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L’ex sindaco di Campobello di Mazara preferisce non commentare la sentenza

(fonte: lasicilia.it) - del 2014-02-09

Immagine articolo: L’ex sindaco di Campobello di Mazara preferisce non commentare la sentenza

(ph. gds.it)

All’indomani dell’assoluzione, con la formula «per non aver commesso il fatto», dall’accusa di concorso in associazione mafiosa, l’ex sindaco di Campobello di Mazara Ciro Caravà preferisce non commentare.

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  • Probabilmente lo farà dopo avere smaltito l’amarezza accumulata durante il lungo periodo di detenzione in carcere (due anni, un mese e 21 giorni). Per lui, parla uno dei suoi difensori, l’avvocato Giuseppe Parrinello (l’altro legale è Giuseppe Oddo).

    «Come ha detto nel corso delle dichiarazioni spontanee - afferma l’avv. Parrinello - Caravà è sempre stato fiducioso nella giustizia e questo no- nostante si rendesse conto di essere vittima di un errore giudiziario. Noi difensori sin da subito, ascoltando le intercettazioni ambientali e telefoni che, ci siamo resi conto dell’estraneità di Caravà ai fatti contestati. Non c’erano intercettazioni dirette, ma solo di soggetti terzi che parlavano di lui. Come ipotesi investigativa ci poteva stare, ma le frasi intercettate non hanno trovato riscontro. Nel corso delle 31 udienze del processo anche le dichiarazioni dei testi del pm sono state favorevoli a Caravà. A ciò si sono aggiunte le indagini difensive svolte assieme al collega Giuseppe Oddo, che provano l’assoluta estraneità di Caravà all’organizzazione mafiosa. Non per nulla, all’indomani dell’arresto, davanti al gip di Palermo, non si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ha voluto rendere dichiarazioni».

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  • L’ex sindaco fu iscritto nel registro degli indagati nel marzo 2006, ancor prima di essere eletto primo cittadino, con l’ipotesi di concorso in associazione mafiosa. Poi, nella richiesta di proroga indagini, la sua posizione si aggravò. Fu, infatti, contestato il 416 bis diretto, per ritornare al «concorso» nell’ordinanza di custodia cautelare.

    I legali, intanto, attendono di leggere le motivazioni della sentenza (saranno depositate entro 90 giorni), consci che la partita non è ancora finita. Se l’accusa ha chiesto la condanna a 18 anni di carcere difficilmente (anzi è impensabile) non proporrà appello. Nel frattempo, Ciro Caravà si gode l’assoluzione.

    «Dopo la scarcerazione - dice l’avv. Parrinello - a casa è stato raggiunto da parenti e amici. L’ho vi sto provato, dimagrito, ma spera di potersi lasciare alle spalle questo bruttissimo momento».

    Tra le reazioni politiche, intanto, quella di Francesco Foggia, ex collaboratore di Caravà, che esprimendo «grande gioia» per l’esito del processo afferma di avere «sempre creduto nell’innocenza» dell’ex sindaco.

    Tra i cinque assolti (sette se si considerano anche quelli che hanno scelto il rito abbreviato) c’è anche il 46enne Gaspare Lipari, che secondo l’accusa avrebbe svolto una funzione di «collegamento» tra il sindaco e il capomafia Leonardo Bonafede. A difendere Lipari, in passato assolto dall’accusa di mafia anche nel processo «Terra bruciata», è stato l’avvocato Giuseppe Pantaleo, che spiega la genesi dell’indagine svolta da Dda e carabinieri, che il 16 dicembre 2011 è sfociata nell’operazione «Campus Belli» e che il 27 luglio 2012 ha avuto come conseguenza lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose conseguentemente al quale tutt’ora ad amministrare Campobello sono tre commissari prefettizi.

    «Alla base dell’indagine - dice l’avv. Pantaleo - ci sono le intercettazioni di Buracci, il defunto maresciallo di Polizia che prestava servizio in Prefettura, che parlando con la moglie o amici commentava su presunte spartizioni di appalti e lavori, esprimendo considerazioni sulla presunta mafiosità o vicinanza alla mafia di alcuni soggetti. Si potevano, quindi, dedurre situazioni ambigue, ma chi parlava non era interno all’associazione mafiosa e il quadro indiziario, che poteva starci, non ha trovato riscontri. Poi, ci fu l’ispezione prefettizia, ma le irregolarità riscontrate erano di natura amministrativa. Per quanto riguarda Lipari, nel processo è emerso che era un confidente delle forze dell’ordine».

    Condannando soltanto Simone Mangiaracina (13 anni di carcere) e Cataldo La Rosa (12 anni), il Tribunale di Marsala ha, inoltre, disposto, su richiesta del pubblico ministero Padova, la trasmissione in Procura degli atti d’udienza in cui furono ascoltati Giuseppe Iossa e Vincenzo Scirè. Per loro il rischio di un procedimento per falsa testimonianza.

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