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La storia del prof. Venezia pittore castelvetranese con il culto per l'arte giapponese

di: Vito Marino - del 2012-06-10

Foto archivio

In foto: Foto archivio

Intorno agli anni ’50, in Via Garibaldi, incontravo spesso il prof. Venezia; me lo ricordo già anziano e di costituzione gracile. Da ricerche da me effettuate su persone che lo conoscevano, verso la figlia Ada e verso il sig. Titone, mio carissimo amico, pittore quotato anche lui ed allievo a suo tempo del Venezia, mi risulta che era una persona buona e umile ed un vero artista nella pittura. Era una persona restia alle amicizie politiche e alle persone influenti e per questa ragione dopo la sua morte, nessuno si è ricordato di lui.

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  • Il suo amore per la pittura incominciò a germogliare da quando era bambino, seguendo le orme paterne. Infatti, il padre Baldassare, un medico che fu anche direttore dell’ospedale di Castelvetrano, era anche lui un bravo pittore che si ispirava alla pittura fiamminga.

    Francesco Venezia nato a Castelvetrano nel 1881, merito dei genitori benestanti, terminati gli studi a Castelvetrano, andò a studiare a Palermo conseguendo la laurea all’Accademia delle Belle Arti. In seguito, seguì dei corsi di specializzazione di pittura a Firenze.

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  • Dopo la laurea insegnò disegno geometrico e ornamentale nelle scuole professionali. Inoltre, ogni anno, nel suo locale posto a piano terra della via Garibaldi, eseguiva dei corsi serali di pittura e disegno per i lavoratori ma, per la sua bontà d’animo, non si è fatto mai pagare. Egli infatti considerava lo svolgimento di questi corsi come una missione, poiché per gli artigiani era indispensabile la conoscenza del disegno geometrico ed ornato nell’esecuzione dei loro manufatti.

    Per gentile concessione della figlia Ada, alla tenuta Venezia ho avuto la possibilità di fotografare i quadri rimasti ancora in casa, oltre ad avere le principali notizie per questo articolo.

    Durante gli studi all’Accademia, il professore fece amicizia con la sua insegnante di pittura O’Tama  Kiyohama, giapponese di nascita, ma vissuta a Palermo per ben 51 anni. A Palermo si chiamò Eleonora, dopo il battesimo e il matrimonio con Vincenzo Ragusa, famoso scultore; la loro conoscenza avvenne a Tokyo nel 1876, in un momento storico in cui il Giappone si apriva alla cultura occidentale e l’Occidente scopriva una nuova cultura ricca di inedite forme e suggestioni. Eleonora e Ragusa fusero queste due culture, questi due mondi completamente diversi, divenendo un’esperienza del tutto originale. 

    Ada Venezia, figlia del professore, conserva alcune opere di O’Tama che il padre aveva raccolto nel tempo (una di queste fu un dono di nozze). Ma l’episodio più significativo riguarda il ritratto che la maestra fece al suo allievo: ritratto iniziato a Palermo, definito a Tokyo e quindi spedito a Castelvetrano. L’intensità di tale opera non lascia dubbi sulla forza di questa amicizia. Immaginiamo la felicità e la commozione di quest’uomo quando il 15/02/1937 ricevette dal Giappone il ritratto da lei eseguito. Francesco allora aveva 56 anni, ma il dipinto lo ritraeva a 45 anni (Eleonora si era basata su una foto del 1926).

    Un ritratto convenzionale nella composizione ma di grande forza espressiva essenziale, ma ricercatissimo nei passaggi luminosi, nello sguardo intensamente penetrante, che traduce passioni romanticamente sentite. Nel 1937 O’Tama aveva 76 anni e viveva in Giappone dedicando la sua vita alla pittura e a mantenere il più possibile vivo il ricordo e il rapporto con i suoi amici siciliani. Tante sono le cartoline, gli oggetti che inviava a tutti quanti e tantissimi ne riceveva. Il Venezia risente moltissimo dello stimolo ricevuto dalla sua insegnante, poiché il suo amore per la pittura si  manterrà viva fino alla morte avvenuta nel 1968 a Castelvetrano.

    Per come è comprensibile molte delle sue opere sono state regalate, per la sua bontà d’animo, ad amici e parenti. A casa ho due suoi dipinti su tronco affettato d’albero, raffiguranti frutta datati 1952, che mia zia aveva ricevuto in regalo.

    Guardando la sua creazione pittorica son rimasto incantato da un quadro eseguito con una tecnica particolare detta “fumino”, eseguito con una polvere nera (carboncino o grafite in polvere), ottenendo effetti speciali di figure umane in bianco e nero. Tra le altre sue opere, pregevole è “la giapponesina” dove è messa in evidenza tutta la grazia che solo una giapponese sa dare nel muovere il ventaglio. Evidentemente il quadro era rivolto alla sua maestra di pittura.  Ma la sua migliore produzione dove esprime il meglio di se stesso sono i quadri con fiori vari come soggetto. Attraverso le sfumature dei colori i fiori esprimono tutto il fascino della natura, lasciando quasi trapelarne il profumo.  

    Presso la Chiesa della Salute, entrando sulla destra, esiste un suo quadro, olio su tela, raffigurante San’Antonio di Padova.

    Il prof. Venezia scrisse nel 1957 un libretto da lui definito: “Modesto studio letterario archeologico sulle prime danze Classiche Elleniche sull’immortale Selinunte”, dove si nota il suo amore per il classicismo. 

    I suoi dipinti sono essenzialmente di un genere classico ottocentesco; egli non si lasciò influenzare dalle nuove correnti pittoriche, che nel corso della sua vita nascevano e si facevano avanti, come l’impressionismo, il cubismo e la metafisica. I suoi capolavori sono ad olio su tela, ma la sua tecnica si allargava alle pitture sulla stoffa e sul vetro.

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