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Gli americani in Sicilia tra amore e povertà

di: Giuseppe Lodato - del 2019-01-24

Donna Felicita aveva appena stinnuto due mappinedde e un falari, quando n'acidduzzu tutto tremante si era posato sulla corda che li sosteneva. Forse attirato dal fumo che i panni stesi ancora caldi, sprigionavano al contatto con l'aria o forse solo per abitudine.

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  • Era una strana mattina, un San Valentino uggioso, sonnecchiante; qualche picciutteddu innamorato sfruttava la ricorrenza per regalare qualche garofano o qualche fiore scippato qua e là in qualche casirìa.

    Donna Felicita senza nemmeno volerlo, s'appuiò dietro la persiana a taliàre quel cardidduzzo infreddolito, perdendosi nei suoi pensieri. Di chioviri nun chiuvìa, ma c'era gelo, lui se ne stava ancora lì, sul filo, muovendo la testolina con scatti repentini a destra e a sinistra. Ad un tratto non  fu più solo, di colpo o pi cumminazione smise di tremare, cinguettarono un pò si beccarono quattro o cinque volte e nemmeno il tempo per donna Felicita di gustarsi la scena che volarono via.

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  • Per tutta la jurnata quell'immagine le rimase impressa; se l'amore esiste tra due uccellini, allora non è una pigghiata pù culu come le ripeteva sempre suo zio Vito, se si amano due armaleddi Evan non è stato solo un sogno.

    Donna Felicita bedda comu lu suli, due ranni occhi cchiù lucenti come le stelle, con un sorriso smagliante, una pelle scura e vellutata che emanava un odore  di buono, come quello che si sprigiona nell'aria quando la pioggia bagna la terra dopo mesi di arsura. Era disiàta da tutto il paese, accerchiata dai nicareddi, 'nvìriata dalle donne, manciàta cu l'occhi dagli uomini e suspirata dai vecchi. Lei non si pavoneggiava, non sfruttava a suo favore cotanta bellezza; umile, ingenua e casta.

    Cu nenti si vistìa,mamma Nina accattava quattro scampoli e ci cusìa vestiti che gli calzavano a pennello e indossati ci facìanu na ranni fiùra. Ogni nisciùta era una gioia per gli occhi, le vicchiaredde assittate davanti le porte di casa aisàvano gli occhi e si fermavano di fare la puntina e a qualcuna ci carìa n'terra pure l'uncinetto.

    I masculi non contenti di guardarla in viso, senza ritegno si vutavano per manciarsela con gli occhi, certe volte truppicavano, altre volte si meritavano le uvitate al fianco, di mogli e zite. Mai fu sparlàta dalle femmine, perché tutte sapevano dell'onestà sua e della sua famigghia.

    Gli americani mesi prima della fine delle ostilità, avevano fatto il loro ingresso trionfale anche a Salemi. Beddi, avuti e giovani; 'ncàpu  carri armati, sembravano arrivati da un altro pianeta. Accadde, uno dei primi giorni in cui arrivarono, che Felicita attirata dalla confusione creatasi 'ntò Chianu, curiusitèra come tutte le femmine, si avvicinò anche lei agli americani. Sembravano tutti tante vespe attorno ad una sarda arrustuta.

    Piccoli e grandi erano felici, riconquistavano i primi sorrisi dopo anni di patimenti, tutti avevano le mani piene, gli americani stavano distribuendo barrette di cioccolata, gallette, scatolette di pasta e di carne . Cu l'avìa mai viste queste cose! Non troppo interessata, a mani vuote stava lasciando lo sciame,quando qualcuno le sfiorò il gomito. Chewing gum? Chewing gum?

    Un giovane biondo, capelli folti e all'indietro chini di brillantina, dalle labbra carnose con denti bianchissimi e barbetta incolta, continuava a fissarla e ad offrirle chewing gum. Cosa volete ne potesse sapere Felicita sul contenuto di quel pacchetto che quel bell'imbusto le voleva regalare con tanta insistenza. Eppure lei accettò, e in un susseguirsi di parole, gesti, sguardi, sorrisi ed eventi, il giovane Evan, come quell'uccellino si avvicinò a lei, la fece smettere di tremare e insieme spiccarono il volo.

    L'amore li travolse; ardirono presto di gioia e fremettero di piacere talmente tanto ed in fretta che pochi mesi dopo dentro di lei batteva già un altro piccolo cuore.

    Donna Nina, era rimasta vedova troppo giovane ed aveva cresciuto Felicita e il fratello da sola. Evan, era un bravo ragazzo, una madre lo capisce e lo accettò come un figlio, nemmeno fece troppe storie per la gravidanza che però come accade sempre nei paesi, fu oggetto di sparlaciunìu, Felicita rimase 'ncapu la vucca di tutti fino a quando la giovane Lina si 'nni fuìu con un prete di Santa Ninfa.

    Quei due cardiddi già da un po' erano volati per chissà dove, ma idda ancora appuiàta al vetro pensava ad Evan, guardava il piccolo nel lettone con la mente appannata come il vetro. Evan dopo solo quattro mesi dalla nascita del picciriddu, dovette tornare in America era un soldato e doveva rientrare in patria.

