"Io castelvetranese in Iraq tra bombe e colpi di pistola". Storia di "Iceman", l'uomo di ghiaccio
del 2016-05-06
Nome in codice “Iceman”. Non stiamo parlando di un film di qualche anno fa, con omonimo titolo, ne di un cartone o dello sfortunato compagno di volo di Tom Cruise in Top Gun, ma di un militare la cui storia ha dello straordinario sotto il profilo umano e professionale.
La sua storia personale parte da Castelvetrano: l’"uomo di ghiaccio” (in foto durante una operazione), così nell'ambiente miliare è stato rinominato, serve lo stato italiano partecipando a missioni all’estero, durante le quali mantiene sempre contatti con i familiari, per quanto possibile poiché spesso i collegamenti non sono facili.
In particolare, nel suo racconto a Castelvetranonews ha parlato di quando ha preso parte, all'operazione ‘Antica Babilonia’ in Iraq, da gennaio a maggio del 2004, in qualità di comandante di squadra con compiti scorte, e protezione ravvicinata a personale diplomatico.
La preparazione a quest'operazione l’ha impegnato per circa 5 mesi, in addestramento continuo sia in patria che all'estero, fondamentale soprattutto sotto gli aspetti geo strategici.
Durante la missione di cui conoscerete un particolare aneddoto dalle sue parole, è stato spesso esposto nei villaggi fuori Nassiryia per lavorare con la cooperazione internazionale, ma anche in attività di on Call come QRF (Quick reaction force) ossia 'pronti ad intervenire' - qualora ci fosse l'esigenza - in 30 minuti.
“Mi trovavo da quasi 5 mesi a Nassiriya - così esordisce nel suo resoconto - che si trova nella provincia di DHI QAR in Iraq per l’ Operazione Antica Babilonia. La mia unità si occupava di Scorta a personalità e sicurezza al Governatore della CPA (Cooperation Transition Amministration) Dott. Barbara Contini.”
Insieme ai suoi colleghi garantiva sicurezza a tutto il personale diplomatico della C.P.A., ubicata al centro della città, vicino l’ospedale nel bel mezzo dei quartieri, in un luogo che definisce “a dir poco proibitivo”.
Di fatti, riferisce: “eravamo sempre sotto minaccia dai continui assedi di folle e rivolte nelle aree circostanti. E talvolta eravamo sotto tiro di colpi d’arma da fuoco o da mortai o rpg (sistemi d’arma più complessi di un fucile).
Ricordo bene gli scontri nel periodo di aprile dove ci videro impegnati per liberare la città di Nassiriya dai rivoltosi di Muck Tad al Sadr che avevano occupato."
Iceman confessa d’aver avuto spesso paura e che essa non rappresenta un male, ma aiuta a decidere ed avere lucidità nel compiere le azioni. Non si sente un miracolato anche se una sera di “calma apparente” che sembrava presagire tutt’altro, ha rischiato tanto, ma non era il suo turno, sostiene. “A distanza di anni ricordo in maniera nitida ciò che ho vissuto tra la notte del 24 e il 25 aprile.
Era una notte calda, un pò afosa. All’interno del palazzo insieme a noi, vi erano i fanti del San Marco della MARINA, si respirava un’aria molto strana, una calma apparente circondava l’area antistante.
Nessun veicolo ne voci di abitanti si sentivano, d’improvviso andò via la luce nella strada, subito dopo poco minuti ritornò, anche all’interno per pochi secondi un black out, ma ripristinato dai nostri sistemi. – racconta con tono vistosamente concitato - intorno alla 00:20 l’esplosione di 3 colpi di mortaio scossero quella notte.”
Con coraggio il comandante castelvetranese non si tirò indietro quando tutti evacuarono per raggiungere le proprie aree: “d’improvviso dal cortile una nube provocata dall’esplosione si scorgeva claudicante un militare del San Marco ferito, lo abbracciai e lo portai al sicuro presso il posto di medicazione all’interno.”
Un aiuto “scontato” per la sua professione, un atto profondo e leale come persona e come servitore della patria, mentre intorno a lui sembrava essersi scatenato l’inferno tra spari, urla, agitazione nel cercar di rispondere al fuoco nemico affinchè si neutralizzasse la minaccia esterna.
Cominciò la catena umana per portare dentro gli italiani feriti per essere soccorsi da medici che andavano e venivano dall’area ove Iceman e i suoi colleghi, braccio a braccio cercavano di tener al sicuro anche diversi reporter: “Andrea Angeli, attraverso il suo telefono satellitare, informava le TV italiane di cosa stesse succedendo all’interno del palazzo del governo.
Anche i giornalisti inviati del Tg3 Maria Cuffaro e Beppe Belviso, assieme a Andrea Nicastro del Corriere della Sera e Meo Ponte, della Repubblica, erano rimasti all’interno assieme a noi e funzionari italiani nella palazzina assediata.”
Intervennero anche i bersaglieri, i feriti furono trasportati al più vicino ospedale da campo. Col ritorno della quiete, domato l’attacco, si fece una stima dei danni e i controlli dovuti, e fu proprio durante questo giro di ricognizione che Iceman fece la disarmante scoperta: “Mi soffermai al Corimec (struttura abitatativa) numero 13 e vidi il tetto squarciato. Entrai all’interno e mi accorsi che un colpo di mortaio lo aveva colpito; quella notte il destino mi ha salvato.
Perché al numero 13 del Corimec dovevo dormire io. Solo per una casualità mi ero sistemato in altro posto vicino i miei compagni.”
Destino, casualità, non lo sapremo mai perché tali son interrogativi atavici per tutti noi, e soprattutto per chi vede la morte ogni giorno per mestiere, restando umano e mai glaciale pur avendo nome in codice iceman.
Ringraziamo il comandante “Iceman” per la gentile ed esclusiva concessione del suo racconto ai microfoni della redazione di Castelvetranonews, onorata di aver dato voce ad una testimonianza tanto distinta.