Il cannibalismo dei comunisti. Realtà o leggenda? Tra storie e aneddoti raccontate nei libri
del 2018-06-18
Nel suo libro “I comunisti mangiano i bambini. Storia di una leggenda”, lo storico Stefano Pivato sfata una delle invenzioni più immaginarie della storia. Inventata solo come propaganda anticomunista si riferisce, però, a fatti realmente accaduti.
Durante le terribili carestie in Unione Sovietica dal 1921 al 1923, dopo la guerra civile che seguì la prima guerra mondiale e che provocò la morte di circa cinque milioni di persone, il poco cibo a disposizione era consumato soltanto da coloro che componevano le forze armate. In Ucraina, dieci anni dopo, Stalin perpetrò quello che può essere considerato un vero e proprio genocidio: ordinò di confiscare ai contadini le loro terre e tutto il cibo ch’avevano messo da parte per sopravvivere all’inverno. Questo poiché li riteneva responsabili degli scarsissimi raccolti ottenuti in quegli anni.
Ciò consentì a persone senza scrupoli, sia nella carestia del 1921/23 sia in quella del 1932/33, di procacciarsi un po’ di carne da vendere, uccidendo bambini adescati in mezzo alla disperazione della gente affamata. Le loro carni, spacciate per carne animale, erano regolarmente vendute a chi poteva permettersi di comprarle. Questi, seppur involontari, atti di cannibalismo favorirono la diffusione del messaggio che i comunisti mangiavano i bambini.
Altri casi di cannibalismo si verificarono, purtroppo, anche nei campi d’internamento in Siberia e Kazakistan, voluti da Stalin per popolare quelle zone dove la gente ridotta alla fame più assoluta, fu costretta a cibarsi delle carni dei cadaveri che, chiaramente, erano per lo più bambini morti prima dei grandi essendo i più deboli.
Un’altra notizia fu quella della deportazione, durante la guerra, di migliaia di bambini siciliani in Unione Sovietica che per l’occasione fu rappresentata come un orco famelico che gozzovigliava mangiando, appunto, bambini. In tutti e tre i casi, la notizia, seppur truculenta, rimbalzò in tutta Europa e le forze politiche anticomuniste pensarono bene di sfruttarla per coniare lo slogan che a tutt’oggi affascina chi se ne vuole appropriare per denigrare un avversario politico d’ideologia comunista.
In effetti, seppur provocatorio, il fatto esiste ed è incontrovertibile giacché realmente accaduto. Ai fatti narrati se n’aggiungono altri. Siamo nel 1933. Le autorità sovietiche, su suggerimento dell’agronomo staliniano Trofim D. Lysenko, decisero di dare corso a un esperimento di sopravvivenza da essi stessi definito “grandioso progetto”: deportarono sull’isola di Nazino, distante ottocento chilometri circa dalla città di Tomsk, 6.114 persone provenienti da Mosca e da Leningrado, per lo più avanzi di galera o reietti non in possesso d’un documento di riconoscimento.
Li lasciarono lì privi di cibo, acqua (se non quella del fiume che circondava l’intera isola) e quant’altro di necessario per riuscire a resistere in un territorio sprovvisto di tutto. Erano, peraltro, circondati da guardie armate, pronte a sparare su chi cercava d’allontanarsi da quella trappola mortale. Chiaramente la maggior parte di essi perì di stenti nel giro di pochi giorni. Chi riuscì a resistere, i resilienti, lo fecero perpetrando anche dei veri e propri atti di cannibalismo.
I fatti sono stati resi noti negli anni novanta, dopo l’apertura degli archivi governativi seguita alla dissoluzione del regime sovietico. D’allora Nazino fu considerata l’“isola dei cannibali”, argomento trattato anche dallo scrittore Nicolas Werth nell’omonimo libro. In esso è fatto specifico riferimento proprio al binomio comunismo-cannibalismo.
Tutto ciò a dimostrazione della teoria evoluzionistica lamarcksiana, secondo la quale gli organismi non sono altro che il risultato d’un processo graduale di modificazione ch’avviene sotto la pressione delle condizioni ambientali. Il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck l’aveva enunciata nel suo libro “Philosophie zoologique” del 1809, in netta contraddizione con le convinzioni avanzate dai filosofi dell’antichità ritenenti che le specie esistessero così com’erano state create, e che fossero rimaste immutate durante tutta la storia della Terra (fissismo).
Prima di chiudere questo imbarazzante argomento devo riportare l’ennesima verità, anche se dobbiamo spostarci nella Cina comunista-maoista. In quel tempo i feti nati morti erano consumati anche come pasto e non solo per fame, ma anche come rito. In pratica mangiare le carni di coloro ch’erano considerati i “nemici del popolo”, era come volerli umiliare per l’eternità.
La cosa assurda è che alcuni atti di cannibalismo avvengono ancora oggi e, addirittura, sono stati resi legali come quello di mangiare le placente, poiché ritenute un “cibo salutare ed energetico”.
Alla luce di tutto questo i comunisti non mangiano certo i bambini, almeno per come si suole dire in un politichese volgare, ma gli episodi appena narrati c’introducono in una dimensione che va ben oltre ogni umana perversa fantasia, nella quale il fenomeno cannibalismo minorile è stato una triste e mesta realtà.