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Gestione dei rifiuti, l'Ato di Trapani esempio di dilapidazione di risultati e conoscenze

del 2012-03-30

Immagine articolo: Gestione dei rifiuti, l'Ato di Trapani esempio di dilapidazione di risultati e conoscenze

Cosi Stefano Ciafani, vice presidente nazionale di Legambiente, parla della gestione dei rifiuti in provincia di Trapani e in Italia: "Dalla qualità delle scelte gestionali, oltre che delle persone che decidono, dipende il futuro del ciclo dei rifiuti. Lo dimostra il caso dell’Ato Trapani 2, una delle esperienze più innovative nel disastroso panorama siciliano dove, dopo il cambio dell’amministratore delegato della società d’ambito avvenuto lo scorso anno per beghe politiche tra i comuni, si è dilapidato il patrimonio di risultati e conoscenze acquisite fino ad allora.

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  • Nel dibattito sulla corretta gestione dei rifiuti in Italia la confusione non è mai mancata. E a proposito di confusione, nell’immaginario collettivo - complici i mass media che negli ultimi anni hanno parlato di rifiuti solo per descrivere o far vedere scene apocalittiche di montagne di immondizia nelle strade dei comuni campani o siciliani - sta passando la tesi che l’Italia sia ancora il Paese delle discariche e dell’emergenza cronica come negli anni ’80 e ‘90. In realtà è così soprattutto nel Centro Sud del Paese.

    In realtà, al contrario di quanto raccontato in genere dai media nazionali e internazionali negli ultimi anni, esiste anche un’Italia di qualità nella gestione dei rifiuti. Un’Italia che non ha nulla da invidiare ai Paesi del nord Europa e che Legambiente ha contributo a far crescere da quando, nel lontano 1994, premiò poche decine di amministrazioni comunali nella prima edizione del premio annuale Comuni ricicloni. Un’Italia virtuosa promossa dalla nostra associazione, per anni e con ostinazione, anche nelle realtà più arretrate del Paese, ormai presente anche nella tanto vituperata Campania o nella regione che ha il primato nazionale dello smaltimento in discarica, la Sicilia. Una parte tutt’altro che trascurabile e sempre più ampia di Paese che i semplificatori o i mistificatori non vogliono vedere o fanno finta che non esista, per giustificare scelte nell’interesse di pochi a danno della collettività.

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  • Negli ultimi quindici anni, infatti, anche grazie all’approvazione del decreto Ronchi, la gestione dei rifiuti nel nostro Paese, soprattutto nel Centro Nord, ha fatto degli importanti passi in avanti - inimmaginabili fino ai primi anni ’90 - nelle modalità gestionali e nella realizzazione di impianti per il recupero e il trattamento, con l’obiettivo del superamento della discarica come modalità dominante per gestire i rifiuti. Oggi possiamo vantare a livello nazionale ben 1.290 Comuni ricicloni (quasi uno ogni sei) premiati da Legambiente per aver superato nel 2010 il 60% di raccolta differenziata, anche se con evidente disparità tra le diverse aree geografiche: 1.133 sono al Nord, 39 al Centro e 118 al Sud.

    Ci sono regioni italiane che nel 2009 hanno superato il 57% di raccolta differenziata, come il Trentino Alto Adige o il Veneto, e altre che hanno sfiorato la soglia del 50%, come il Friuli Venezia Giulia, il Piemonte e la Lombardia. Abbiamo anche assistito all’exploit della regione Sardegna che, grazie ad un sistema di forte penalizzazione economica per lo smaltimento in discarica e la promozione dei sistemi di raccolta porta a porta presso i Comuni, è passata da una percentuale di raccolta differenziata del 3% nel 2002 al 42,5% nel 2009, senza contare ancora sul contributo di tutti i centri urbani più grandi.

    Quello che è avvenuto in Sardegna - grazie a un forte indirizzo da parte della Regione - si è verificato anche in altre realtà del Centro Sud, spesso grazie ad un’azione spontanea da parte dei Comuni o degli Ambiti territoriali ottimali (Ato).

