• A3 dottor Gianni catalanotto
  • A3 Conad
  • outlet del mobile A3bis fino al 10 giugno
  • A3bis Farmacia Rotolo
  • Farmacia Rotolo Castelvetrano

Da CVetrano a Londra tra progetti, studi e un balcone "speciale" nella tesi di laurea. Storia di Valeria Muteri

di: Mario Butera - del 2018-09-27

Valeria Muteri, 35 anni, laureata in Architettura a Palermo e ha conseguito il diploma di maturità al Liceo Classico G. Pantaleo di Castelvetrano. Durante gli anni di studio e dopo la laurea ha fatto diverse esperienze in ambito internazionale, lavorando per studi di architettura a Barcellona, Milano e Londra. In collaborazione con Stefano Mirti e IdLab, ha lavorato per istallazioni e mostre per la Triennale di Milano. Oggi lavora a londra ma conserva un legame importante con la sua città natale, Castelvetrano.

  • Fratelli Clemente Febbraio 2023 a7
  • Raggiunta dalla Redazione ci parla un po’ dei suoi progetti e della sua tesi finale del Master in Situated Practice alla Bartlett School of Architecture di Londra.

    1. L’evento che si è tenuto al Circolo della Gioventù ha come tema principale quello del balcone, che è anche l’oggetto di studio nel progetto finale del Master in Situated Practice che stai per conseguire alla Bartlett School of Architecture di Londra. Ma perché proprio il balcone? Come nasce la tua riflessione su questo elemento di architettura? Insomma, qual è la genesi del tuo progetto?

  • h7 immobiliare catalanotto
  • Il titolo del mio progetto di Master è “Il balcone come soglia tra identità individuale e collettiva”. È una ricerca sull’identità attraverso lo spazio: il balcone è quindi lo strumento di studio piuttosto che l’oggetto. In quanto elemento esterno sporgente di un edificio, il balcone è l'unico spazio ‘pubblico’ nel privato della casa.

    Inoltre ha una forte connotazione politica poiché storicamente è stata la finestra da cui ha parlato il potere, lo spazio dei discorsi, dei proclami; è simbolo di autorità, di una comunicazione verticale dall'alto verso il basso.

    Analizzando la relazione tra spazio pubblico e privato, così come quella tra interno ed esterno, il balcone come soglia tra questi due universi è quindi un interessante spazio di transizione, fisico e metaforico. E soprattutto ha una forte valenza simbolica: affacciarsi al balcone significa esporsi, fisicamente ed eticamente.

    È quindi una metafora spaziale che materializza un concetto civico. Che poi è uno degli ambiti di interesse di Situated Practice, la disciplina che sto studiando.

    2. Hai scelto di analizzare un balcone in particolare, lo stesso da cui hai tenuto la performance di site-writing. C’è un motivo dietro la scelta del balcone? Perché proprio questo e non un altro? Qualche aneddoto degno di nota?

    Il balcone scelto per la performance è sulla facciata principale di una casa in particolare, che è anche il caso studio della mia ricerca: la casa di famiglia della mia nonna materna, dei suoi fratelli ed eredi. La scelta di questa casa è legata prima di tutto alla sua storia, che potrebbe essere la storia di tante altre case e famiglie del dopoguerra in Sicilia: rimasta inabitata dopo la morte della mia bisnonna, è stata per me l’occasione per riflettere su come certa sicilianità abbia deformato il concetto di altro e a più grande scala di pubblico.

    È anche una scelta autobiografica, un omaggio personale alla memoria della mia famiglia e un tentativo di costruire un archivio emotivo e visuale della sua storia, oltre che di preservare e alimentare il mio legame con Castelvetrano e con la Sicilia.

    3. Il balcone ha una valenza peculiare in Sicilia, almeno nell’immaginario collettivo. Pensi che ci sia un elemento architettonico analogo in altre parti del mondo?

    Come elemento architettonico, il balcone ha molti analoghi e varianti nel mondo. Una lettura di questa variazione potrebbe essere il modo in cui questo elemento passa dall’essere minimo e trasparente nei paesi del Nord Europa fino a diventare sempre più prominente e opaco man mano che ci si sposta verso il Sud: passando per il bay window inglese, al balcone italiano come lo conosciamo, fino alla chiusura totale del mashrabiya arabo.

