I miei studi internazionali a disposizione della mia Gibellina ricordando Corrao. Nicolò Stabile racconta la sua storia
del 2015-02-10
Questa volta vi raccontiamo la storia di Nicolò Stabile, artista ma non solo, che, dopo aver studiato e raccolto successi e soddisfazioni lontano dalla sua terra natìa, adesso è riuscito a tornare a lavorare nella sua Gibellina, città alla quale è rimasto sempre molto legato e riconoscente. Obiettivo pricipale che sta cercando di portar avanti è la tutela, valorizzazione e promozione dell'immenso patrimonio artistico-culturale della cittadina.
Ciao Nicolò, raccontaci un po’ di te. Che studi hai fatto? Quando hai iniziato la tua carriera?
Ho fatto Lettere a Palermo per i primi tre anni (con molta antropologia) e per un semestre, con una delle prime borse Erasmus (era l'89), sono andato a studiare linguistica generale e storia della lingua francese alla ULB di Bruxelles. Poi mi sono trasferito a Roma dove mi sono laureato alla Sapienza con una tesi di storia dell'arte moderna.
Buona parte della mia formazione la devo però all'esperienza gibellinese, sul campo: è lì, e cioè a casa mia, che ho scoperto il fare artistico, nelle sue molteplici forme. Nel 1983, all'inizio delle vacanze scolastiche (non avevo ancora compiuto 17 anni) Ludovico Corrao mi mandò a chiamare per spiegarmi il progetto del teatro sui Ruderi. Mi chiese se avessi voglia di lavorarci e mi diede un elenco di numeri telefonici di giornalisti nazionali, dicendomi: "Ecco, devi chiamarli, spiegargli l'evento e invitarli alla prima".
Mi ritrovai a fare l'ufficio stampa senza sapere cosa fosse un ufficio stampa. Vennero tutti, e quell'Orestea nel siciliano di Emilio Isgrò con le scene di Arnaldo Pomodoro tra le pietre del vecchio paese distrutto, le musiche di Pennisi e la gente di Gibellina come coro, fu l'avvenimento teatrale italiano dell'anno.
Da lì è iniziata l'esperienza lavorativa e formativa accanto a Corrao, in una Gibellina che era diventata un clamoroso caso culturale internazionale, e che mi ha portato a occuparmi di organizzazione di eventi, di giornalismo, di critica d'arte, di teatro e di fare teatrale, ma che soprattutto mi ha messo in contatto con grandi personalità del mondo della cultura dandomi la possibilità di confrontarmi anche con mondi lontani, molto lontani per un ragazzo del Belìce.
Ci parli delle tue esperienze lavorative?
Ad un certo punto ho sentito la necessità di fare esperienze diverse, e imparare bene un'altra lingua. Volevo fare un'esperienza all'estero, la scelta di Bruxelles è stata quasi casuale, non il fatto che ci sia rimasto tutto il decennio dei Novanta. Lì ho ricominciato da capo. Bruxelles era (ed è) una città teatralmente molto vivace, soprattutto per quanto riguarda la danza contemporanea.
E così, dopo qualche lavoretto alimentare (come insegnare italiano a uomini e donne d'affari, agli studenti che partivano con l'Erasmus in Italia, o tradurre noiosi documenti della Commissione Europea) ho ricominciato col teatro e la cultura, proponendomi come ponte tra quel mercato e quello italiano, promuovendo spettacoli, festival, e grandi eventi.
Ho avuto modo di lavorare, tra gli altri, con il Kunstenfestivaldesarts, l'Ecole des Maitres, il Kaaiteater, Anversa capitale europea della cultura, CharleroiDanses, il Ministero della Cultura della Comunità Francese. E allo stesso tempo collaboravo con gli artisti della scena che più mi piacevano. Ricoprendo ruoli diversi: drammaturgo, redattore, interprete, traduttore.
Fino al 1996, quando Thierry Salmon, regista belga geniale, già conosciuto e accompagnato a Gibellina nell'88 per il suo indimenticabile Le Troiane, mi chiamò a Palermo per la produzione di un ambizioso e complicato progetto commissionatogli dal Comune e che avrebbe inaugurato i Cantieri alla Zisa. Fino alla sua prematura morte, avvenuta nel 98, sono stato il suo produttore.
