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Gli auguri alla cittadinanza da parte di Francesco Saverio Calcara

La Voce del Natale

del 2011-12-23

Immagine articolo: Gli auguri alla cittadinanza da parte di Francesco Saverio Calcara

L’altra sera stavo conversando con qualcuno e ho detto una cosa di cui da tempo mi stupisco: “Nessuno dei miei amici più intimi ha la mia stessa età”. Perché? Per il semplice motivo che i miei coetanei sono vecchi! Quello che voglio dire è che uno diventa vecchio quando, ad ogni pie’ sospinto, continua ad affermare: “Ah, la vita è dura!” Poi tu rispondi con qualcosa per spiegare che sì, la vita è dura, ma si imparano tante cose, si cresce, c’è gioia in questa durezza, ci sono tante benedizioni. Puoi dire qualsiasi cosa per sostenere la conversazione, ma alla fine lui ripeterà: “Eh sì, la vita è dura!” Come si può dialogare con gente così? Spesso perfino giovani di vent’anni parlano in questo modo! Ricordo sempre mia madre che si inalberava quando sentiva quelli della sua generazione dire: “Ai miei tempi”; “È questo, il mio tempo”, replicava. Noi dobbiamo vivere nel presente, nel momento, hic et nunc; dobbiamo essere sempre creativi in ogni cosa che facciamo, per far sì che ogni momento sia nuovo. È questo il messaggio di Gesù, che nacque per condurci a vita nuova, così come Egli stesso affermò proclamando: “Sono venuto per darvi la vita”; e per spiegare che alcune persone sono già morte senza nemmeno saperlo, disse: “Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti”.

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  • Noi abbiamo la possibilità di condurre una vita che non è solo “esistenza”, ma che può essere ricca di gioia, di gratitudine. Il messaggio del Natale è che possiamo vivere in una coscienza che trasforma il nostro tempo. Una voce sottile e profonda, puntualmente, torna a chiamare ogni anno gli uomini da ogni angolo della terra, dove sono stati condotti dalle diverse circostanze della vita. Anche solo spiritualmente, li riporterà verso una casa, una famiglia, un affetto. Né questa irresistibile voce riguarda solo i credenti, giacché anche coloro che si professano atei o indifferenti non possono non avvertire certe intime nostalgie verso i luoghi e i ricordi dell’infanzia, per sentimenti, impressioni e stati d’animo, rimasti indelebili a dispetto di tutte le vicende dell’esistenza. Perfino Gabriele D’Annunzio fu preso alla gola da queste nostalgie in una notte di Natale, e invocò in una delicata poesia l’innocenza, la purezza, la semplicità dell’infanzia, respingendo lungi da sé tutte quelle cose orrende che, fino a quel momento, lo avevano oppresso.

    Piaccia o no, sia pure in modo superficiale, il cristianesimo lo abbiamo succhiato col latte materno, lo abbiamo respirato con l’aria, assimilato col pane quotidiano. Forse ci sono stati i cedimenti, le trascuratezze, i rifiuti, le negazioni, se credete anche le bestemmie, ma in fondo in fondo, sotto tanta cenere un po’ di fuoco rimane sempre; sarà appena un tiepido soffio, che non riuscirà a produrre una rivoluzione spirituale, ma a dare appena un guizzo, a comunicare un certo calore umano, a creare una atmosfera di bontà. Consapevoli o no, sentiamo che questo giorno non ci appartiene, che è fuori della malizia e delle convenzioni umane, lo sentiamo assurto in un mistero che ci supera, che ci trascende, ma che è pure fra noi, nella nostra storia, nella nostra famiglia, nella nostra casa, nel nostro animo, e ci sembra il primo giorno della nostra vita, il natale anche nostro. Ieri come oggi, il tema del Natale (con la maiuscola stavolta) interpella l’uomo, posto di fronte al paradosso che Giovanni nel prologo del suo vangelo così enuncia: “E il Verbo si fece carne”. È l’assurdità di un bimbo, la cui nascita spezza la storia, che ha la pretesa di essere il salvatore del mondo, il Dio tra noi, l’intersezione dell’eternità nel tempo, per dirla con Kierkegaard. Novene o regali, messe o viaggi, nulla cambia se non costringiamo noi stessi a prendere posizione sullo scandalo dell’Incarnazione di un Dio che cerca l’uomo e pretende di volerlo salvare annunciando la beatitudine dei poveri, dei miti, degli afflitti, dei perseguitati, dei misericordiosi, dei puri di cuore, dei ricercatori della giustizia, degli operatori di pace. Se questa è la verità che ci fa liberi, l’evento che ogni anno celebriamo non può che richiamarci alla necessità della conversione, una “metanoia” che deve cominciare da noi stessi per essere quindi trasferita alle strutture della società.

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  • Oggi il cosiddetto mondo laico taccia di integralismo la Chiesa ogni qual volta essa fa sentire la sua voce su problemi che riguardano la dignità dell’uomo, la protezione della vita, la tutela della famiglia, la difesa dei valori che sono iscritti per natura nel cuore stesso della persona umana. Ma il cristianesimo non è una delle tante dottrine filantropiche, bensì un messaggio che coinvolge tutta la sfera dell’essere e non può esser vissuto al di fuori della storia, in una sorta di rassicurante intimismo. Spetta al cristiano il dovere della testimonianza, spetta ai movimenti e ai partiti che si richiamano al messaggio del Vangelo tradurre i princìpi in concreti interventi, volti all’edificazione di una società che, come suol dirsi, sia a misura d’uomo. È questo, mi pare, uno dei richiami forti che può dare senso a un Natale che non sia ridotto a mera ripetizione di riti o, peggio, mortificato a pretesto di festa pagana. Invece di diventare vecchi, dobbiamo essere sempre giovani, vivere e cantare insieme a loro, pensare che ognuno ha la sua parte da recitare e un mondo nuovo da costruire. Quando viviamo in uno spirito di cooperazione con gli altri, scopriamo che questo bel Natale che viviamo oggi può e deve durare tutto l’anno. Auguri.

    Francesco Saverio Calcara

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