    È quindi uno spazio di soglia fortemente legato a come la cultura che lo costruisce interpreta il concetto di pubblico e privato. In questo senso in Sicilia il balcone ha, come dicevi, una valenza peculiare in quanto metafora costruita di questo rapporto.

    Durante la conferenza (organizzata dalla Società Dante Alighieri di Castelvetrano) che è seguita alla performance, il dialogo con il pubblico che ha partecipato all’evento è stato proprio una conferma di quanto il balcone sia il luogo dell’intreccio di ricordi personali e memorie collettive: il guardare-senza-essere-guardati da dietro le persiane chiuse, lo spalancarle durante la festa di paese; gli amori e le amicizie che nascevano tra balconi che non si potevano toccare, le processioni dei Santi che viste dall’alto ribaltavano le gerarchie che esistevano al livello terreno.

    4. Nell’abstract, parlavi del concetto di altro e della sua distorsione nell’identità siciliana. Ci puoi spiegare meglio?

    Il concetto di altro da cui sono partita ha le sue basi teoriche nella psicoanalisi, nel marxismo e in particolare nel femminismo post-strutturalista, che è una branca della letteratura femminista che enfatizza come per il riconoscimento di se stessi sia essenziale il confronto con l’altro.

    A partire da questa idea ho cominciato ad approfondire il tema dell’identità e di quella siciliana in particolare.  In un’intervista fatta a Giovanni Falcone (Meridiana – 1989) intitolata “La mafia, tra criminalità e cultura”, il giudice dice che la mafia in quanto fenomeno criminale è stato fino ad ora invincibile perché fortificato e alimentato dalla mentalità mafiosa.

    Falcone sostiene che non sono i siciliani tutti mafiosi ma è il fenomeno criminale mafia che ha deformato moltissimi valori dell’identità siciliana, trasformandoli in cultura mafiosa per i suoi scopi.

    Tra le tante deformazioni, la mia ricerca si concentra in particolare su come la mentalità mafiosa abbia deformato il senso di pubblico e quindi inevitabilmente il rapporto tra pubblico e privato nella cultura siciliana, modellando in particolare un’ idea distorta di res-publica (cosa pubblica non a caso si oppone a Cosa nostra - il nome usato dai suoi membri per riferirsi alla mafia). Di conseguenza, l'idea di pubblico non esiste come senso di condivisione (tra me e gli altri) ma come non mio, qualcosa in cui io non sono incluso.

    5. In che modo lo spazio influisce sulla nostra identità? Puoi fare un esempio legato alla nostra realtà locale?

    Lo spazio pubblico modella e influenza il nostro senso di collettività e viceversa rappresenta la società che lo ha costruito, che lo abita e che ne dovrebbe avere cura. È un concetto tanto astratto da essere intuitivo in questo senso.

    In un dialogo del film I Cento Passi, Peppino Impastato dice che “non ci vuole niente a distruggere la bellezza […] bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla a riconoscela, a difenderla” perché alle brutture ci si abitua e sono queste a costruire la rassegnazione.

    Abbiamo tanti esempi di come certe architetture hanno costruito periferie ghetto, in Italia e nel mondo, che hanno violentato l’identità di chi le abita, e viceversa comunità che hanno ridisegnato spontaneamente interi pezzi di città secondo i loro bisogni. In questo senso lo spazio pubblico è uno strumento politico per eccellenza.

    Nel caso specifico, Castelvetrano è una cittadina che ha una storia e una cultura millenaria e di certo il suo attuale degrado non ha a che fare col senso di bruttezza ma piuttosto con quello di appartenenza.  Di nuovo, quello che è pubblico non è mio e quindi non sento la necessità né la responsabilità di averne cura. In questo senso lo spazio pubblico è lo specchio di questa deformazione. Ma potrebbe essere anche un potente strumento di cambiamento, se lo si usasse per rimodellarla.

    6. Puoi raccontarci qualcosa di più sulla tua esperienza professionale, oltremanica? Ritieni che nel Regno Unito ci sia una sensibilità diversa verso l'architettura come forma d'arte?

