L'Italia va a votare tra indagati, arrestati e possibili voti di scambio
di: Gianfranco Becchina - del 2014-05-24
La pratica del cosiddetto voto di scambio, senza voler troppo risalire nel tempo - ché dovremmo fare la storia dell’Antica Roma - ma limitandoci ai tempi più prossimi dell’ultimo dopoguerra, appare senza soluzione di continuità malgrado le recenti leggi che ne puniscono il ricorso in maniera severa.
Possiamo partire dalle prime elezioni dell’Italia repubblicana, quelle del 18 aprile del 1948, stravinte dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi, grazie alla capillare organizzazione della Chiesa cattolica che tuonava dai pulpiti di tutt’Italia contro il pericolo comunista, ma anche ai pacchi di pasta, scarpe spaiate, biglietti da mille lire tagliate a metà da ricomporre a vittoria ottenuta, distribuiti ai poveri nei bassi di Napoli o nei cortili della Sicilia. Ne ho un ricordo preciso, memore di quanto in famiglia si condannasse tale esercizio semplicemente svilente l’importante conquista del diritto di voto esteso a tutti i cittadini: uomini e donne. Una operazione di spregevole compravendita, nello sfondo di profonde sacche di povertà assoluta.
Alla stessa pratica potetti assistere in Sardegna, nel 1956, in occasione della calata del partito monarchico di Achille Lauro nella circostanza del rinnovo del Consiglio Regionale Sardo. Questa volta si trattò della distribuzione a pioggia di assegni circolari di tremila lire a chiunque ne facesse richiesta. Ovviamente i Sardi, gente alla quale non fa difetto la fierezza, tributarono al “comandante” la meritata mezza fregatura.
Manco a dirlo, l’andazzo è continuato puntualmente in occasione di ogni campagna elettorale, nel rispetto della rivalutazione delle somme mano mano aumentate a cinquantamila, centomila e agli odierni ottanta euro. Con l’abile aggiramento, in quest’ultimo caso, della legge a mezzo il camuffamento dell’elargizione in rivalutazione, più o meno salariale, di quella che rimane pur sempre una sfacciata compravendita; forse meglio chiamarlo negozio.
Non c’è da trovare differenza alcuna, fra ieri e oggi. Nemmeno nel potere d’acquisto del corrispettivo di così bassi sistemi. Infatti, con ottanta euro non si compra molto più pane, o carne, di quanto se ne comprasse con le mille lire del 1948. E con questo, anche l’assunto gattopardesco del “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” è servito: nel senso che, fermo restando il metodo, sul cambiamento si può soprassedere.
E poi ci vorrebbe il soccorso della fantasia. Merce ormai rara, scalzata com’è stata da micidiali colpi bassi. E intanto che tutti si preparano, senza più tanta convinzione, per il valzer finale, i grandi banchieri che sanno meglio e prima di tutti come andrà a finire, si spartiscono affannosamente quel che resta dell’ossigeno sottratto al Paese impotente e avvilito.
In fondo, male che vada, qualche settimana passata nella tranquillità degli arresti domiciliari può anche rivelarsi salutare contro lo stress quotidiano.