    L’esempio più eclatante è rappresentato dai 169 Comuni ricicloni premiati da Legambiente in Campania (su un totale di 550) per aver superato nel 2009 la percentuale del 50% di raccolta differenziata, che paradossalmente sono i più penalizzati visto che a causa della drammatica carenza di impianti di digestione anaerobica o compostaggio sono costretti a spendere inutilmente quasi 100 euro a tonnellata solo per trasportare fuori regione - in Sicilia o nel nord Italia - l’organico da raccolta differenziata, a cui va aggiunta la tariffa per il conferimento agli impianti, per un costo complessivo che supera i 200 euro a tonnellata.

    Oppure possiamo citare il caso di alcuni consorzi di Comuni virtuosi come il Cosmari nelle Marche - a servizio di 300mila abitanti in 57 comuni maceratesi con percentuali di raccolta differenziata di circa il 70% - o quello di diversi Comuni siciliani in provincia di Agrigento o Trapani con percentuali che superano il 50%, con punte fino al 75%.

    Queste esperienze, dopo aver dimostrato che non esiste differenza culturale tra cittadini del Nord e quelli del Sud Italia, confermano che non c’è neanche una “questione antropologica” degli amministratori locali del meridione d’Italia, che sempre più numerosi scelgono i sistemi migliori di raccolta differenziata, come già fatto dai loro colleghi del settentrione ormai da anni.

    Ormai non si tratta solo di centri di piccole o medie dimensioni d’Italia. Basti pensare all’esempio del Comune di Salerno che ha domiciliarizzato il sistema di raccolta differenziata per i suoi 140mila abitanti, raggiungendo percentuali del 70% in tutta la città, impensabili fino a qualche tempo fa per un capoluogo di provincia, soprattutto in una regione disastrata come la Campania. Lo stesso vale per le raccolte domiciliari secco/umido attivate con ottimi risultati in una parte delle città di Napoli, Palermo o Torino, che vanno però estese al resto del territorio comunale, oltre che replicate in tutti i capoluoghi d’Italia. Con queste importanti esperienze cade finalmente anche l’ultimo tabù, quello dello sviluppo delle raccolte differenziate porta a porta nelle grandi città.

    La strada per avviare il ciclo dei rifiuti di tutto il Paese verso gli standard europei è ormai tracciata. Gli obiettivi della nuova direttiva europea 2008/98/CE sui rifiuti e della legge italiana di recepimento sono chiari: varare un programma nazionale di prevenzione entro la fine del 2012 e avviare al riciclaggio almeno il 50% dei rifiuti urbani entro il 2020, obiettivi che non si discostano di molto - a parte il fattore temporale - dal 65% almeno di raccolta differenziata previsto dal d.lgs. 152/2006 entro il 2012. Un obiettivo, quello della gestione sostenibile dei rifiuti, che si può raggiungere, secondo Legambiente, seguendo queste dieci proposte:

    1. Aumentare il costo dello smaltimento in discarica

    Se la discarica continua ad essere troppo economica, qualsiasi ipotesi alternativa rischia di non concretizzarsi mai. Su pressione degli enti locali, il Parlamento negli ultimi 10 anni ha ostacolato l’aumento dei costi tramite le continue proroghe al divieto per lo smaltimento in discarica dei rifiuti tal quali, previsto dal decreto Ronchi a partire dal 1 gennaio 2000. Con questo divieto, sciaguratamente prorogato dalle maggioranze parlamentari di ogni colore all’approssimarsi della scadenza di legge, ogni discarica si sarebbe dovuta attrezzare con un impianto di pretrattamento che avrebbe aumentato inevitabilmente i costi di conferimento.

    In attesa dell’auspicato incremento dei costi, conseguente alla piena attuazione del decreto legislativo 36/2003 di recepimento della direttiva europea sulle discariche, le Regioni devono rimodulare il tributo speciale dell’ecotassa, penalizzando economicamente i Comuni che non raggiungono gli obiettivi di legge sulle raccolte differenziate e premiando invece i Comuni più virtuosi con uno sconto sull’imposta regionale.

