, è il sapere di chi non si arrende, di chi sa ancora lottare per una vita migliore.

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