I trasporti in una Sicilia scomparsa. Dai carretti a "li vardunara" fino ad arrivare alle linee a scartamento
di: Vito Marino - del 2020-07-15
Il carro spinto a mano o a trazione animale esisteva anche ai tempi dei greci e romani; gli incavi esistenti nelle strade lastricate di allora ne sono la prova. “Tutte le strade conducono a Roma” un detto che andava bene durante l’Impero Romano, in seguito non ha avuto più significato; infatti, sparito l’Impero Romano, in Sicilia scomparvero anche le strade e divennero impossibili le comunicazioni fra i vari centri abitati.
Fino ai primi del 1800 il glorioso carretto siciliano ancora non esisteva, perchè ancora non esistevano le strade carrabili. Nel 1778 si cominciarono timidamente le costruzioni delle prime strade in Italia; così nel 1830 il governo borbonico diede inizio alla costruzione della “regia trazzera”, per motivi militari. Essa partiva da Palermo, passava per Castrogiovanni (Enna), per Catania ed arrivava a Messina.
Queste trazzere erano dei larghi sentieri a fondo naturale, con salite ripidissime, smottamenti e grosse buche. Il carro che percorreva tali strade, portava le ruote molto alte per superare gli ostacoli e per non restare impantanato.
Trasporti marittimi
Fino alla seconda metà del 1800, a causa della deficienza di strade carrabili, i trasporti si effettuavano via mare, con grosse barche a vela, come la Tartana e la Feluca, un trasporto penalizzato dal numero limitato di porti, dalle condizioni avverse del mare, e dal trasbordo difficoltoso delle merci.
La Tartana era un piccolo bastimento da gran cabotaggio a vela con portata da 30 a 60 tonnellate. La nave era usata per la pesca e, quando questa era effettuata in coppia assumeva il nome di “Paranza”. Essa veniva anche utilizzata per il trasporto di merci e materiale vario. La Feluca era un piccolo battello a vela e a remi utilizzato per il trasporto di mezzi e persone per il piccolo cabotaggio costiero.
Anche a Castelvetrano, attraverso il vicino scalo di Selinunte, tutte le importazioni e le esportazioni avvenivano via mare, tanto da essere considerata “Città marittima” dal canonico Vivona, che scrive testualmente: "Il territorio di Castelvetrano ha un lungo litorale con tre “scari” (cale): uno vicino alla “torre del forte”, dalla parte orientale rispetto alla distrutta Selinunte, dove ancora esiste il suo antico porto interrato; qui si potevano ospitare 20 galee, un altro vicino la punta del Saltarello, con la capacità di 30 galee e lo Scalo di Bruca, ancora più a oriente, dove si ormeggiavano le barche pescherecce e dove avveniva il commercio con arrivo e partenze di tartane e feluche, che trasportano vino e frumento e scaricano legname e altra mercanzia"
In un mandato di pagamento del 12/5/1634, allegato a “Guida di Castelvetrano” del Ferrigno, si legge: "Il nuovo scaro chiamato dell’Insolilla non è atto né buono per ricevere le barche che vengono a caricar vino e altre mercanzie da Castelvetrano, per diverse ragioni, ma che lo Scaro di Bruca per essere vicino alla Torre di Polluce per difesa dei vascelli che vengono a caricar dette mercanzie è assai meglio".
Infatti allora le incursioni dei corsari rendevano pericolosa oltre la navigazione, anche tutta la costa, tranne la zona protetta dalle torri d’avvistamento e difesa.
Trasporti terrestri
Il trasporto delle merci da e verso l’interno dell’isola, avveniva solo a dorso dei muli. Questo servizio era svolto dai “vardunara” (mulattieri o bardonari; da barda = sella). I grandi proprietari terrieri ne avevano sempre numerosi al proprio servizio. Così, durante la raccolta dei prodotti agricoli, s’incontravano delle vere carovane di muli, legati in fila con i prodotti sulla groppa.
Ogni “vardunaru” conduceva una “retina” composta da sette muli legati in fila uno con l’altro. Egli, come “capu retina” cavalcava la prima mula che doveva avere un carattere mite e di struttura più robusta, poiché doveva portare sulla groppa anche la mercanzia. Allora, per mancanza di strade carrabili, l’uso del carretto era limitato dentro le aree urbane.