    Era partito con la promessa che per il primo compleanno del bimbo sarebbe ritornato, ma erano passati più di due anni e di lui nessuna notizia, il suo ritorno era solo allirizza 'nsonnu. Felicita non sapìa purtàri odio ma dopo tutto questo tempo incominciava a pinsàri mali.

    Lei che troppo presto aveva perso il padre, lo portava sempre con sé, bastava che chiudìa gli occhi e lo vedeva li accanto a lei, ricordandosene l'amuri e l'uduri, li carizzi e li vasùna. Fu proprio nel mezzo di questo terremoto del cuore che decise in un momento di fare una cena in onore dell'altro papà; il suo amato San Giuseppe.

    Si una cena per ringraziarlo, in fondo quell'americano gli aveva regalato il dono più prezioso, suo figlio. Per più di quindici jorna, tuppuliò casa per casa, invitando tutti a fare il pane , addumannànu a tutti aranci e limiùna, addàvuru e farina, murtidda e chiova di garofano. Nessuno rifiutò, la guerra è vero che aveva reso tutti scarsi di denari, ma non d'amùri.

    Cuddureddi aranci e limiùna,

    addàvuru e finocchi a mazzùma.

    A San Giuseppi fu prumisa sta cena,

    picchì ha sempri aiutàtu li cori 'mpèna.

    Da sempre a Salemi in onore a San Giuseppe si cònsanu vere e proprie chiese dentro le case, veri e propri tempi consacrati a Dio.

    Casa di Nina dal primo marzo fino alla festa del Santo fu un trasi e nesci di amici e parenti, una casa china di genti e canzuna, di rusari e prièri. Donna Razia, ogni matina 'ncapu lu tavuleri metteva cinque chili di farina, ci agghiuncìa struttu, sali acqua e levitu, e accuminciàva a scanare.

    Se donna Razia impastava, altre tre donne a giro cu lu sagnatùri lavoravano la pasta, fogghi e fogghi che sembravano carta velina, usati come base per la creazione di rose, foglioline e fiori; una vera e propria catena di montaggio per dare vita a decine e decine di cuddureddi dalle forme diverse.

    Le più brave lavoravano lu pani rossu dedicato alla Sacra famiglia di Nazareth; a donna Ancilina toccava sempre u Cucciddatu per Gesù e a donna Brasidda lu Vastuni e la Parma per San Giuseppe e Maria. Felicita aveva avuto davvero una bella idea, gioia e armonia non dovevano abbandonare il suo cuore che per metà era rimasto nelle mani di Evan.

    Non aveva tempo per pensare, i panuzzi dovevano essere lavorati; c'era chi passava lu firretttu, chi pizzicava la pasta con la mucacia, chi vi imprimeva il pettine pi tessiri, chi con cutidduzzu e furficicchi sistemavano ogni cosa. Il colpo finale era affidato ai picciriddi, che prima posavano ad una ad una tutte le cudduredde 'ntà li tigghi e poi pinzeddu alla mano gli passavano il tuorlo che prima donna Gina aveva sbattuto assieme a qualche goccia di limone; di corsa tutto dentro il forno camiàto da don Ciccio.

    La struttura fu mastro Vartulu a crearla, Felicita la volle a forma di stella, bastò un giorno per addobbarla.

    San Giuseppi dunanni amuri,

    comu facisti cu nostru Signuri.

    Teni stritta la nostra manu,

    pruteggini tutti di stu munnu stranu.

    Passarono circa sei mesi, quando una mattina tuppuliàrono; il bambino si precipitò ad aprire, era lu pusteri che lasciava tra le mani del bambino una littra. Felicita cominciò a tremare come quel cardidduzzu sul filo, girava la busta e la rigirava, se la portava al petto, la ciaràva, non la apriva non ne aveva il coraggio. Se non era di Evan? Ritornò in sè solo quando lu picciriddu incominciò a tirarle la faretta.

    La aprì e in un italiano misto ad americano la lettera iniziava: dear Felicita.

    Evan in quei due anni non l'aveva mai dimenticata un solo istante, aveva  deciso di scriverle solo quando avrebbe avuto i soldi necessari per comprare quattro biglietti per l'America. La implorava di sposarlo per procura e di portare con sé in America tutta la famiglia, i biglietti costarono più di due anni di sacrifici e di duro lavoro, ma Evan non avrebbe mai anteposto la sua gioia a quella della famiglia di Felicita, non li avrebbe mai divisi.

    Còccia di lacrime cominciarono a solcare prima il viso e poi a cadere nei fogli, rischiando di sciogliere l'inchiostro e le parole d'amore in esso contenute. Non sapremo mai se Felicita lontana dalla sua Salemi visse serena, ma di certo si sposò per procura ed insieme alla sua famiglia prese la nave e sbarcò in America.

    La vita è costellata da momenti di dolore, ma è intrisa di speranze e di piccole gioie e mai come in questo caso da insignificanti accenti. Per un gioco del destino la nuova lingua storpiò il suo nome e da quel momento lei da tutti venne chiamata Felicità.

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