Toccare il fondo per poi risalire. Si può e si deve. Quando l'istinto di sopravvivenza si desta
del 2017-02-23
(ph. http://www.sognipedia.it)
Fra i tanti ricordi ch’accompagnano i miei quasi sessantatré anni di vita vissuta, ce n’è uno che rivivo come un incubo nei miei sogni. C’è un ragazzino abbastanza rotondetto che, insieme ad alcuni suoi coetanei, si reca con la littorina, la “paparedda”, nella vicina Selinunte per trascorrere spensierati una giornata all’insegna del più puro divertimento nel quadrato di mare fra i due porticcioli.
Si scherza, si fa la lotta a "spaddi ‘nterra", si gioca al pallone e si fanno i tuffi a emulazione dei veri professionisti. Poi una sfida a chi è capace d’arrivare per primo all’altra sponda del porticciolo, apparentemente vicina. Qualcuno preferisce essere considerato un codardo che rischiare di non farcela, mentre il baldanzoso impavido ragazzino, malgrado la sua non certo onorevole corporatura, accetta la sfida e si tuffa dietro agli altri.
Non essendo un provetto nuotatore, si rende subito conto che l’impresa non è di facile compimento. Oltretutto, più si spinge in avanti più ha la sensazione che la meta s’allontani. Pensa a quel punto di dirigersi verso la spiaggia ritenendo che la distanza fosse inferiore, ma commette un secondo errore di valutazione. Nuota finché le forze non lo abbandonano. A quel punto si convince che pagherà caro quel gesto di stupida audacia giovanile e si lascia andare al suo triste destino.
Il suo corpo inerme scompare davanti agli occhi atterriti degli increduli amici che disperati vorrebbero aiutarlo, ma si rendono conto che non potranno farlo. Sono gli ultimi istanti di relativa coscienza del nostro piccolo grande eroe prima di perdere completamente i sensi e cominciare a inghiottire acqua salata. È qui che si compie il destino d’una persona.
Chiamiamolo fato, destino, miracolo, caso, il fatto è che quel ragazzino a un tratto sente qualcosa di solido sotto ai piedi e capisce che si tratta di sabbia: stava annegando in due metri d’acqua. Deve assolutamente reagire, non arrendersi all’impoderabile, ma non ha più forze, non potrà farcela. Cerca di trattenere il respiro più che può, è fondamentale, e non avendo più le forze per nuotare si mette a camminare sott’acqua in direzione della spiaggia. Riesce a guadagnare quel tanto di terreno che gli permette d’emergere il naso e ritornare a respirare.
È fatta! È salvo! Continua a camminare fino a raggiungere la tanto sospirata battigia, dove i suoi amici, increduli e ansiosi, lo attendevano. Da quel giorno quel ragazzino nuota soltanto dove l’acqua del mare non lo sommerge.
La morale, a parte il proverbio che recita che non si deve fare mai il passo più lungo della propria gamba, è che quando la vita sembra abbandonarci, quando non si hanno più stimoli, quando ci si sente persi nel mare delle mille quotidiane difficoltà, toccato il fondo si può soltanto risalire.
Ah! Per chi non l’avesse ancora capito, quello stupido ragazzino ero io.