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C'era una volta "Lu curtigghiu" tra storie, dicerie e aneddoti indimenticabili

di: Doriana Margiotta - del 2023-02-08

Immagine articolo: C'era una volta "Lu curtigghiu" tra storie, dicerie e aneddoti indimenticabili

Non ho avuto il piacere di conoscerlo, ma sono convinta che un’intervista con lui sarebbe stata un viaggio nel tempo e nei ricordi della nostra bellissima civiltà contadina. Sto parlando di Vito Marino, nostro amatissimo concittadino, venuto a mancare lo scorso anno. Classe 1940, era un cultore della storia e delle tradizioni di Castelvetrano. Si è occupato di poesia, partecipando a vari concorsi, ha avuto molto successo anche nella narrativa e nel giornalismo ha collaborato con Kleos, Agave, Scirocco e altri ancora.

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  • Per conoscerlo meglio, ho letto uno dei suoi libri “Sicilia scomparsa, il museo della memoria”, e devo confessarvi di avere sorriso spesso leggendo i racconti che contiene, perché mi ricordano molto quelli dei miei nonni ed il mondo di cui hanno fatto parte. Io ho vissuto nell’epoca del consumismo, ma ho avuto la fortuna di avere al mio fianco persone che, come Vito Marino, hanno vissuto ed amato la vita contadina in tutte le sue sfaccettature, apprezzandone la profonda saggezza dei suoi proverbi e le sfumature che tingono di mille colori la nostra cultura contadina.

    Già nella prefazione, scritta dall’autore, e nel paragrafo successivo intitolato “Comu eramu fatti”, si respira aria di tradizioni, mettendo in evidenza il carattere del siciliano, descrivendo con grande maestria i pro e i contro del mondo siculo, dando sempre una spiegazione del perché un siciliano si comporta in un certo modo o ragione in una certa maniera. Senza mai cadere nel banale, descrive l’uomo contadino col tono quasi del “padre di famiglia”, di cui conosce però ogni pregio e difetto.

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  • Il primo racconto che mi ha colpito ed incuriosito, forse perché non l’ho mai vissuto, è quello di “Lu Curtigghiu”. Il cortile classico siciliano, con l’arcata d’ingresso a tutto sesto, di chiara matrice islamica.

    A Castelvetrano sono stati censiti 160 cortili ed anticamente erano chiusi da un robusto portone, unica entrata per tutta la costruzione, così da far sentire al sicuro i suoi abitanti, una sorta di difesa contro le invasioni barbariche. Per i nostri nonni, compresa la mia amatissima nonna Dora, lu Curtigghiu era un mondo a sé, fatto a proprio uso e consumo; qui si svolgeva buona parte della loro vita quotidiana. La vita nei cortili era così intensa che le famiglie che vi abitavano diventavano quasi parenti, e, anche in questo caso, non mancano i proverbi che la raccontano: “Li vicini su megghiu di li parenti”, “Puru la reggina appi bisognu di la vicina”.

    Durante “li misi granni”, cioè i mesi estivi, le donne si sedevano nel cortile per godersi un po’ di sole o di fresco, e, raccontando i loro problemi personali, nel frattempo filavano la lana, lavoravano con l’uncinetto o “facianu la ntrita”, cioè schiacciavano le mandorle. Per una casalinga di allora era molto importante saper fare tutti questi lavori, perché non ci si poteva permettere di comprare spesso vestiti o utensili nuovi. Pertanto “li causi” venivano rattoppati, e lo stesso valeva per le calze. Nel cortile si lavava e si asciugava al sole il frumento, i baccelli delle fave e dei ceci, e si faceva essiccare al sole il sugo di pomodoro, la famosa “sarsa sicca”. Nei giorni di cattivo tempo, i contadini si dedicavano alla realizzazione di “panara, carteddi e cannizzati”. Il cortile siciliano non era solo il luogo della famiglia, ma anche di quella piccola economia che però era fondamentale per la sopravvivenza.

    Era soprattutto un luogo di mutuo soccorso: li “cummareddi” dei cortili si aiutavano a vicenda nei lavori più impegnativi. In caso di malattie o di piccoli bisogni economici, per esempio, se finiva il pane, che era rigorosamente fatto in casa, ci si rivolgeva alla vicina per averne qualche “vastedda”, che sarebbe stata restituita molto presto.

    Nel cortile comune era immancabile il pozzo con accanto “li pilacciuna o li pila di petra”, ed era indispensabile, perché in molte zone ancora mancava la condotta idrica con l’acqua potabile. L’acqua piovana si faceva canalizzare nelle cisterne e, calcolando il tempo impiegato per riempirsi, si poteva capire la piovosità di quell’inverno.

    Oggi il cortile si definirebbe microcosmo, con le sue regole ed i suoi ritmi, che scandivano la vita di chi vi abitava.

    Un proverbio mi ha colpito particolarmente in questa prima parte del libro, “Ci voli assai pi sapiri picca”: in questo proverbio è racchiusa tutta la saggezza di un popolo, di cui per fortuna faccio parte e di cui sono orgogliosa.

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