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La "curina". Un antico "regalo" del fiume Belice a rischio estinzione

di: Vito Marino - del 2015-10-27

Immagine articolo: La "curina". Un antico "regalo" del fiume Belice a rischio estinzione

La “Curina o giummara” (palma nana) ha la forma e la bellezza di una normale pianta di palma ma, pur trovando un ambiente ideale, rimane sempre di piccole dimensioni. Ogni pianta viene chiamata dal popolo “Troffa di curina”.

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  • Si tratta di una pianta superstite della vegetazione dell’era terziaria quindi di 60 milioni di anni fa. In Sicilia cresce in qualsiasi tipo di terreno. Fino a mezzo secolo fa esistevano ancora interi feudi dove essa cresceva spontanea. Rinomata era la “curina” che nasceva spontanea nel terreno arenario argilloso della fascia costiera che da Marinella arrivava al fiume Belìce.

    Oggi rischia l'estinzione a causa dei continui incendi e delle bonifiche agrarie. Pertanto, è stata dichiarata pianta protetta. Commercialmente prende il nome di “giummara”, la parte esterne della pianta, costituita da foglie a forma già di ventaglio, mentre si chiama curina la parte interna più tenera, di colore più chiaro, che serviva solo eccezionalmente per determinati lavori.

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  • Nel mese d’agosto i proprietari li davano in affitto, per la raccolta delle foglie, ai “zimmilara”; in cambio costoro dovevano pagare "il carnaggio", cioè un compenso in natura con prodotti da loro confezionati.  Per fare abbondante provvista di questa materia prima, “li zimmilara” si trasferivano con la loro famiglia in detti feudi per circa un mese, abitando nelle “logge”, capanne di fortuna fatte di canne e frasche.

    All’interno sistemavano un pagliericcio per dormire e gli utensili per cucinare, oltre agli attrezzi di lavoro; fuori, due “cantuna” (blocchi di tufo) o due grossi sassi fungevano da “fucularu” o “cufularu” per cucinare con la “quararedda” di rame, stagnata all’interno.

    Le foglie raccolte, dopo averle essiccate al sole venivano lavorate nel corso dell’inverno. Dalle foglie intere si ottenevano scope normali e cardate, che servivano per scopare il pavimento, ma anche, per la sua resistenza al calore, per  togliere cenere e rimasugli di carbone acceso dal forno appena "camiatu"  (riscaldato), e "lu scuparinu" (la piccola scopa cardata) era adoperato come un grosso pennello per imbiancare i muri con latte di calce.  

    Il resto delle foglie, come prima lavorazione si mettevano in acqua per ventiquattro ore, quindi, generalmente le donne, le “zinnittavanu”, (le tagliavano a striscioline per il lungo), quindi li “’ntrizzavanu”  (si intrecciavano, da trizza= treccia) ottenendo “La curdicedda o  corda a trizza" (a treccia) molto resistente. Con quella corda si preparava “lu rituni" per il trasporto della paglia.  

    Con un’altra lavorazione a treccia larga, si ottenevano un’infinità di contenitori e aggeggi indispensabili in quegli anni per l’agricoltura e per la casa:  

    - “La piragna" (zerbino ovale). 

    - “Lu muscaloru" (da musca = mosca), un ventaglio rustico, rotondo con il manico, che serviva per allontanare le mosche, allora numerose, e per ravvivare la fiamma sul fuoco.  

    - “Lu zimmili" era una bisaccia, un contenitore a forma rettangolare della misura di 120x70 cm. circa, da sistemare, attaccati al “sidduni”, sui fianchi dell'animale da soma, uno “a manu ritta” (a destra) e uno “a manu manca”; serviva per trasportare oggetti e prodotti agricoli vari.  

    - “Lu zimmiluni”, più grande del “zimmili” serviva per il trasporto del concime stallatico. C'era anche "lu zimmileddu", che portava tre manici per legarlo sotto il carro. Serviva per portare le provviste del carrettiere, fra cui lu vallireddu, una piccola botte di legno da 5 litri per il vino, dalla classica forma schiacciata.  

    - “Coffa, cuffinu e cuffitedda” di varia forma e grossezza per contenere oggetti e alimenti vari come “la coffa pi li ficu sicchi” (vedi argomento: chiappi di ficu), “la coffa pi la pruvenna” (per far mangiare la biada all'animale da soma  nei momenti di pausa), “la coffa pi lu trappitu” (per pressare la pasta dell'oliva triturata e le vinacce dell'uva), la “coffa tumminara”, detta così perché conteneva circa un “tumminu” (Kg.14) di frumento, serviva per la semina a pruvinu o a spagghiu. Era profonda 30 cm. ed aveva una forma più svasata.   

    - “La sporta” = Borsa per la spesa

    - Coffi di trappitu, fatte inizialmente di giunco, si preparavano anche con giummara In ogni cortile si vedevano spesso “rocchi” (gruppi) di persone sedute a cerchio, che preparavano questi oggetti.

    - Con le foglie cardate si otteneva anche “lu crinu” (il crine), un materiale soffice e resistente, che serviva per riempire materassi e per le imbottiture di divani, sedie e finimenti per cavalli. Ricordo che c’era una fabbrica di crine all’imboccatura della Porta Rosolino Pilo.

    Con il subentrare della civiltà industriale e l’uso della plastica, anche questi prodotti sono scomparsi; tuttavia ai giorni nostri alcuni di questi articoli si trovano ancora sulle bancarelle delle fiere locali e di certi negozi, ma sono comprati non più come elementi indispensabili per la casa, ma come souvenir e curiosità del passato.     

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