Alla scoperta della "sindrome di Calimero". Quando il vittimismo va combattuto
di: Dott.ssa Fabrizia Modica - del 2017-11-08
La sindrome di Calimero, meglio conosciuta come “vittimismo”, descrive quell’atteggiamento psichico che fa si che un soggetto si senta costantemente vittima delle circostanze o bersagliato da chi gli sta intorno. Una semplice critica, una battuta ironica o un malinteso bastano per far sentire il soggetto tradito, non amato e inadeguato.
Spesso succede che, di fronte ad un atteggiamento di questo tipo, la tendenza sia quella di “rimproverare” il soggetto esclamando la tipica frase “Non fare la vittima! ma quello che si ottiene è solo un accentuazione della sindrome.
Il vittimismo si nasconde spesso dietro frasi fatte come: “succedono tutte a me”, “alla fine la colpa è sempre la mia”, “pago sempre io le conseguenze di tutto” .
Non è altro che l’ espressione di un modo immaturo di vivere le relazioni e affrontare la realtà e sopraggiunge nel momento in cui si avverte l’impossibilità di sostenere un confronto ad armi pari con la persona che ci sta di fronte.
Ma cosa vuole ottenere un soggetto vittimista ? I vantaggi che si possono ottenere sono diversi: conforto, ascolto, protezione, approvazione . Così il soggetto vittimista usa tutte le armi in suo possesso per suscitare pena e far scaturire nell’altro un senso di colpa. E così che da vittima il soggetto si trasforma in “tiranno” manovrando in modo strategico le emozioni e i sentimenti di chi gli sta accanto.
Cosa c’è alla base di un atteggiamento di questo tipo ? Tali atteggiamenti potrebbero essere stati appresi da uno dei genitori e riproposti nelle proprie relazioni. Nei soggetti che hanno subito violenza fisica o psicologica da piccoli potrebbero essere comuni atteggiamenti tipici di questa sindrome. -
L’essere stati trascurati dalla famiglia di origine potrebbe anche essere una delle cause di un atteggiamento di questo tipo. Qualunque sia la causa, è necessario che tali soggetti vengano aiutati a crescere e maturare nel modo di porsi con l’altro, facendo capire loro che il vittimismo non conduce a nulla e ricordandogli che non si può condurre una vita adulta con i meccanismi tipici della prima infanzia.
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