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La Festa di San Giovanni tra storia e tradizione

di: Giovanni Modica, ex orologiaio - del 2015-06-24

Immagine articolo: La Festa di San Giovanni tra storia e tradizione

Volevo raccontare ai lettori la “sontuosa” festa in onore del Santo Patrono della città San Giovanni, che una volta si celebrava il 29 di Agosto. Era la festa più importante dell’anno sin dal 13 novembre 1695.

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  • Le spese che riguardavano le messe cantate, il vespro, gli addobbi con le stoffe di seta, damasco, angeli con frange dorati, venivano affrontate dalla stessa Chiesa, che aveva rendite in abbondanza, mentre le altre erano a carico del Comune.

    Erano quattro i giorni della festa. Si iniziava il sei di agosto, alle ore 7 con lo scampanio di tutte le 16 Chiese e lo sparo dei mortaretti. Stessa cosa succedeva a mezzo giorno. Alle 15 del 26-27-28 si svolgevano nella “strata di la cursa”, la via Vittoria Emanuele, le corse dei cavalli, “li giannetti”, montati da fantini con divisa di vario colore, secondo le scuderie di appartenenza, con calzoni bianchi e stivali con speroni. La strada allora non era asfaltata. La partenza era fissata dalla Piazza Principe di Piemonte al terzo sparo di mortaretti e il traguardo era fissato davanti la Chiesa di San Francesco di Paolo. La strada, lungo il percorso, veniva transennata con dei pali di legno e tavole. Durante la corsa i cavalli venivano spronati dallo sparo di altri mortaretti e dalla e grida festose d’incitamento delle migliaia di persone assiepate dietro la palizzata. Le famiglie che abitavano nel corso usavano esporre dal loro balcone tovaglie finemente ricamate e a pittura.

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  • La sera dei giorni 26-27-28 e 29 nella piazza Garibaldi, adesso D’Aragona e Tagliavia ( e non sistema delle piazze come dice il sindaco e i suoi seguaci), una orchestra, che di solito veniva da Palermo o Santo Stefano di Camastra, suonava brani d’opera lirica e operette, su un palco a forma di ferro di cavallo, a due piani , di proprietà del Comune. Tutte le strade, le tre ville, gli alberi sparsi nella città, il prospetto del Teatro Selinus , la facciata della Chiesa di San Giovanni, il campanile, venivano illuminate con piccole lampadine di vario colore.

    Il 29, alle ore 10 passava la banda musicale per tutte le vie della città e nel pomeriggio alle ore 18, usciva la processione del Santo ( copia conforme in legno a quella in marmo realizzata dell’artista Antonio Gagini, nel 1522 che si trova ai piedi dell’altare maggiore).

    Il Patrono veniva sistemato su un carro trionfale ornato di angeli di cartapesta, palme, fiori, sete e lampadine accese, tutta opera di Giuseppe Vaiana ,detto l’apparaturi, da lì la famosa frase che ancora si sente “ e cu t’apparà Vaiana?. Aprivano la processione tre tamburinai, seguiti dalle Associazioni religiose di tutte le Chiese. Dietro un bambino vestito con pelle caprina che portava nella mano destra un bastone a forma di croce dove si poteva leggere: “ Ecce agnus dei”, con la sinistra reggeva . un agnellino di carta pesta .

    Dietro di lui tre ragazzine dai capelli lunghi e neri con un diadema sul capo. Indossavano lunghi vestiti di colore diverso. Una il verde (la fede), che teneva in mano l’ancora, l’altra vestita di bianco(la speranza) che reggeva in mano un calice d’argento e un fascio di spighe di grano e l’ altra di rosso (la carità), che portava una fiaccola. Seguivano tutti i preti in “ pompa magna”, con ceri accesi e persone a piedi scalzi.

    Sotto il baldacchino ricamato in oro e con sei aste di rame, il Parroco della Chiesa portava il reliquiari dove è custodito un piccolo frammento d’osso del dito indice del Santo (mentre la testa decapitata è custodita nel mausoleo di Damasco in Siria). Dietro questo gruppo c’era il sindaco, le guardie che scortavano in alta uniforme il reliquiario, e tutte le autorità civili e militari della città.