Sempre sulle mulattiere c’era la possibilità di usare un altro mezzo rudimentale di trasporto: “lu strascinu o straula” (la treggia). Si trattava della più antica forma di carro in Sicilia: senza ruote, era tirato da buoi ed era usato nelle zone montuose senza strade, per il trasporto dei covoni di grano.
Nel nostro territorio, tutto pianeggiante, non c’era quest’usanza, ma il vocabolo era usato lo stesso, anche se impropriamente, quando si doveva trasportare col carretto il cereale dal campo di produzione al “postu d’aria” (all’aia); questo trasporto, infatti, si chiamava "strauliari" o "straguliari”.
Per quanto riguarda il nostro territorio, secondo Nino Ferracane nel “Castelvetrano Palmosa Civitas”, nel 1843 esisteva una sola carrabile che univa Castelvetrano a Campobello di Mazara. La strada di collegamento con la città di Gibellina (l’odierna SS.119) a quel tempo era in via di costruzione. Per il collegamento con Partanna, Trapani, Mazara, Salemi e per la provincia di Agrigento c’erano soltanto delle mulattiere percorribili a cavallo.
Nello stesso tempo c’erano le regie trazzere, in seguito trasformate in strade statali e provinciali, che erano costruite molto larghe (36 mt.) e coperte di manto erboso, per permettere la trasmigrazione del bestiame durante la transumanza. Esse erano utilizzate anche in caso di spostamento di soldatesche.
Anche il trasporto passeggeri avveniva a cavallo dei muli o dei cavalli, percorrendo le mulattiere; per brevi tratti si utilizzavano le portantine o lettighe, sostenute da due muli e dirette da un conducente.
Il Carretto
L’uso del carretto e della carrozza incominciò a diffondersi all’inizio del 1800, quando si iniziarono le costruzioni di strade carrabili. Ma le sue ricchissime decorazioni barocche risalgono a qualche anno dopo; a Castelvetrano giunsero da Palermo nel 1880.
“Lu traìnu o carramattu” era un carro a quattro ruote, senza "casciata e laterali”, che serviva solo per il trasporto di merce pesante o voluminosa. “Lu traìnu pi lu vinu” era simile al traìnu, ma era con due ruote e serviva esclusivamente per il trasporto del vino tramite il “carratu”, una botte, che rappresentava anche un’unità di misura (litri 420).
I benestanti per spostarsi usavano il calesse ed i nobili la carrozza a quattro ruote, trainata da due cavalli; il borgese benestante, nelle grandi occasioni portava fuori il ricchissimo “carrettu patrunali” tutto dipinto e lavorato e il cavallo trainante bardato a festa e tutto impennacchiato.
In tempi relativamente recenti, 1930 – 1950, con le strade asfaltate, ma anche sterrate, il carrettiere trasportava merci anche a distanze di 100 chilometri, impiegando anche più di un giorno. Per rifocillare i viandanti, lungo il percorso sorsero allora i “fondaci”, che fornivano vitto e alloggio per persone ed animali.. I benestanti per spostarsi avevano il calesse e i più ricchi la carrozza a quattro ruote, trainata da più cavalli.
L’uso della carrozza iniziò a diffondersi all’inizio del 1800 tra i nobili delle città. Come succede anche oggi per le macchine, il benestante, per farsi notare, teneva il carretto “patrunali” tutto scolpito o dipinto, e la carrozza barocca scolpita.
La ferrovia
Costruita la ferrovia, iniziarono i trasporti comodi e celeri, via terra. La prima strada ferrata del nostro territorio, la “Palermo - Trapani Via Castelvetrano” è stata inaugurata nel 1883. La linea a scartamento ridotto “Castelvetrano – Agrigento” fu ultimata nel 1910, mentre la “Castelvetrano – Palermo Sant’Erasmo” nel 1931.
Dopo il boom economico iniziato negli anni ’50, attraverso le strade e autostrade asfaltate, il gommato a poco a poco ha assorbito quasi tutto il traffico ferroviario, con la chiusura progressiva, negli anni ’80–’90, di tutti quei rami ferroviari allora considerati secchi.