Ricordando "lu stagnataru" e la sua arte di rivestire "le ghiacciaie" e costruire i “cafisi"
di: Vito Marino - del 2018-03-08
Prima di parlare di questo umile artigiano è giusto far conoscere ai nostri amici che ci leggono, che Castelvetrano nel 1400, 1500 e parte del 1600 era molto ricca rispetto alla media degli altri comuni italiani, per la forte produzione di grano duro, che allora rappresentava una ricchezza paragonabile ai pozzi di petrolio dei giorni nostri.
Fu in quegli anni che si espanse e furono costruite le numerose chiese, conventi e monasteri, oltre che piazze, palazzi e monumenti. Castelvetrano stava ancora bene fino alla fine del 1800 con molte attività artigianali ed industriali, oltre che agricoli; allora importava solo alcune materie prime, come il legname d’opera e il ferro; per il resto si utilizzava materiale del posto, proveniente dalle campagne o dalle cave (tufo, pietra per costruzioni, pietra calcarea e pietra di gesso per le calcare).
Il Canonico Vivona ci riferisce che, agli inizi del 1800: <>. Le donne, inoltre lavoravano nelle “gualchiere” (lavatori) dove si lavavano e si tingevano in nero dei panni grossolani (albagio).
G. B. Ferrigno in “Castelvetrano Monografia” parlando delle industrie di Castelvetrano scrive: <>.
Lungo il Modione e il Belìce esistevano numerosi mulini a forza idraulica, stabilimenti a vapore per la produzione di farine con annessi pastifici e lo stabilimento enologico dei fratelli Saporito. Inoltre, c’erano nove frantoi per la molitura delle olive, uno stabilimento per l’estrazione di olio al solfuro, uno per la produzione del ghiaccio>>.
Secondo questa statistica molto attendibile, la situazione economica di Castelvetrano, per quel periodo storico, era florida. Anche se non è citato dal Ferrigno, certamente contribuirono con il loro impegno le attività dei Saporito che, come riferiscono gli storici, hanno diretto per mezzo secolo l’economia e la politica di Castelvetrano. I Saporito avevano un mulino a cilindri, uno a palmento, un pastificio, una fabbrica per l’olio al solfuro di carbonio e un saponificio. La stazione ferroviaria di San Nicola, voluta da Vincenzo Saporito, serviva per il loro stabilimento enologico.
Tra le donne, la tessitura domestica era ancora praticata per mezzo di 80 telai per la lavorazione del cotone e 20 telai per la lavorazione della canapa e lino. Inoltre, c’erano le fabbriche di mobilia, di sedie, di sapone, di acque gassate, di laterizi (li stazzuna), i caseifici; gli utensili di palma nana “curina” erano fabbricati in casa; c’erano stabilimenti per la produzione delle pelli conciate, fornaci per la produzione di gesso e calce, che utilizzavano come materie prime pietre calcaree e gessose estratti dalle cave locali.
Infine, c’erano i soliti artigiani di arte e mestiere: falegnami, tintori, fabbri ferrai, calzolai, carradori, maniscalchi, conciatori di pelle, cordai, bottai, mugnai sarti, bottai, stovigliai, stagnini, marmisti, pastai, panettieri, orefici, armaioli, fonditori, sellai, modisti, Molti di questi artigiani guadagnavano bene e potevano classificarsi fra la borghesia. Nel 1890 sorge, a fianco della stazione ferroviaria l’azienda di legname Lucentini che, favorita dal nodo ferroviario, avrà un grande sviluppo.
Intanto nel Nord Italia, per una egoistica politica antimeridionalista voluta dai Savoia e dal governo unitario si svilupparono molte industrie, che, durante il cosiddetto periodo del Nuovo imperialismo, con la corsa all’Africa ed il proliferare delle rivendicazioni europee sui territori africani, tra il 1880 e l'inizio della Prima Guerra Mondiale, ebbero la possibilità di affermarsi con la grande produzione di elementi bellici; tuttavia queste giovani industrie non erano nelle condizioni di vincere la concorrenza di quelle europee più solide e non riuscivano ad inserirsi nel mercato europeo. Il governo italiano ha pensato pertanto ad emanare la legge 14 luglio 1887, definita storicamente di “scelta protezionistica”, attraverso incentivi ai grandi gruppi industriali e ponendo dei dazi protettivi, per i prodotti industriali provenienti dall’estero.
Le industrie del Sud non hanno potuto sopportare la concorrenza sleale delle moderne industrie del Nord protette dal Governo italiano; esse a poco a poco furono destinate a chiudere. Anche i Saporito che seppero abbinare l’agricoltura all’industria e al commercio, agli inizi del 1900 iniziò la loro decadenza. A Castelvetrano restarono solo quegli artigiani, che nella loro angusta bottega eseguivano piccoli lavori, oltre che riparazioni.
Fra questi artigiani c’era “Lu STAGNATARU”. Egli eseguiva lavori in lamierino, zinco, lastre di piombo e sapeva eseguire saldature a stagno. Per questi lavori si serviva di una forgia col carbone fossile per riscaldare il saldatore (composto da un pezzo di rame che finiva a punta sottile e con un lungo manico) e per sciogliere lo stagno. Egli sapeva rivestire di zinco le ghiacciaie, le casse funebri, le "pile" (lavatoi in legno); costruiva “cafisi, decalitri, quarti, quartigghi, tummini, munneddi,” (tutti unità di misura per olio e cereali, fatti di lamiera semplice o zincata); costruiva anche stagnuna (contenitori per olio), tubi e grondaie di zinco o di piombo, e la “stagnatedda”: un tubo zincato (cm.150x10) che si riempiva di esplosivi da fare esplodere negli scavi di pozzi.
Ma al peggio non c’è mai fine, perché c’erano alcuni artigiani, che addirittura per trovare quel poco di lavoro rimasto giravano di casa in casa “abbanniannu” per annunciare il loro passaggio. Fra questi ricordo “lu conzalemmi, lu conza seggi, lu stagnapareddi, l’ammolacuteddi, lu firraru (maniscalco), ma c’era anche lu fotografu che faceva li ritratti (le foto ricordo formato grande a persone singole, che poi, dopo morte si appendevano nella “cammara”, stanza da letto tuttofare, a protezione della casa e della famiglia della quale continuavano a far parte).
“Lu stagnapareddi”, anche lui oggetto della nostra ricerca era uno stagnino che si accontentava di questi lavori più umili; egli portava su un carrettino una piccola forgia col carbon fossile acceso per riscaldare il saldatore a stagno e gli oggetti da stagnare. Si interessava alla riparazione di padelle, pentole, e oggetti vari per la cucina, tutti in ferro o rame, ed alla successiva stagnatura (allora si rivestivano di stagno anche cucchiai e forchette, perché erano fatti di ferro o di rame). Abitualmente, questo artigiano girava per le strade cercandosi il lavoro di porta in porta; caratteristico era il suo gridare per le strade: "cunzamu e stagnamuuu…".