    2. Diffondere le raccolte differenziate domiciliari in tutti i Comuni italiani

    Il sistema di raccolta differenziata porta a porta è il più efficace per quantità e qualità dei materiali da avviare a riciclaggio. Per facilitare la diffusione del sistema domiciliare tutte le Regioni e le Province devono adottare le modalità di incentivazione utilizzate con successo in diverse parti d’Italia, con i quali i finanziamenti pubblici vengono destinati esclusivamente o prioritariamente ai Comuni che hanno deciso di abbandonare il sistema di raccolta stradale. In tal modo si faciliterebbe il passaggio di sistema che soprattutto nel primo anno può comportare un aggravio dei costi, ammortizzato comunque con le maggiori entrate per la vendita dei materiali raccolti e i minori costi di conferimento in discarica, soprattutto se la tariffa di smaltimento supera i 100 euro a tonnellata.

    3. Completare la rete impiantistica per il recupero e il trattamento dei rifiuti

    Per rendere la discarica l’ultima opzione della gestione dei rifiuti, è necessario disporre di alternative. È per questo che è urgente completare, soprattutto al Centro Sud, il quadro impiantistico per la raccolta differenziata, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti, garantendo la massima trasparenza e partecipazione dei cittadini. Devono essere attivi in ogni regione italiana tanti impianti per il riciclaggio della frazione organica - gli impianti di compostaggio vanno integrati con i digestori anaerobici utili anche per recuperare energia dal biogas prodotto -, per la selezione e valorizzazione dei rifiuti da raccolta differenziata, per il pretrattamento dell’indifferenziato prima dello smaltimento in discarica, e lo stesso vale per i centri comunali di raccolta.

    Per la frazione combustibile non altrimenti riciclabile, che residua da una raccolta differenziata di almeno il 65%, è fondamentale valutare nel dettaglio la possibilità di utilizzo del Cdr di qualità negli impianti industriali esistenti (cementifici, centrali a carbone, etc.) prima di pensare a nuovi impianti di termovalorizzazione dei rifiuti.

    4. Rivedere il sistema di premialità/penalità economica

    Per concretizzare il principio delle 4 R in tutta Italia, è necessario rimodulare l’attuale sistema di premialità e penalità per arrivare ad una vera gerarchia economica della gestione dei rifiuti, rendendo la discarica l’opzione più costosa, seguita dal recupero energetico, fino ad arrivare al riciclaggio e alla prevenzione che devono diventare l’alternativa più conveniente. Oggi la discarica, soprattutto al centro sud, continua ad essere troppo economica perché gestita in palese contrasto con quanto previsto dalla direttiva europea, il recupero energetico è stato sempre foraggiato con incentivi come il vecchio Cip6 destinato impropriamente anche alle fonti inquinanti o assimilate - come il gas dai residui di raffineria e la parte non biodegradabile dei rifiuti - con un vero e proprio furto ai danni delle vere rinnovabili, il riciclaggio è solo in parte sostenuto economicamente, mentre non sono previste agevolazioni per chi pratica la prevenzione.

    5. Promuovere la diffusione delle buone pratiche sulla prevenzione

    Da Nord a Sud le esperienze sulla prevenzione sono sempre più numerose, come testimonia la banca dati di Federambiente: si tratta di una serie importante di iniziative locali da divulgare e replicare il più possibile in tutta Italia.

    6. Avviare la redazione del Programma nazionale di prevenzione

    La diffusione delle buone pratiche locali sulla prevenzione è molto importante, ma da sola non basta. E’ necessario promuovere iniziative strutturali di carattere nazionale, che devono coinvolgere in primis il mondo della produzione e quello della distribuzione, come richiesto anche dalla nuova direttiva europea sui rifiuti che, tra gli impegni per ogni Stato membro, prevede entro fine 2012 la redazione del Programma nazionale di prevenzione. Devono essere coinvolti tutti gli attori del ciclo dei rifiuti (governo, enti locali, industria, grande distribuzione organizzata, commercianti, agricoltori, artigiani, aziende di igiene urbana, ambientalisti, consumatori, etc.) per arrivare alla definizione del Programma sulla prevenzione. Il Ministero dell’ambiente ad oggi non si è ancora attivato per la sua redazione.

