La festa di "Lu Signuri di lu tri di maiu" tra storia e tradizione
di: Giovanni Modica, ex orologiaio - del 2014-05-03
Volevo raccontare la festa di "Lu Signuri di lu tri di Maiu" dei padri Cappuccini qui a Castelvetrano di 60 anni fa che molte persone non conoscono. Era la seconda festa più importante di Castelvetrano, che si svolgeva nei giorni 1- 2- 3 di Maggio.
La Chiesa, in piazza Bertani, veniva addobbata con sete, damaschi,velluti, angeli e veli da don Peppino Vaiana. Nei giorni uno e due nella via Vittorio Emanuele detta allora la "strata di la Cursa", vi si svolgevano le corse dei cavalli "Giannetti" provenienti dalla Spagna montati da fantini delle scuderie di Palermo, Trapani, Catania o Termini Imerese i quali partivano alle 15.00 al terzo sparo di mortaretto dalla piazza principe di Piemonte per arrivare al traguardo posto davanti la chiesa di San Francesco di Paola.
In questi tre giorni nelle 16 Chiese aperte al culto, suonavano le campane a festa alle ore 7 e alle ore 12. La processione usciva alle ore 14, tre con tre tamburini in testa seguiti da 30 tra monaci e frati, venuti da altri conventi di Sicilia, perché si dovevano effettuare “i posi”, in quasi tutte le strade e la processione si ritirava intorno alle 2 di notte del giorno 4. Un padre cappuccino con la stola rossa al collo, levava il crocifisso dal Fercolo,stile barocco dorato, opera del cappuccino Padre Felice, e lo portava presso la famiglia che aveva ricevuto la guarigione, fermandosi davanti la porta o davanti al balcone a fare la predica e la benedizione, mentre nel contempo suonava la musica e si sentiva lo sparo dei mortaretti.
Per la festa religiosa si contavano 35 “posi” importanti: uno davanti la casa Saporito nella via IV Novembre, uno davanti l’abitazione del cavaliere Infranca nella via Garibaldi e 33 presso le famiglie dei componenti del Comitato organizzatore della festa, formato da 33 persone facoltose e proprietari di terreni, che abitavano in città, detti “li burgisi”. Quest’ultimi al passaggio della processione facevano portare dalla servitù su appositi vassoi, biscotti e vino vecchio per distribuirlo ai tamburini, musicanti e a tutte le persone che erano a piedi scalzi, che, con grosse candele accese aspettavano con pazienza e devozione il prosieguo della processione.
Al ritorno della stessa in piazza Bertani si assisteva allo sparo di 203 fuochi pirotecnici. Sopra il Fercolo, portato da 12 giovani robusti, sormontato da una corona, ornata di campanelle d’argento, che con il dondolio facevano un suono meraviglioso, vi si mettevano i bambini ammalati, seduti attorno al Crocifisso e così le loro famiglie speravano di ottenere la guarigione. Al passaggio della processione si gettavano sul Fercolo petali di rose e garofani profumati dai balconi e dalle finestre.
Venivano nell’occasione della festa montati dalle maestranze due archi grandi, uno nella via Bertani, via Saffi e uno nella via Benedetto D’Acquisto-via Selinunte, realizzati con travi di legno ricoperti di alloro, mirtillo e fiori freschi, con sopra a cerchio le primizie di stagione :fragole, fichi d’india, pomodori. Sotto questi archi passava il Fercolo e tutta la processione al seguito.
Il Crocefisso che veniva portato in processione si diceva fosse miracolato e portato a Castelvetrano dal Cappuccino Pietro da Mazara, missionario apostolico, che nel 1550 partecipò alla guerra in Tunisia tra l’Armata Cristiana e il corsaro Dragut. Si dice che nell’ultima battaglia decisiva Padre Pietro, quasi al tramonto, pregò il Crocefisso per fare fermare il sole per un’ora ancora favorendo la vittoria dell’Armata Cristiana. Padre Pietro durante il viaggio di ritorno si ammalò e pregò il Crocefisso per farlo arrivare vivo in Sicilia per raccontare il miracolo del sole. Il Signore gli rispose che doveva morire il 23 Settembre e allora Padre Pietro da Mazara pregò il comandante De Vega di portare il suo corpo e il Crocefisso al primo convento dei Cappuccini dopo lo sbarco a Trapani e cioè Castelvetrano, per essere seppellito.
Nel 1724 il Vescovo di Mazara Bartolomeo Castelli nel 1724, conoscendo la leggenda che accompagnava il Crocifisso, volle scalfire con una punta di un coltellino il ginocchio e da lì, con grande stupore dello stesso Vescovo, uscirono delle gocce di sangue, conservate poi in una ampollina. Fino a 50 anni fa questa ampollina era conservata in una incavatura dell’altare dove sopra è venerato il SS Crocifisso a destra entrando in Chiesa. A seguito di restauri non se ne hanno più notizie.