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La storia del Trittico che torna a Castelvetrano dopo 152 anni

La tavola manca dalla nostra città dal 1860

di: Francesco Saverio Calcara - del 2012-02-22

Immagine articolo: La storia del Trittico che torna a Castelvetrano dopo 152 anni

Dei molti tormentoni che hanno caratterizzato la vita sociale e culturale della nostra città, una volta superati, ovviamente nessuno se ne rammenta.

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  • Ho passato la mia giovinezza, e parte della mia maturità, a dibattere sull’Efebo a Palermo, su S. Domenico chiuso e sigillato, sul Selinus albergo di topi, sul sipario del Pardo trafugato e ammuffito, su Sant’Agostino a cielo aperto, sul Purgatorio ridotto a colombaia, sui Putti del Rutelli sbrecciati e buttati all’autoparco, sul Calvario smontato e non più ricostruito, sulla Collegiata negletta e tramezzata, sul Collegio di Maria cadente, sugli archivi al macero, su piccole e grandi piaghe aperte, sulle quali, ogni tanto, si gettava un po’ di sale - in genere in campagna elettorale - salvo poi a non ricordarsene più. Quando, finalmente, a poco a poco, i tormentoni cominciano ad essere risolti, nessuno ne serba memoria, come se mai fossero esistiti, come se, per incanto, si fossero sciolti da soli e… pace! Così va il mondo, diceva il buon Manzoni, sicché anch’io me ne son fatta una ragione. C’è, comunque, un tormentone residuo che sta andando in porto, sul quale però la pubblica opinione e gli indignati a comando non hanno esercitato forse la dovuta vigilanza e del quale, pertanto, poiché ci lavoro da anni, son contento di dare l’annunzio della agognata soluzione.

    Nel 1997, un opuscolo di Aurelio Giardina e Vincenzo Napoli, pubblicato a cura del Lions Club di Castelvetrano, dava notizia dell’esistenza nei depositi di palazzo Abbatellis di Palermo di un Trittico, di ignoto autore, erroneamente ritenuto perduto a seguito di un furto, proveniente dalla chiesa dell’Annunziata (la cosiddetta Badia) di Castelvetrano. La tavola manca dalla nostra città dal 1860, giacché essa, secondo la testimonianza del sacerdote Giuseppe Bertuglia, raccolta dal Ferrigno, sarebbe stato portata a Palermo dal dott. Rosario Lentini, a cui, forse per paura che fosse trafugata dai garibaldini, l’avrebbe affidata la sorella Margherita (suor Beatrice, in religione), monaca e badessa appunto nel Monastero dell’Annunziata, annesso alla detta chiesa, proprio nell’anno della spedizione dei Mille. Del Trittico si perdette ogni traccia, salvo ad essere citato, nel secondo dopoguerra, dalla critica d’arte del tempo, e segnatamente da Roberto Longhi, indicato nel catalogo delle opere acquisite dall’allora Museo Nazionale (al n. 2173 del 1897), passate in seguito alla Galleria Regionale di Sicilia a Palazzo Abbatellis in Palermo. Proprio nei depositi di quella Galleria, Giardina e Napoli, con l’aiuto del dott. Vincenzo Abate, direttore pro tempore della Galleria Regionale, rinvennero e fotografarono il Trittico.

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  • Esso misura cm 167 x 150 ed è costituito da tre scomparti lignei, dove, secondo stilemi vernacolari che si ispirano e superano il gotico fiorito, sono rappresentati S. Gandolfo, in abito francescano, con un libro e in atto di benedire, a sinistra; l’Inconorazione della Vergine, al centro; S. Giorgio, su un cavallo bianco, in atto di uccidere il drago, a destra. In alto, quasi in corrispondenza delle mani alzate del Cristo, si apprezza, nonostante qualche lacuna, la figura di un angelo reggicortina. Per sollecitazione di padre Giuseppe Titone, parroco della chiesa dell’Annunziata, il Comune ha finanziato il restauro dell'opera, certosino lavoro condotto per mesi dal maestro Franco Fazio, il quale, seguendo un rigido criterio filologico, ne ha comunque recuperato quasi interamente la parte destra, una buona porzione della sinistra e quanto era possibile di quella centrale, la più danneggiata. Fortunatamente sono pressoché del tutto leggibili i volti, che stupiscono per l’accuratezza dei tratti e la delicatezza dell’esecuzione. In particolare, la tecnica del retino ci consente oggi di ammirare il viso di San Gandolfo, eremita francescano che dalla lontana Lombardia (Binasco, per l’esattezza) era venuto in Sicilia nel 1225, e che soggiornò a lungo a Castelvetrano, in un bosco che lambiva l’abitato, compiendo molti prodigi e miracoli.

    Sembra che il Trittico riproduca, in modo schietto e animoso, le stesse sembianze del Santo, così come era dipinto in un antico affresco, poi perduto, che si vuole fosse fedele alle reali fattezze del pio romito di Binasco, il cui volto, quasi per miracolo, ci viene finalmente restituito. Perfettamente decifrabile risulta del pari la data di esecuzione, dipinta in basso, che è il 1448; per cui oggi il Trittico dell’Annunziata costituisce la più antica opera d’arte, di certa datazione, di cui si conserva memoria a Castelvetrano. Significativo, a mio parere, l’accostamento nella tavola tra S. Gandolfo e S. Giorgio, i quali ci suggeriscono due modelli affatto diversi di santità: il primo quello della semplicità francescana, il secondo quello dell’agonismo cristiano e della cavalleria.

    Uno spunto interessante, su cui gli studiosi di antropologia religiosa potrebbero misurarsi. Insieme al Trittico rientrerà da Mazara, dove si trova da più di 50 anni, la tela di S. Francesco da Paola di ignoto pittore del primo Cinquecento, proveniente pur essa dalla Badia. Il dipinto rappresenta il Santo calabrese, tanto venerato però nella nostra Isola, con il tipico bastone tra le mani, e un rosario col teschio; secondo l’iconografia proposta dal dipinto del Santo, pur esso di ignoto autore, nella chiesa dell’Annunziata di Napoli. La nostra tela presenta ancora sei riquadri per lato, raffiguranti scene della vita del Taumaturgo di Paola. In basso, sono riprodotti due personaggi inginocchiati in preghiera, quasi certamente i committenti della tela. In alto, è raffigurata una bella Annunciazione.

    Le due opere torneranno nelle prossime settimane a Castelvetrano e saranno sistemate nella detta chiesa dell’Annunziata, dove saranno presentate al pubblico il giorno 26 marzo alle ore 17.30. Si chiude così, dopo circa quattro anni di lavoro, condotto in modo sinergico da padre Giuseppe Titone, dal sindaco Gianni Pompeo, dall'assessore Nino Centone, dal dott. Paolo Natale e dal sottoscritto, una vicenda che all'inizio ci sembrava davvero una "missione impossibile". Un grazie al dott. Abate, alla dott.ssa Davì, alla dott.ssa Cassata della Galleria Regionale di Sicilia e, ovviamente, anche al vescovo di Mazara del Vallo, mons. Domenico Mogavero, che è stato sensibile alle sollecitazioni degli studiosi locali volte a fare rientrare a Castelvetrano, contestualmente al Trittico, anche il bel quadro di S. Francesco da Paola.

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