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Era il 1987, la tossicodipendenza dilagava a Castelvetrano e un giovane perse la vita

del 2022-08-31

Immagine articolo: Era il 1987, la tossicodipendenza dilagava a Castelvetrano e un giovane perse la vita

Il 1987 fu un anno abbastanza importante per la nostra comunità. Nel mese di Agosto, avvenne il cambio al vertice nell’Amministrazione cittadina. Il Sindaco uscente Lo Sciuto lasciò il posto al prof. Vito Li Causi. Tra i primi problemi da risolvere, senza dubbio, quello che riguardava l’uso esasperato della droga nel nostro paese. Dai primi dati forniti dall’Istituto Sanitario Siciliano, nella valle del Belìce erano presenti circa 800 tossicodipendenti e ben 400 erano castelvetranesi.

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  • La città fu scossa terribilmente dalla morte di Leo Gullo. Un ragazzo come tanti, con l’istinto di vivere e affermarsi nella sua personale vita. Un giovane di belle speranze, pronto a sfidare le fasi di crescita e spiccare il volo. Entrato nel tunnel della droga, fu trovato esanime nella sua auto in una traversa della via Garibaldi stroncato da un’overdose. Perché? Meritava una punizione così severa dalla vita terrena? I sogni svaniti improvvisamente da un problema che stava contagiando l’intero mondo.

    I primi arresti per spaccio di droga, i corrieri dell’eroina aumentavano incomprensibilmente e rappresentavano un male senza via d’uscita. Se la città di Castelvetrano presentava un dato allarmante, Mazara ebbe il triste primato di mortalità per droga. Un fatto d’inaudita gravità. La comunità iniziò a porsi alcune domande e comprendere quali fossero i reali motivi che spingessero i giovani ad assumere sostanze stupefacenti. La morte di Leo aveva scosso le coscienze di alcuni rappresentanti castelvetranesi, che iniziarono un percorso di sensibilizzazione con l’avallo e partecipazione di alcune componenti (famiglie, scuole e amministrazione).

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  • “I primi tentativi andarono in malora” affermò l’ing. Santangelo. Inviò una lettera di protesta al Giornale di Sicilia, ricevendo inutili critiche come risposta. Fu un primo monito andato a vuoto, che scatenò una serie d’interventi duri e prese di posizioni. Uno dei maggiori esponenti della protesta fu il coraggioso prof. Cavarretta del distretto numero 65. Ebbe la forza necessaria di alzare i toni e organizzare un incontro di spessore con gli enti preposti, provando a dare uno scossone importante.

    L’intenzione era quella di “smuovere le coscienze”. Le attività ricreative, sportive, le associazioni e altri aspetti potevano promuovere una rinascita e magari, l’allontanamento dagli ambienti più esasperati. Era un’affermazione contro l’omertà e un segno di rivalsa nei confronti di un male aggressivo che decideva di prendere possesso degli esseri umani. Molti erano intimoriti di essere con disonestà “guardati” come malati. Una malattia immaginaria che invece esisteva e andava affrontata con l’aiuto massiccio dei medici.

    Alcuni tentavano inutilmente di smettere e altri si lasciavano coinvolgere puntualmente dal “buco”. Tutti tranne Paolo, un ragazzo appena diciottenne che rilasciò un’intervista significativa al giornalista Silvestro Messina. Nelle sue parole il segno della sconfitta e quella volontà di rinascere e riscattarsi. Una vita spericolata iniziata appena quindicenne fumando uno spinello e poi, figlio del benessere, cambiare completamente pelle.

    Un primo buco, una routine quotidiana, per poi ritrovarsi appena maggiorenne senza fissa dimora. Un ragazzo solo, scaraventato fuori di casa da un padre tutto d’un pezzo e una madre che cercava consolazione ricevendo conforto dal figlio con timidi segnali. Da cinque giorni non faceva uso di droghe e, sentendosi dolorante ovunque, cercava una sigaretta, un cappuccino ed infine, della frutta per mettere acqua nel corpo.

    Lacerato dai dolori fisici e nell’animo, il suo obiettivo era quello di uscirne senza l’aiuto dei medici, che riteneva dei carnefici. Stare lontano dagli amici per non soccombere una seconda volta e ritornare a vivere nella normalità. Quel dialogo toccò profondamente l’animo della gente e forse, per una volta, la massa perseguì un volere comunitario: sconfiggere la droga.

    Vennero stilati dei questionari a cui tutti potevano partecipare e tra i promotori dell’azione ci fu il Direttivo del giornale “il Risveglio”. Anche le scuole diedero un contributo valido e si stilò un iter burocratico da presentare come format risolutivo. I punti salienti erano i seguenti:

    • Incentivare e perfezionare l’attività di prevenzione verso gli spacciatori.
    • Istituire dei corpi speciali in ogni comune, formati da personale del luogo o del quartiere, meglio se composti da familiari di ex tossicodipendenti con il compito di ricercare o arrestare ogni piccolo spacciatore. 
    • All’arresto, doveva configurare in qualsiasi albo con la qualifica di spacciatore. 
    • Perdita del voto, di alcuni diritti e ritiro completo della patente. 
    • Altri provvedimenti. 

    Da un lato mostrava disumanità crudele e disaffezione verso i consimili, mentre dall’altro, una posizione dura e di contrasto contro il male dilagante.

    Presi da altre situazioni come il covid, il vaiolo e circostanze di varia natura, in Italia i tossicodipendenti sono circa 126 mila e di questi, l’86% sono di sesso maschile. L’eroina rimane ancora al primo posto tra le sostanze più usate. Sono dati allarmanti e ritornare indietro nel tempo pensando al nostro concittadino Leo Gullo, dovrebbe farci riflettere abbastanza per aiutare i soggetti in difficoltà. Un ricordo meritato per coloro che iniziarono a lottare contro l’affermazione della droga.

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