    Le esperienze professionali che ho fatto fuori dall’Italia, e in particolare a Londra, hanno alimentato soprattutto due strumenti essenziali: la fiducia in me stessa (sostenuta da quella ricevuta dalle persone con cui ho lavorato, che non hanno mai guardato all’età anagrafica come garanzia di esperienza ma all’entusiasmo, all’affidabilità e alla serietà con cui si collabora) e l’apertura verso quello che è diverso da te (che è difficile, faticosa ma liberatoria quando la si comprende). Questa apertura soprattutto fa di questa città un ambiente visionario, sperimentale e sensibile alla ricerca e all’ immaginazione.

    Londra però non rappresenta il Regno Unito in questo caso, è un’isola dentro un’isola, come tante altre realtà metropolitane. La disciplina in cui si muove la mia ricerca è pionieristica e questa città mi ha offerto la possibilità di darle un nome quando pensavo che non esistesse nemmeno: un ambito in cui l’arte e l’architettura trovano nello spazio pubblico un terreno comune. In questo senso l’architettura utilizza le metodologie dell’arte e la pratica artistica diventa uno strumento funzionale allo spazio.

    7. Che progetti lavorativi stai seguendo al momento? E fra quelli che hai seguito finora, ce n'è qualcuno a cui sei particolarmente legata e di cui ci vuoi parlare?

    Attualmente collaboro con Alexander Martin Architects, uno studio di architettura che si occupa principalmente di progetti residenziali. Sono responsabile di un grosso progetto negli Stati Uniti e curo anche l'immagine e la comunicazione dei contenuti dello studio.

    Il lavoro negli studi di architettura mi ha dato una struttura, una disciplina, ma non mi sono mai sentita troppo rappresentata dall’architettura costruita. Per questo mi sto dedicando a progetti curatoriali, istallazioni e video, costruendo la ricerca attraverso una pratica sperimentale e viceversa.

    Nel mercato dell’architettura oggi è molto complicato trovare spazio e tempo per progetti che riflettano e diano risposte concrete a problemi complessi. Questo purtroppo credo che impoverisca molto la disciplina e spesso anche i suoi risultati formali.

    8. E, per ultimo, pensi che un rilancio architettonico a Castelvetrano sia se non necessario, quantomeno utile per consentire un rilancio economico del nostro comune? E nel caso di risposta affermativa, puoi dirci da cosa si dovrebbe ripartire, secondo te, da un punto di vista architettonico?

    Questa è una domanda complessa a cui non è facile dare una risposta concisa. L’architettura è legata, oggi più che mai, all’economia e soprattutto alle scelte politiche e amministrative, che spesso finiscono per vanificare tutti gli sforzi di ricerca e profondità che questa disciplina deve gestire.

    Sono così intrinsecamente legate che lavorare solo sull’aspetto architettonico senza tenere a mente questo è come minimo infruttuoso, se non inutile. Come dicevamo prima, lo spazio pubblico rappresenta la società che lo abita, quindi un rilancio architettonico a Castelvetrano credo debba partire da un rilancio sociale prima di tutto, che poi diventa politico e che si materializza attraverso lo spazio.

    È responsabilità di chi vive una città prendersene cura, così come si fa con l’uscio di casa o con la propria persona.  In questo senso l’architettura costruita rappresenta la società, non ne è il motore. Il motore sono le persone e le loro scelte, il loro senso civico e il coraggio di esporsi: per questo l’archittetura può essere un potente strumento a servizio della gente.

    Questo è uno dei motivi per cui si sente il bisogno di utilizzare criticamente lo spazio come strumento politico (nel suo significato più alto, di cosa pubblica) per affrontare i problemi che l’archittetura può risolvere. Credo che le due cose non siano scindibili in questo periodo storico.

    L’arte ha la forza della provocazione, è uno strumento di pensiero, veicola messaggi; l’architettura pensa lo spazio, richiama memorie, costruisce atmosfere, emoziona. La nascita di discipline come Situated Practice dimostra che quest’ambito sperimentale a scala globale è sempre più interessante e necessario.

    Conclusa la chiacchierata con Valeria non ci resta che augurarle un grande in bocca al lupo per il traguardo imminente e per i suoi progetti di vita futuri.

    Vuoi essere aggiornato in tempo reale sulle notizie dalla Valle del Belìce? Clicca “Mi piace” su Castelvetranonews.it o seguici su Twitter

    Effeviauto P1 dal 21 maggio 2024