Quando denunciare significa perdere tutto ed essere abbandonato dallo Stato. La storia di Ignazio Cutrò
di: Lilly Errante - del 2014-03-13
(ph. livesicilia.it)
Ieri è andato in onda a “Le Iene” un servizio che in qualità di siciliana mi ha particolarmente turbato. Il protagonista è il Signor Ignazio Cutrò di Bivona che ha subito diversi attentati di stampo mafioso perché fondatore di un’associazione contro il racket. Il signore dopo aver denunciato e, aiutato lo stato ad arrestare la famiglia dei mafiosi in questione, è stato lasciato solo dalle istituzioni e si ritrova a combattere un’altra guerra: contro chi dovrebbe proteggerlo.
Ciò che più m’intristisce e che questi testimoni di giustizia non vivono più, non si sentono più al sicuro in casa propria, hanno smesso di lavorare perché nessuno vuole più dare loro lavoro e sono ridotti al lastrico. Non posso immaginare cosa vuol dire vivere sotto scorta, o cercare di andare avanti con la paura che, alla fine, una pallottola ti conficcherà la pelle ma ascoltando le parole del Sig. Cutrò ho avuto i brividi.
Brividi perché, nonostante le avversità, quest’uomo e la sua famiglia hanno scelto di continuare a vivere in una terra dove vengono discriminati dai loro stessi amici, impauriti che facciano la loro fine; brividi perché sono stati abbandonati a loro stessi dallo stato, brividi perché sono degli eroi che, nonostante tutto, continuano a credere fermamente in ciò che hanno fatto per il bene di una nazione che, invece, ha voltato loro le spalle.
Sono delusa da uno stato che non esiste, da uno stato che a quanto pare è stato colluso con la mafia, da uno stato che non offre ai testimoni di giustizia un valido sostegno economico, da uno stato che non valorizza e premia i loro meriti.
Io sono di Castelvetrano, sono di un paese che è vittima della mafia, sono di una città che ha dato i natali a uno dei mafiosi più ricercati d’Italia.
A me, qui al nord, chiedono “Ma da voi, in Sicilia, la mafia si sente?” e io non so mai cosa rispondere perché mi pongono la domanda in modo sbagliato: non è più la mafia di decenni fa che uccide all’impazzata solo perché qualcuno la ostacola.
È una mafia peggiore: quella che una mattina ti svegli e scopri dai giornali che il tuo amico, il tuo vicino, il tuo familiare, quello con cui la sera prima eri a cena sono stati arrestati per mafia; quella mafia che brucia ciò che ti appartiene, ma poi si mette a disposizione per te; quella che non ti fa vivere, quella che di nascosto ti ruba i sogni.
E a me non fa paura essere uccisa dalla mafia, a me fa paura combattere contro una cosa che non so cos’è e dov’è, contro una cosa che non conosco, combattere contro chi alla luce del sole mi giura amicizia, lealtà e invece di nascosto progetta un piano per distruggermi. A me fa paura uno stato che se ne infischia e a cui fa comodo combattere contro i fantasmi.