    Il corteo si fermava davanti al carcere (oggi Banco di Sicilia), davanti alla Chiesa Madre e alla porta principale del Municipio. Nell’occasione lo stesso primo cittadino con la Giunta donava al Santo un fascio di rose rosse. Nei giorni di festa nel Municipio e in tutti gli Uffici pubblici veniva esposta la bandiera tricolore.

    Davanti la Chiesa c’erano le bancarelle dove si vendeva la “ nucidda america”, la calia e semenza, favi caliati, e per i piccoli c’era sempre pronto per loro il venditore di palloni. Alle ore 23 in piazza Dante si svolgevano i fuochi d’artificio. Allora non c’erano per gli impiegati le ferie estive. La città non si svuotava.

    Oggi invece ad Agosto a Castelvetrano non c’è molta gente e si è preferito celebrare la festa il 24 Giugno che è la data della natività del santo. Allora la fiera di San Giovanni si svolgeva dalla metà della via Garibaldi fino ad arrivare in piazza Dante, e oltre, dal 23 al 30 di Giugno. Lì si potevano comprare giocattoli, attrezzi da lavoro, e fuori la porta Garibaldi sostavano anche i venditori di recipienti realizzati con la “Curina”( saggina,) o con il legno. 

    La devozione per il Santo Patrono è stata sempre immensa e ogni anno per l’occasione della festa venivano tanti emigrati dall’America. Un Santo che ha protetto e continua a proteggere la città dalle calamità e anche dai fulmini. Non per questo la famosa frase quando ci sono i temporali e i fulmini: “San Giuvannuzzu Battista proteggici”.

    Per questo c’è anche il ricordo degli anziani di Castelvetrano:” Quando si faceva in casa il pane, venivano confezionati, una volta sola dei piccolissimi pani grossi quanto un centesimo, che una volta fatti seccati al sole venivano benedetti dal Prete di San Giovanni e poi conservati in scatoline di argento( le famiglie benestanti) o di legno. Quando alle forti piogge si accompagnavano lampi e tuoni si aprivano le scatolette con i piccoli panuzzi che venivano tirati fuori, si accendeva un lumino o una candela e si diceva tre volte: “San Giuvannuzzu San Giuvannuzzu chi si lu patruni arrassa li lampi, arrassa li trona”. Tutto ciò accompagnato per tre volte di seguito da tre padre nostro, tre ave Maria e tre Gloria 

    LE TRADIZIONI 

    Tre erano le tradizioni che si praticavano il 24 di Giugno, giorno della natività a Castelvetrano e che da trent’anni a questa parte sembrano scomparse completamente. Tuttavia ritengo che sia bello poterle far conoscere alle nuove generazioni.

    La mattina del 24 di Giugno le ragazze che volevano prendere marito o i giovani che volevano sapere del loro futuro, mettevano un pentolino sul fuoco con dentro del piombo, che quando poi diventava liquido veniva versato tutto d’un colpo, dentro un recipiente pieno d’acqua e lì comparivano delle figure astratte da decifrare e che rimanevano nel tempo. Chi non aveva il piombo lo sostituiva con la cera, che però durava poco tempo, lo stretto necessario per interpretare la figura e quindi il destino.

    Un procedimento similare si faceva la sera del 23, alle ore 22.30. Si metteva il tuorlo e l’albume di un uovo dentro una bottiglia di vetro, che veniva agitata e poi messa su un davanzale, al fresco della notte. La mattina, all’alba, s’interpretava il significato delle forme assunte dall’uovo solidificato nella vetro della bottiglia.

    Nella notte sempre del 23 per coloro che avevano malattie alla gola bastava mordere la corteccia di un albero di pero o di melo, che i malanni (la faringite, la tonsillite), scomparivano, mentre l’albero il giorno seguente appariva come bruciato nella notte. Io l’ho fatto e il mio mal di gola è sparito. E l’albero? Non ci crederete ma sembrava veramente bruciacchiato.

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