    7. Promuovere la qualità delle raccolte differenziate e incentivare il riciclaggio e gli acquisti verdi

    Negli ultimi anni si è sempre discusso su come incrementare le quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato nel nostro Paese e non si è approfondito adeguatamente un tema di uguale importanza, la qualità delle raccolte differenziate, assolutamente strategico per garantire l’effettivo riciclaggio del raccolto, evitando la beffa del suo avvio a recupero energetico o smaltimento in discarica. Per aumentare la qualità della differenziata, va promossa la diffusione delle raccolte domiciliari ma anche un adeguato controllo sui conferimenti dei cittadini e delle utenze commerciali e produttive utilizzando anche le multe per chi non rispetta le regole. È utile anche utilizzare la leva economica premiando ad esempio sempre più le raccolte differenziate dei rifiuti con bassissima percentuale di impurità a svantaggio di quelli con maggiori impurità.

    8. Garantire la certezza normativa, a partire dal passaggio tassa/tariffa

    Negli ultimi anni dieci ad ogni avvicendamento governativo c’è stato l’annuncio del cambio delle regole del gioco. Si è trattato di una continua messa in discussione della normativa che non è giovata a nessuno e che va interrotta una volta per tutte, condividendo regole chiare e durature, restando all’interno del quadro definito dalle direttive europee.

    È necessario rendere certe anche le scadenze previste dalla normativa sui rifiuti, contrariamente a quanto fatto finora. Valga su tutti l’esempio di 2 riforme fondamentali per dare una svolta alla gestione dei rifiuti del nostro Paese: l’obbligo del passaggio da tassa a tariffa e il divieto di smaltire in discarica i rifiuti non pretrattati, previsti dal decreto Ronchi rispettivamente a partire dal 1 gennaio del 1999 e del 2000, oggetto di continue e dannose proroghe.

    9. Chiudere la stagione dei commissariamenti per l’emergenza rifiuti

    Nelle regioni commissariate per l’emergenza rifiuti, occorre definire un piano serrato di rientro al regime ordinario per superare la fase commissariale che non ha risolto il problema per cui era stata istituita, ha sperperato ingenti risorse pubbliche, ha deresponsabilizzato gli enti locali che nella maggior parte dei casi hanno atteso “immobili” le decisioni del Commissario, non ha coinvolto le comunità locali nelle scelte, acuendo le tensioni sociali e rallentando la costruzione dei necessari impianti.

    10. Introdurre i delitti ambientali nel codice penale e istituire un fondo per le bonifiche dei siti orfani

    Per colpire con sempre maggiore efficacia l’ecomafia è necessario procedere all’introduzione dei delitti ambientali nel Codice penale, obiettivo mancato nei mesi scorsi con il pessimo recepimento della direttiva europea sulla tutela penale dell’ambiente. Una “riforma di civiltà” che da sola non è sufficiente - vanno infatti garantiti, tra le altre cose, anche un adeguato sistema di controllo e una semplificazione delle norme spesso caotiche - ma che costituirebbe un efficace strumento di prevenzione dei reati, come già rilevato dopo l’approvazione del delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, grazie al quale è stato possibile utilizzare le intercettazioni telefoniche e ambientali, strumento d’indagine fondamentale per la lotta ai trafficanti di veleni.

    Va infine approvata una legge per l’istituzione di un fondo di rotazione per la bonifica dei siti orfani - come le discariche abusive dalla “Rifiuti spa”, il cui risanamento oggi ricadrebbe economicamente sulle tasche dei cittadini -, sul modello di quanto previsto negli Stati uniti a partire dal 1980 quando fu istituito il cosiddetto Superfund.

    Si tratta di dieci proposte concrete per fronteggiare le emergenze che ancora affliggono il nostro Paese. Ci auguriamo fortemente che in futuro si possano concretizzare i contesti socio-economici per la concreta attuazione di quella che viene definita la strategia “rifiuti zero”, ma intanto dobbiamo affrontare la complessità della gestione dei rifiuti che stiamo producendo oggi e che produrremo domani. Per questo è necessario da subito mettere in pratica la strategia comunitaria e gerarchica delle quattro R, dando il giusto peso alle opzioni previste.

    Solo così si potrà uscire definitivamente dal tunnel dell’emergenza che ha caratterizzato il nostro Paese fino ad oggi, rendendo possibile quella svolta che farebbe entrare l’Italia in Europa, una volta per tutte e senza distinzione tra Nord, Centro e Sud. Una parte del Paese c’è riuscita. Continueremo a lavorare, con l’ostinazione di sempre, perché questo avvenga anche nel resto d’Italia".

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