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Campobello, 90 anni di "amore" per la "Giummara". La storia di Antonina e delle scope da 200 lire

del 2014-07-24

Immagine articolo: Campobello, 90 anni di "amore" per la "Giummara". La storia di Antonina e delle scope da 200 lire

Una vita trascorsa nei campi lavorando per assicurare a sé e alla propria famiglia una vita dignitosa coltivando fin dall'età di 7 anni la “Giummara”. A distanza di tanti anni Antonina Caradonna (in foto), 90 anni campobellese, continua ad “allenarsi” lavorando ancora oggi la Giummara,

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  • Antonina è l'unica arzilla nonnina rimasta a Campobello dopo che diverse care amiche di infanzia e di vita sono venute a mancare. 

    Abbiamo intervistato la figlia Franca Clemenza che ci ha raccontato come veniva utilizzata dalla mamma nei tempi antichi la Giummara, ossia la palma nana.  

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  • Antonella dove avveniva la raccolta della palma nana?

    Si andava fra li “sciari” della campagna,ossia quel terreno roccioso lasciato incolto dove cresceva la palma nana, gli asparagi, lu “satareddru”.  

    Quale era ed è il procedimento che dopo la raccolta ne consentiva l'uso?  

    Le foglie più grandi si mettevano a essiccare per fare le scope. I fili della foglia chiamati la “zinnitta di giummara” si sfogliavano a filo a filo e si faceva la “curdisceddra” tenuta avvolta in un pezzo di sacco di juta bagnato. Lo scopo era di ammorbidirla e poterla lavorare senza che si rompesse. L'interno della giummara era chiamato la curina ossia quella più bianca e più fine. Con essa si intrecciava 1 treccia larga 3 dita e dopo tramite la curdidceddra veniva cucita dandoci la forma preferita.  

    Quali oggetti si potevano in questo modo realizzare?

    Di solito con la “curina” si facevano le borse chiamate “coffe”. Di solito le suocere le commissionavano per la nuora durante il fidanzamento e venivano abbellite a secondo dei gusti personali.  Cosa trasportavano le “coffe”? Le coffe di ficu con forma rotonda e coperchio venivano riempite di fichi e si metteva un suolo di fichi, qualche fogliolina di alloro secco per aromatizzare. Spesso si cuciva il coperchio con la “curdisceddra” e si metteva la “coffa con la mazzara” sopra in modo che si schiacciassero. Tutto questo al fine di favorirne la conservazione.  

    Anche gli uomini le usavano?  

    Assolutamente si. Venivano usate dagli uomini per andare in campagna in quanto all'interno veniva trasportato e conservato il pranzo.  C'era anche la coffa di l”u rincigghiu” (la roncola ) che servita per potare le vigne.  

    Si facevano anche le scope? Quanto poteva costare una?  

    Si facevano le scope rotonde per girare la ricotta. Se non erro si chiamava “lu zurbu” ma non sono sicura perchè ero tanto piccola. Poi anche tantissime scope di giummara per l'inverno. C'era chi ne faceva a grosse quantita' e poi durante l'inverno se le vendeva. Mi ricordo una scopa 200 lire e sembravano pure care (meno di 20 centesimi di oggi).    

    Quanto ti senti orgogliosa di avere una madre così dedita al lavoro e che ti ha cresciuta all'insegna dei sani valori?

    Sono assolutamente orgogliosa. La stimo e le voglio un bene delll'anima. Non trovo parole per definirla ma più facilmente  già il suo cognome dice tutto “Cara – donna”. Ebbene si. E' davvero una gran cara donna.  

    L'intervista a Franca e il racconto di Antonina Caradonna rappresentra un tuffo nel passato che però vuole essere anche un'esortazione a tutti i giovani che spesso lamentano di non trovare lavoro affinchè capiscano come la natura e la campagna possono rappresentare una fonte di sostentamento importante.

     

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