Crollo del Cristo in Croce di Cevo tra silenzi e fatalità
di: Gianfranco Becchina - del 2014-05-15
(ph. www.globonews.it)
Non c’è stato di certo un grande spreco di commenti, e tantomeno di interpretazioni simbolistiche, sul crollo del gigantesco Crocifisso di Cevo - eretto in memoria di una visita di Papa Wojtyla di diversi anni fa in quei luoghi del bresciano - sotto il quale ha perso la vita un giovane portatore di handicap pressoché in coincidenza temporale con la doppia beatificazione pontificia.
Eppure sulla fatale quasi contemporaneità della disgrazia con la canonizzazione dello stesso Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII, che qualche miracolo (per chi ci crede) a testa pare lo abbiano fatto, la discrezione dei media che contano, fin troppo limitata alla sterile notizia del tragico fatto, si è proprio fatta sentire. Unico accenno malizioso, la notizia sul domicilio della vittima: via Giovanni XXIII della sua cittadina. Nella mitologia pagana ad un fatto del genere si sarebbe data la più ovvia delle letture: l’ira divina per le malefatte dei mortali.
La vittima, meglio se innocente, avrebbe rappresentato il veicolo doloroso di un monito da tenere sempre presente. Nella stessa logica della strage dei figlioli di Niobe, voluta da Leto per punire l’arroganza della loro mitica madre che ne aveva vantato la bellezza, a suo dire superiore a quella di Apollo e Artemide. Quegli stessi che provvidero ad eseguire lo sterminio dei poveri incolpevoli. Nel nostro caso la mitologia Cristiana è stata tenuta fuori dagli appigli interpretativi che il malaugurato evento offriva abbondantemente.
D’altronde, una certa analogia che lega l’insieme degli avvenimenti appare innegabile. Da una parte i miracoli salvifici operati dai due pontefici beatificati, ai quali il recente “imprimatur” ci impone di credere senza riserve, dall’altra un segnale divino, in persona del Cristo medesimo che, coinvolto in questo caso in un evento luttuoso piuttosto che miracoloso, non deve poter andare oltre la pura e semplice coincidenza temporale con la beatificazione.
Ma, diciamocelo chiaramente, il fatto sarebbe stato spiegato anch’esso come miracolo se solo fosse coinciso con tutt’altro segno che la morte del giovane. Se la caduta del monumentale crocifisso avesse, per esempio, bloccato un bus carico di pellegrini in procinto di precipitare nello strapiombo.
D’altra parte, però, osare una interpretazione che vedrebbe il Cristo rovinare dall’alto per sottolineare, con un sacrificio umano, la Sua presa di distanza da una beatificazione precipitosa, o dai miracoli che l’hanno determinata, esporrebbe chiunque alla taccia di blasfemia. Il passo sarebbe breve, oltre che automatico.
E così, i campioni della libertà mediatica, tanto solerti nel cercare il pelo nell’uovo altrui, mai nel loro, da intellettuali eccelsi e pontificanti, si guardano bene dall’illuminarci, pur di non disturbare la santificazione dei Papi! Ecco cosa sono i Misteri della fede!
L’onniveggente Sibilla, lasciò che il soldato intendesse a piacimento il responso: “Ibis redibis non morieris in bello” e, più vicino a noi, c’è l’altrettanto famoso giudizio “Grazia impossibile giustiziare”, ambedue con l’uso delle virgole che segue le stesse logiche dei miracoli e delle disgrazie. Gianfranco Becchina