Dal 2000 al 2006, tornato a Gibellina, mi sono occupato della Compagnia Caterina Sagna, portandola nei teatri e nei festival che ritenevo più interessanti (e fieramente senza aiuti pubblici): tra gli altri, il Théâtre de la VIlle di Parigi, l'Hebbel di Berlino, il Festival d'Avignon, The Place a Londra, la Biennale di Venezia.
Nel 2007 la Fondazione Romaeuropa mi chiama per gestire prima la produzione, poi la programmazione del Teatro Palladium, nonché le pubbliche relazioni e l'Ente Promozione Danza.
Che atmosfera si vive nel tuo ambiente lavorativo?
L'atmosfera è sempre di complicità familiare. Con gli artisti che produci s'instaura un rapporto di profonda fiducia, senza il quale sarebbe impossibile lavorare bene. Il lavoro ti porta a stare molto tempo insieme, lontani da casa, durante le prove o durante le tournée internazionali. Con i colleghi, con i direttori di teatro, con i programmatori, succede un po' la stessa cosa, perché si finisce per conoscersi tutti e ci si ritrova spesso a un festival, a un meeting, a una prima importante. Un microcosmo con i suoi piccoli riti.
Che consigli puoi dare ai giovani che vorrebbero provare la tua medesima esperienza?
La mia non è un'esperienza lineare, ma la somma di esperienze diverse. Non ho studiato pensando a cosa volessi fare. Ho studiato più per curiosità che per il "pezzo di carta", evitando le superspecializzazioni, e mantendendo vivi tanti interessi. Ma è sempre stato chiaro che volevo lavorare nella cultura. A qualcuno che volesse lavorarci consiglierei innanzitutto di viaggiare e vivere all'estero per periodi abbastanza lunghi, essere curiosi, vedere mostre, spettacoli, film. E appassionarsi alle cose che piacciono.
Il momento più bello della tua carriera lavorativa?
Forse quando ho aperto il Corriere con 10 copie (come da contratto) appena stampate di "Ladro di stile", la monumentale biografia di Jean Genet scritta da Edmund White la cui edizione italiana ho curato per la casa editrice Il Saggiatore. Ma ce ne sono stati tanti: ogni qualvolta vedevo i miei progetti vedere la luce.
L'ultimo, sebbene esuli dalla mia carriera lavorativa, è sicuramente quello che sto vivendo in questo momento: vedere i lavori per il completamento e il restauro del Cretto di Burri sui Ruderi di Gibellina, lavori resi possibili dal finanziamento che Stato e Regione hanno accordato al Comune di Gibellina in seguito all'appello che ho lanciato nel 2010 (tra i 100 firmatari Claudio Abbado, Renzo Piano, il direttore generale della Guggenheim Foundation, Andrea Camilleri, Ennio Morricone, etc etc)
Adesso sei ritornato in Sicilia, cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
L'ultimo mio ritorno è stato nel 2010 dopo tre anni a Roma. Fine di un ciclo. Come se lavorare per il teatro non avesse per me più senso. Più che un ritorno in Sicilia, è un ritorno a Gibellina, dove tutto è iniziato, dove ho sempre avuto casa. Un luogo a cui, a parte le radici, sono molto legato e riconoscente: se fossi nato e cresciuto altrove il mio percorso professionale sarebbe stato molto diverso. Forse sarei oggi uno stanziale professore d'italiano, forse precario e frustrato.
Hai letto della serata delle Eccellenze castelvetranesi organizzata da castelvetranonews.it? Che idea ti sei fatto?
E' una bella iniziativa perché da visibilità a esperienze e percorsi di vita orginali, in cui mi sembra prevalere la passione per quel che si fa. In un momento storico come quello che stiamo vivendo, di profonda crisi, di difficile accesso al mondo del lavoro, è fondamentale rimettersi in discussione, guardare al mondo anche attraverso le esperienze di chi ha scelto percorsi apparentemente difficili, certamente fuori dagli schemi.