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L'oro nascosto della Banca d'Italia e quel "tesoro" italiano conservato nei caveaux

del 2018-04-10

Immagine articolo: L'oro nascosto della Banca d'Italia e quel "tesoro" italiano conservato nei caveaux

Che la cattiva gestione dei nostri governanti abbia fatto accumulare al nostro Stato, quindi a noi italiani, un debito che ha già superato i 2.200 miliardi di euro è, purtroppo, cosa nota. A fronte, però, di questa constatazione debitoria, vorrei concentrare la mia riflessione s’un altro aspetto economico nazionale: a quanto ammonta il valore dell’oro che la Banca d’Italia, nata nel 1893 per volontà governativa a seguito dello scandalo della Banca Romana, detiene nei suoi forzieri e che dovrebbe amministrare in favore di tutti gl’italiani?

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  • L’attuale Presidente del primo istituto bancario italiano, dott. Salvatore Rossi, c’ha recentemente informato che a oggi, nei caveaux della banca da lui diretta, vi sono custoditi 2.452 tonnellate (metriche), suddivise in prevalenza in lingotti (95.493), dal peso e forma differenti (il classico lingotto trapezoidale, ma anche sotto forma di mattoncino più o meno stondato), e in monete (circa 4 tonnellate). Di queste, circa la metà (1.199,4 tonnellate), si trovano nelle sacrestie di Palazzo Koch, storica sede di Bankitalia. Una buona parte dell’altra metà è custodita in America, presso la Federal Reserve, mentre altri lingotti dormono nei forzieri della Banca Centrale Svizzera e della Bank of England. Presso la BCE (Banca Centrale Europea), inoltre, sono conservati ulteriori 100 tonnellate d’oro in virtù dell’appartenenza al sistema delle Banche Centrali.

    Il controvalore in euro di tutto quest’oro è di circa 87 miliardi, che fa dell’Italia il quarto paese al mondo in quanto a disponibilità di oro, dopo la Federal Reserve statunitense, la Bundesbank tedesca e il Fondo Monetario Internazionale. Il prezzo in dollari è fissato due volte il giorno, in conformità a un’oncia troy (31,1035 grammi), per oltre 15 milioni di once, che è la produzione annua di quell’entità esoterica che è l’“oro fisico”.

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  • Potremmo chiederci se sia il caso di fare rientrare tutto il nostro oro nei nostri forzieri? La risposta è: certamente! Vi sono, però, dei vincoli non meglio specificati, anche se sia la Germania sia la Francia hanno già chiesto e ottenuto dagli Usa la restituzione di parte delle loro riserve.

    Perché, allora, lo Stato italiano ancora non presenta analoga richiesta? Materialmente quest’oro è ancora disponibile o è stato utilizzato chissà a quali fini? Magari è stato venduto o dato in pegno. La riserva aurea nazionale contribuisce a sostenere l’affidabilità d’ogni paese nei confronti degli altri partner europei, consentendo d’adempiere agl’impegni che i vari governi hanno assunto nei confronti d’organismi finanziari internazionali.

    Le riserve in oro di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea sono gestite direttamente dalla BCE, il cui obiettivo è di garantire la disponibilità delle risorse liquide necessarie per effettuare eventuali interventi sul mercato dei cambi rafforzando la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica.

    Per quanto riguarda il nostro oro, dopo essere stato razziato in parte dai tedeschi durante l’ultimo conflitto mondiale, è stato nuovamente acquistato, negli anni cinquanta e sessanta, grazie anche a positive speculazioni bancarie. Una parte dell’oro razziato è, poi, tornato nelle casse della Banca d’Italia, ma non tutto. In totale, fra quello trafugato e quello reso, la quantità andata persa ammonta a 119.252 chilogrammi.

    La domanda è: converrebbe venderlo, come farebbe ogni buon capofamiglia in un momento di crisi economica? La risposta è, no! In pratica, a parte, l’implicita perdita di ricchezza, l’eventuale operazione farebbe crollare, e di molto, il valore stesso del prodotto. Ragion per cui la probabile somma che se ne potrebbe ricavare non sarebbe più uguale agli 87 miliardi d’euro, ma a molto meno, inficiando tutta l’operazione.

    Perché, allora, è stato scelto proprio l’oro quale fondo sicuro di garanzia? Poiché l'oro presenta una serie di caratteristiche che lo contraddistinguono da gran parte dei metalli presenti in natura. Allo stato puro è quasi del tutto incorruttibile, non arrugginisce e non si ossida; è facilmente trasportabile, conservabile e agevolmente lavorabile grazie alla sua elevata duttilità. Queste peculiari caratteristiche, sommate alla relativa scarsa quantità che se ne trova in natura, hanno reso storicamente l'oro uno strumento efficace sia per misurare il valore dei beni sia come mezzo di pagamento.

    Ci sarebbe, però, d’aggiungere quanto dichiarato da un grande studioso rumeno delle civiltà tradizionali, Mircea Eliade: “L’oro non appartiene alla mitologia dell’homo faber, ma è una creazione dell’homo religiosus; questo metallo cominciò, infatti, ad assumere valore per motivi di natura essenzialmente simbolica e religiosa. L’oro è stato il primo metallo utilizzato dall’uomo, pur non potendo essere adoperato né come utensile né come arma”.

    In ogni caso l’oro rimane il bene rifugio per eccellenza. Alcune domande che potremmo porci, giunti a questo punto, sono: sarebbe il caso di venderlo e con il ricavato cercare d’abbassare il nostro enorme debito ridando un nuovo slancio a tutta l’economia italiana? Che cosa accadrebbe al nostro oro se l’Italia uscisse dall’Euro? Saremmo costretti a “condividerlo” (anche solo contabilmente, dato che spostamenti fisici come già detto non se ne fanno) con l’Eurosistema? Rientrerebbe totalmente nella nostra disponibilità?

    La risposta unica a tutti questi quesiti è: l’oro è della Banca d’Italia, non è dello Stato e, quindi, non appartiene ai cittadini. La riserva è intoccabile e inutilizzabile; anche volendo le ipotesi di vendita o quelle d’utilizzo a garanzia di prestiti pubblici sono semplici speculazioni inattuabili. Chiudo questa disamina economico-strutturale italiana con una curiosità: tutti i lingotti presentano un marchio che ne identifica la provenienza e un codice di fusione: diversi recano ancora il simbolo nazista dell’aquila reale.

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