Festa della donna tra festeggiamenti e ricordi di una società maschilista
di: Vito Marino - del 2015-03-08
In virtù della legge della giungla, secondo cui il più forte domina il più debole, nel corso d’interi millenni, la donna, perché geneticamente meno forte, ha subito violenze fisiche e psichiche dall’uomo. Agli inizi del 1900, con l'introduzione delle macchine nei lavori più pesanti, la civiltà maschilista incomincia a tramontare; nello stesso tempo, inizia timidamente l’emancipazione della donna.
In Italia, fino a qualche decennio fa, l’art. 144 del Diritto di Famiglia citava espressamente: “Il marito è il capo della famiglia, la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo ovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza”.
Fino al 1919 la moglie non poteva disporre dei propri beni senza l’autorizzazione del marito e le donne non potevano deporre in tribunale, perché non avevano attendibilità.
Fino al 1963 era in vigore in Italia lo “ius corrigendi” che dava al marito il diritto di colpire la moglie, accusata a suo personalissimo giudizio di aver commesso errori, con lo scopo appunto di “correggerla”. Un detto allora diceva “scacchi e fimmini vastunati che s’aggiustanu”.
Le ragazze dovevano sposare l’uomo stabilito dai genitori, senza possibilità di scelta. Un pretendente non corrisposto poteva, con l’aiuto di qualche complice, sequestrare la ragazza e violentarla. Regolarmente seguiva il matrimonio riparatore.
Così, la ragazza era costretta a sposare il suo violentatore o restava zitella, perché ormai non era più vergine. Infatti, l’articolo 544 del codice penale prevedeva che, per i delitti di violenza carnale, il matrimonio avrebbe estinto il reato, anche per gli eventuali complici. Finalmente, l’articolo 1 della legge 442 del 5/8/1981, abrogando l’art. 544, ha abolito la possibilità di cancellare con il matrimonio una precedente violenza sessuale.
Una volta la donna era considerata l’angelo della casa, il centro, il fulcro, attorno al quale tutti i familiari giostravano. Purtroppo la casa era anche il suo carcere. Difficilmente una donna poteva uscire dallo stretto nucleo familiare per avere un ruolo chiave nella società.
Fino al 1968 l’adulterio era reato, le donne potevano essere incarcerate per due anni mentre gli uomini – a meno che non destassero un eccessivo scandalo pubblico – potevano tradire tranquillamente la moglie.
Solo il nuovo diritto di famiglia, introdotto nel 1975 ha abolito la potestà maritale dando pari diritti ai coniugi.
Il delitto d’onore, che è una barbarie senza pari, fino al 1981 era in vigore nel nostro ordinamento, così, in virtù di tale legge un uomo che uccideva la moglie, la figlia, la sorella, “nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore suo e della sua famiglia” aveva diritto a tutte le attenuanti e subiva una pena dai tre ai sette anni, ma se la donna avesse ucciso il marito a causa della stessa offesa era condannata all’ergastolo.
Da allora, molte lotte si sono fatte e tante conquiste si sono ottenute. In Italia, per la parità uomo – donna, fu emanata la legge 125/1991 con lo scopo di rimuovere gli ostacoli che ancora impedivano la completa concretizzazione di detta eguaglianza.
Dobbiamo aspettare il 1996, perché sia approvata la legge sulla violenza sessuale, dichiarando la suddetta, reato contro la persona e non contro la morale.
Purtroppo l’eco della civiltà maschilista continua ancora ai giorni nostri anche in Italia; la violenza, infatti, ancora non si è fermata: la stampa riporta quotidianamente casi di femminicidio, stupro e d’altre violenze sulla donna che, per la vergogna, fino ad alcuni anni fa, non faceva mai denuncia.
Se in occidente la donna ha raggiunto un grado di emancipazione accettabile, in molte parti del mondo la civiltà maschilista impone alla donna molte limitazioni. Molti uomini tengono ancora le donne in casa, privandole di andare a scuola o lavorare, di vestirsi come vogliono, di uscire senza essere accompagnate, di innamorarsi. Cancellano la loro identità obbligandole ad indossare il velo, che le copre dalla testa ai piedi, nascondendo una vita di sottomissione.
Queste donne sopportano soprusi ed angherie da parte di padri e mariti. Private d’ogni diritto, vittime della legge degli uomini, queste donne restano creature che sognano di diventare un giorno donne.
Fra le violenze subite presso questi popoli la più grave è l’infibulazione o clitoritectomia, che consiste nella mutilazione sessuale con taglio parziale o totale della clitoride, accompagnata, talvolta, dalla chiusura quasi completa della vulva, onde impedire la partecipazione della donna nei rapporti sessuali.
Gli effetti dannosi sulla salute di queste povere vittime vanno dalle complicazioni e disfunzioni sessuali e psicologiche alle infezioni. Si calcola che nel mondo ci siano 130.000.000 di donne mutilate del loro sesso e che ogni anno 3.000 bambine subiscono questo trattamento. In alcuni casi le leggi vietano tale intervento, ma le madri, per ignoranza, continuano a praticarlo in occasione di particolari riti iniziatori o durante le cerimonie di pubertà, perché questo fa parte della loro cultura.
Oggi l’otto marzo è una festa molto attesa dalle nostre donne, per festeggiare la loro conquista sociale, ma anche per esprimere la solidarietà a quelle del terzo mondo, ancora succube della civiltà maschilista.